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“Fragile”: un film inopportuno?

Un film sull'11 settembre proiettato in piazza: polemiche sull'"antiamericanismo" e sui consumi culturali adatti o meno al grande pubblico.

L’11 settembre scorso, dopo una messa di commemorazione in Duomo, è stato proiettato in piazza il documentario "Fragile. Dopo l’11 settembre, voci dal teatro" di Francesco Dal Bosco ed Emanuela Rossini. Commissionato dal Centro Servi Culturali S. Chiara dopo i fatti di New York, il film è costituito da frammenti di spettacoli, brani recitati e videointerviste agli artisti esibitisi nella stagione teatrale 2001-02.

Il documento presentava poi, nello stile dell’autore, immagini dell’area delle Twin Towers, il testo di una poesia di Lawrence Ferlinghetti recitato dallo stesso autore, altre sequenze con testi fuori campo. La finalità del lavoro era quella di suggerire elementi per la riflessione; motivi per una reazione alla morte e distruzione prodotte dal terrorismo attraverso la vitale creatività artistica.

La proiezione ha scatenato una valanga di reazioni e proteste.

Anzitutto quelle di alcuni esponenti politici del centro-destra locale, che hanno tacciato il film di anti-americanismo, a quanto pare perché vi erano inseriti frammenti dello spettacolo con Andrea Castelli sulla tragedia del Cermis. Un lavoro che, in cartellone nella stagione teatrale, racconta e riflette su un fatto reale. Certo, i responsabili sono americani. E allora? Sono solo buoni gli americani, sono tutti eroi pompieri? Perfetti, incontestabili? O c’è anche qualche pilota delinquente? E questo, anche indirettamente, non lo si può ricordare in un lavoro globalmente avverso alla violenza?

Evidentemente nel pensiero unico omologato di una certa forza politica italiana i morti americani hanno un valore, gli altri, italiani compresi, un altro e non vanno ricordati e commemorati. Per il resto, se solo l’esponente politico avesse seguito il film per più dei pochi minuti dichiarati alla stampa, si sarebbe reso conto dell’assurdità della sua accusa, che così si manifesta palesemente strumentale al farsi un po’ di pubblicità, visto che, come qualcun altro ha già sottolineato, trattasi di politico di poco conto.

C’è stato poi chi ha ritenuto la proiezione in piazza aperta alla cittadinanza come inopportuna. Qui la questione è più sottile e, per certi versi, incomprensibile. Il lavoro era specifico sul tema, poteva interessare e piacere come pure no, ma ognuno aveva la libertà di andarsene nel caso non lo gradisse.

Ma perché inopportuna? Per le commosse celebrazioni di rito c’era appena stata la messa in Duomo. Questa voleva essere una cosa diversa, un’occasione per pensare, dibattere. La gente non l’ha compresa? Io (che per altro non vado in chiesa), come altri ho apprezzato il film, sono riconoscente al Centro per averlo prodotto e per averlo proiettato. E io, come cittadino, non valgo niente? O forse in piazza vanno fatte solo cose opportune e popolari come le Feste Vigiliane?

"Il luogo adatto per lo spettacolo adatto: non si possono proporre a un pubblico generico cose elitarie" - ha detto qualcuno. Ma che significa? Che se un’opera di immagini non segue gli standard televisivi facilmente comprensibili da un pubblico generico non va proiettata in una piazza? E perché mai?

Se non ha un ritmo accattivante, sequenze spettacolari ed emozionanti in modo che la gente si appassioni, non merita lo sforzo di essere seguita?

Se la gente non capisce immediatamente e magari è stimolata a rifletterci, è inopportuna e non ha legittimità culturale?

E’ imperativo esser sempre facili e popolari secondo i dettami omologati dei media? Ma allora avrebbero dovuto commissionare qualcosa finalizzato alla non riflessione, insomma il contrario rispetto alle intenzioni.

Il film era poco significativo, lungo e noioso? Benissimo, legittime opinioni: ma che c’entra con l’essere opportuno o no?

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