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“L’alba di un giorno nuovo”

Alberto Asor Rosa, L’alba di un mondo nuovo. Einaudi, Torino, 2002, 18,00.

L’ultimo libro di Alberto Asor Rosa è una felice sorpresa. Di lui sapevamo che era, ed è, uno scienziato della letteratura, un’italianista, uno storico di poesie e di romanzi. Ora lo scopriamo scrittore "in proprio" in una impresa difficile e delicata: non più testi e documenti da interpretare, ma dipanare il filo della memoria, che non è un gomitolo compatto e lineare, ma un groviglio inestricabile di passato e presente, di rimandi sorprendenti, di improvvise "madeleines" che illuminano a sprazzi profondità ignote.

Alberto Asor Rosa.

La vicenda: Alberto, affidandosi ai ricordi fin dai loro primi barlumi, racconta di sé bambino che via via, dal 1933 al 1945, cresce, vive e va a scuola a Roma, conosce durante le vacanze il meraviglioso mondo contadino di Artena dove la madre lo porta d’estate.

Attraverso il piccolo "io" del bambino che cresce, quasi uno schermo innocente senza prevaricazioni da parte dell’adulto che racconta, vediamo e viviamo momenti decisivi e drammatici: l’entrata in guerra, i "Liberators" alti nel cielo, i primi bombardamenti, la vita nei rifugi, il cedimento strutturale dell’8 settembre 1943, vissuto come disgregazione militare e nazionale; la paura e la fame nella grande città, gli sgherri di via Tasso, le poderose colonne corazzate tedesche che attraversano Roma per bloccare lo sbarco di Anzio, la ritirata dopo la rotta, il festoso arrivo degli americani, la "Liberazione", la terribile scoperta delle Fosse Ardeatine dove il padre porta il piccolo Alberto a rendere omaggio alle vittime.

Il libro ha una struttura vigorosa, uno stile forte ma sorvegliato, in grado di descrivere con eguale incisività gli orrori più nefandi, e i favolosi giochi con i coetanei nelle campagne di Artena, gli animali, gli alberi, il faticoso lavoro dei contadini che ne deforma anche i corpi.

Di questo lavoro di Asor Rosa, che certo resterà nella storia della nostra letteratura, molti sono i pregi che vorrei segnalare. Ma la clessidra giornalistica segnala che le righe stanno per finire. Lasciatemi dire con entusiasmo che il libro è tutto bello: non ci sono cadute né esitazioni. Lo sostiene una lingua realistica e netta, con qualche momento di lirica sognante e altri di duro attrito. Per darvene un’idea concludo con qualche riga del libro: "I buoi, i buoi maremmani, bestie gigantesche, completamente candide, ma con macchie scure sul petto, intorno agli occhi e sopra gli zoccoli, e le corna lunate e maestose, che s’aprivano sopra la testa come in certe divinità egizie... nel lavoro erano ormai quasi sempre impiegati aratri d’acciaio... per piantarli nella dura terra i buoi dovevano dispiegare un’energia prodigiosa - li si vedeva inarcarsi come degli argani viventi, con quelle zampe possenti tese contro le zolle ancora compatte e apparentemente impenetrabili; poi, quando la lama era penetrata in profondità, procedevano lentamente, a strappi, ondeggiando le teste immense, mentre dietro di loro il conduttore, aggrappato ai due manici dell’aratro, spingeva anche lui forsennatamente".

Non è un pezzo di bravura, ma è lo stile alto che se non fa l’uomo fa però il libro. Forza e malinconia sono il timbro di ogni pagina, e trascinano il lettore. Emblematica resta la visione del film "Roma città aperta". Alberto ha ormai 13 anni ed è in grado di capire che il canone tipico dei films americani, da lui visti con la mamma dalla liberazione in poi, è qui rovesciato. La macchina da presa è volta all’indietro, invece che al presente o al futuro, e fa vedere al pubblico quello che aveva vissuto appena qualche mese prima, nella morsa dell’occupazione tedesca e fascista, nel terrore dei rastrellamenti, nell’inedia della fame.

Scrive Asor Rosa: "L’immedesimazione fu subito totale: si sentiva il pubblico in sala respirare forte, seguendo il ritmo serrato della vicenda; e quando la donna bruna dallo sguardo intenso, che sembrava generata a un medesimo parto con le donne in quel momento lì presenti - la stessa capigliatura scura, ribelle, trascurata, gli occhi mobili, neri, vivacissimi, segnati da due occhiaie marcate, profonde e soprattutto, inconfondibile, la linea amara della bocca, un disperato, atavico segnale dell ‘insormontabile fregatura della vita, - fu abbattuta da una mitragliata tedesca alle spalle, mentre rincorreva disperatamente il camion che si portava via il suo amore, un urlo di rabbia si levò da quella platea; e, alla fine, un applauso corale celebrò il prodigio di quella identificazione".

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