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QT n. 10, 18 maggio 2002 Servizi

Religione sì, ma per tutti

L'approccio culturale, comparativo alle religioni: sempre più necessario in una scuola multietnica. Invece, il monopolio dell'insegnamento religioso...

Fra i temi dell’educazione all’interculturalità, non poteva mancare quello religioso. La "Fiera" vi ha dedicato due momenti, strettamente connessi: il dibattito sull’insegnamento della religione in chiave interculturale, preceduto dalla presentazione del Tavolo locale delle appartenenze religiose. Quest’ultimo, che si è costituito lo scorso anno presso il Centro diocesano per l’ecumenismo di Trento, raggruppa le chiese e le comunità religiose presenti sul territorio regionale: buddista, induista, ebraica, cristiana ortodossa, valdese, luterana, veterocattolica, islamica, baha’i e naturalmente cattolica. Pur privi di qualsiasi rappresentatività formale, i membri del Tavolo, hanno espresso un comune impegno a favorire la reciproca conoscenza e comprensione, consapevoli delle profonde divergenze che il tema dei rapporti interconfessionali provoca all’interno di ogni singola chiesa, a cominciare da quella cattolica. Quindi, nessuna velleità di risolvere i problemi di fondo che dividono le varie fedi, ma il tentativo di trovare un’intesa su alcuni problemi concreti della vita sociale. Ed anche su questi, ha detto l’esponente cattolico, arrivare ad una decisione comune costa molta fatica e tempi lunghi.

Il dibattito sull’insegnamento della religione è stato coordinato da Paola Morini, insegnante del "Tambosi" di Trento ed ha avuto come perno centrale la relazione di Lucrezia Pedrali, del Centro Educazione alla Mondialità di Brescia. La Pedrali ha illustrato le sperimentazioni avviate a Brescia e in alcune città italiane di un insegnamento interreligioso, sulla base del Progetto Bradford, elaborato in Inghilterra (vedi Questotrentino del 26 gennaio 2002), in funzione di una realtà multietnica. Sul banco degli imputati, anche se è rimasto sullo sfondo, c’era l’impianto concordatario dell’insegnamento della religione nella scuola statale, appaltato in esclusiva alla Chiesa cattolica. Come è noto, gli alunni e le famiglie che non lo gradiscono, possono sì rifiutarlo, ma non hanno la possibilità di usufruire di un diverso approccio alla disciplina religiosa, un approccio culturale, comparativo, non confessionale, che diventa indispensabile in una scuola che vede crescere in maniera esponenziale il numero di alunni portatori di culture e di fedi diverse. E i contributi delle altre relatrici (valdese, luterana, islamica e cattolica della comunità di S.Francesco Saverio di Trento) nonché alcuni interventi del pubblico, hanno permesso di focalizzare questa situazione di inadeguatezza. L’esponente del C.E.M. ha presentato la proposta della sua Associazione, che prevede l’introduzione di un insegnamento curricolare - quindi obbligatorio per tutti - della religione, in chiave interculturale, metodologicamente caratterizzato da un ampio uso delle testimonianze dirette di esponenti delle varie religioni. Non, quindi, un insegnamento alternativo a quello della religione cattolica (Irc), ma che ad esso si affianchi.

E’ un’iniziativa che suscita obiezioni didattico-scientifiche e che solleva un interrogativo di fondo: quale governo in Italia, non solo quello di Berlusconi, vorrà fare al Vaticano l’affronto di intaccare il suo monopolio dell’insegnamento religioso? Per l’immediato, il C.E.M. punta a far passare i contenuti della sua proposta, attraverso il coinvolgimento degli insegnanti di varie discipline, compresi gli insegnanti di religione. Per un buon numero dei quali, un invito del genere equivale a sfondare una porta aperta: non solo si dichiarano d’accordo ma si ritengono già ora perfettamente in linea con quelle finalità, e in grado di impartire un insegnamento interreligioso adeguato a tutte le coscienze.

Ma pure questa soluzione di compromesso appare irta di ostacoli. Il fatto è che anche se pagati dallo Stato gli insegnanti di religione sono scelti dalla Chiesa cattolica per la loro ortodossia di dottrina ed esemplarità di comportamento, e il vescovo può in qualsiasi momento revocare loro l’idoneità. Stando così le cose, fino a che punto potranno svincolarsi dalle pastoie della logica di appartenenza? E potranno gli alunni - italiani o stranieri che siano - e le loro famiglie, che non si riconoscono nel cattolicesimo, accettare un insegnamento impartito dalla Chiesa?

Insomma le norme concordatarie intralciano ogni ipotesi di soluzione. E non c’è nessun sintomo che faccia pensare alla possibilità di un loro superamento. Al contrario, esse hanno ottenuto un ulteriore puntello dalla recente approvazione della legge provinciale che immette in ruolo gli insegnanti Irc, e che sta per essere seguita, in sede nazionale, da analogo provvedimento.

Legge provinciale, contro cui peraltro pende un ricorso al Tar per motivi di incostituzionalità, presentato dalla Uil-Scuola del Trentino.