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Tiziano Terzani fra Oriente e Occidente

Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra. Longanesi, Milano, 2002, pp.186, 10,00.

Tiziano Terzani è sicuramente un fiorentino: a Firenze è nato, ha percorso l’itinerario dei suoi studi, ha ancora una casa come punto d’appoggio, trascorre periodi di vacanze a Orsigna sulle montagne pistoiesi.

Tiziano Terzani con il Dalai Lama.

E’ anche stato però corrispondente per trent’anni del settimanale tedesco Der Spiegel, oltre che collaboratore di Repubblica e poi del Corriere della sera, ha percorso in tutte le direzioni l’Asia ("in treno, in nave, in macchina, a volte anche a piedi"), dal Medio Oriente al Giappone, ha seguito le varie fasi del conflitto in Vietnam, ha soggiornato per quattro anni in Cina, cercando di vivere dall’interno la realtà di quel popolo, finché venne arrestato, dichiarato "non adatto a vivere" in quel paese ed espulso, ha ancora adesso una casetta sull’Himalaya ("una sorta di baita nell’Himalaya indiano dinanzi alle più divine montagne del mondo"), dove ogni tanto si rifugia, lontano dalla civiltà e dai suoi cosiddetti comodi, in diretto, pieno contatto con la natura e con se stesso (si direbbe siano delle vacanze interiori).

Ha naturalmente pubblicato diversi libri ("In Asia", "Un indovino mi disse", "Pelle di leopardo", "Buonanotte, signor Lenin" e altri, tradotti in diverse lingue), è insomma un giornalista e scrittore molto noto.

Nel febbraio di quest’anno è uscito, presso Longanesi, "Lettere contro la guerra", un libro da far leggere a chiunque abbia anche un minimo interesse per la nostra condizione umana. Il titolo è forse un po’ fuorviante: fa pensare subito a prese di posizione più o meno preconcette, quindi a una polemica a senso unico. La realtà delle lettere non è proprio così. Certamente, una delle finalità è proprio quella di dimostrare che la guerra non risolve i problemi, ma li complica e li perpetua. Ma non è la sola.

Terzani deve essere una persona semplice e complessa al tempo stesso. Nel caso di questo libro dimostra di possedere una qualità e una posizione sicuramente non comuni: conosce dall’interno l’Occidente e quindi la nostra civiltà, il nostro modo di pensare. Ha però anche vissuto a fondo e perciò acquisito un’ottima conoscenza dall’interno delle varie realtà politico-sociali dell’Asia. Ha insomma la straordinaria possibilità di guardare, vivere e dare un giudizio equilibrato, da saggio, sulla realtà sia dell’Occidente sia dell’Oriente.

Su questa base si muove l’intero volume, centrato sopra tutto sugli aggrovigliati problemi posti dall’11 settembre e dal conflitto tra gli Stati Uniti e il terrorismo islamico, concretizzato nella guerra in Afghanistan.

Ogni singola missiva risulta mandata da una località di versa: "da Orsigna","da Firenze","da Peshawar", "da Quetta", "da Kabul", "da Delhi", "dall’Himalaya". Le pagine iniziali ("10 settembre 2001: il giorno mancato") pongono subito in chiaro in che senso e in quali confini si muove l’autore: "Forse perché ho passato tutta la mia vita adulta in Asia e davvero sono ora convinto che tutto è uno e che la luce ha in sé il seme delle tenebre e che al centro delle tenebre c’è un punto di luce, mi venne da pensare che quell’orrore a cui avevo appena assistito (si riferisce ovviamente alla tragedia delle Torri Gemelle) era... una buona occasione". Per fare cosa? "per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla".

Da quale idea parte Terzani? "Duemilacinquecento anni fa un indiano... spiegava una cosa ovvia: che ‘l’odio genera solo odio’ e che ‘l’odio si combatte solo con l’amore’. Pochi l’hanno ascoltato. Forse è venuto il momento". D’altronde, "che differenza c’è fra l’innocenza di un bambino morto nel World Trade Center e quella di uno morto sotto le nostre bombe a Kabul?" Nessuna. E allora è necessario "capire a fondo" il mondo degli altri, "se vogliamo evitare la catastrofe che ci sta davanti". Solo interrompendo il ciclo ("una forma di violenza ne genera un’altra") "si può sperare in una qualche soluzione".

Per Terzani, insomma, l’uomo, che sia bianco o nero, asiatico o americano o africano o europeo, resta sempre un uomo, ossia un essere da cercar di capire e rispettare senza eccezioni. "Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno" riusciremo a salvarci.

Idee certo non di oggi e quindi di non grandissimo interesse, si direbbe. Qui però c’è qualcosa di particolare, di specifico. Già il fatto che queste sue lettere l’autore le data da posti così disparati è abbastanza indicativo. Ma quello che più conta è che lo fa da giornalista, da scrittore, e soprattutto da cittadino del mondo fin nel suo intimo; lo fa, come abbiamo accennato, con perfetta cognizione di causa, ossia conoscendo realtà e problemi dall’interno e quindi esprimendosi con pacatezza, ma insieme con ferma determinazione, con tutta la documentazione necessaria a provare la verità di quanto scrive.

Parla delle Torri Gemelle, di Bin Laden e dei Musulmani, del saggio della Fallaci, dei Talebani nella loro storia e nella realtà presente, dei Tablighi, della vera condizione di Kabul e da dove viene, dell’India e dell’Afghanistan, delle sue riflessioni conclusive dall’Himalaya.

Fa ruotare, in altri termini, l’intero libro intorno alle tematiche e alle tragedie che hanno colpito l’umanità negli ultimi mesi. Fino al 17 gennaio 2002, data dell’ultima lettera.

Prendiamo ad esempio la lettera da Firenze, indirizzata alla Fallaci e al suo clamoroso intervento a proposito delle Torri Gemelle. Sono amici d’infanzia e come tale si rivolge a lei. Non ci sono animosità o sfoghi emotivi, ma la calma di chi può vedere le cose in un orizzonte molto più ampio, il ragionamento controllato non sulla base di idee o posizioni politiche precostituite, ma mostrando chiaramente, dati alla mano, la realtà del mondo contro cui l’America e i suoi alleati combattono. Qui come altrove, in altre parole, mette in rilievo punti di vista diversi, mentalità e situazioni lontanissime dalle nostre, ma fondate sulla storia, su esperienze molto diverse da quelle su cui ci basiamo noi.

Non esiste nessun tipo di antiamericanesimo o antioccidentalismo. L’autore cerca soltanto di controbattere le tesi e i furori della Fallaci con la saggezza di chi conosce molto bene tutte e due le parti e mette perciò in guardia dal giudicare unilateralmente, dal comportarsi come chi ha demonizzato l’avversario per giustificare le proprie azioni riprovevoli.

Il volume, in conclusione, diventa un’illuminazione continua per il lettore non specializzato, un testo fluido, venato anche di poesia in certi punti, che, sulla base di precise nozioni e documenti, fa arrivare in fondo con la coscienza di aver veramente imparato qualcosa di sostanziale per la nostra vita, per il nostro futuro.

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