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QT n. 22, 21 dicembre 2002 Servizi

Ma sì, facciamoci del male!

Solitamente, chi entra in sintonia con la parte più moderna dell’opinione pubblica vince le elezioni e, soprattutto, determina la linea politica del governo. Dopo la nascita della Casa dei Trentini, la sinistra avrebbe sotto il naso un’occasione d’oro per tornare protagonista. Ed invece …

Con un po’ d’ottimistica ironia, si potrebbe sperare che la guerra per bande nella quale sono piombati, nelle ultime settimane, i Ds e la sinistra trentina, si riveli alla fine essere, per dirla con Edgar Morin, un "caos creativo". Ma, in questo caso, di ottimismo ne serve davvero molto.

E’ sicuramente vero che la sinistra è reduce da una legislatura deludente, nella quale si è autocollocata in una posizione marginale, da dove è poi stata incapace di influenzare le scelte strategiche del governo provinciale. Dalla Val Jumela in poi, si è assistito ad un’inesorabile parabola discendente: con la scelta di tenere un comportamento opportunista su quella vicenda (si vota contro, ma si lascia correre), la sinistra non ha soltanto perso la cruciale battaglia simbolica sulla modernizzazione del Trentino e sulla "moralità" del governare, ma ha perso anche la sfida, interna al centrosinistra, su chi determina la linea politica della Giunta. Da quel momento, l’unico capo è stato Dellai e la sinistra si è limitata a fare la stampella.

Ridotta a non contare quasi nulla, la sinistra è poi entrata progressivamente in crisi di credibilità, di ruolo e di consenso. L’epilogo finale sembra un libro già scritto: faide interne, scissioni, rancori personali.

E se da un lato il segretario dei Ds Bondi appare asserragliato nel fortino, dall’altro lato i più scaltri, fiutato l’affare di una legge elettorale che non penalizza la frammentazione, cercano le vie di fuga per abbandonare la nave. Nel frattempo, si discute di nomi, di simboli, di soggetti politici nuovi, di taumaturgiche case dei riformisti, di comunità da costruire dando vita all’ennesimo partitino, e di altra penosa aria fritta. A che serve?

Una parentesi, in questi casi, è indispensabile.

La frammentazione dei partiti produce, sempre, effetti perversi. Anzitutto, i Consigli diventano caotici ed ingovernabili. Pertanto, la maggioranza dell’opinione pubblica, che ha bisogno di stabilità di governo e di risposte chiare, finisce per legittimare la concentrazione dei poteri nelle mani di uno solo.

In secondo luogo, il diritto dei cittadini di partecipare alla politica, concorrendo con le proprie idee a determinare le scelte e a selezionare le classi dirigenti, è ancor più calpestato. L’ideale sarebbe avere un sistema bipartitico, in maniera tale che iscrivendosi ad un partito si possa acquisire il diritto di alzare la manina nei congressi per votare leadership e programma (l’idea delle primarie dell’Ulivo andava esattamente in questa direzione). Se però il sistema è quello delle coalizioni di partiti, e queste scelte sono pertanto appannaggio della "Loya Girga" (le riunioni tra i segretari di partito che assomigliano all’assemblea dei capitribù afghani), allora creare nuovi partiti significa legittimare ancor più questa logica e ridurre parallelamente il peso specifico dei singoli cittadini. Insomma, un calcio nei denti alla politica partecipata.

Infine, c’è poco da lamentarsi della crisi dell’Ulivo, che nasce proprio dalle sue divisioni interne, se, giusto per dare un contributo, si concorre a peggiorare la situazione moltiplicando i partiti (tra l’altro, non è un caso che a livello nazionale, per rivitalizzare l’Ulivo, si stia pensando di introdurre le primarie ed il principio delle decisioni a maggioranza tra gli eletti).

Che significa tutto questo? Significa che in un sistema di democrazia dell’alternanza i partiti vanno considerati niente più che come delle scatole, degli strumenti attraverso i quali esercitare la democrazia. E significa che quando non si condivide la linea della dirigenza di un partito e si vuole partecipare direttamente alla politica (non limitandosi cioè a giudicarla attraverso il voto), allora ai partiti ci si iscrive e si dà battaglia dall’interno, utilizzando la regola democratica delle decisioni a maggioranza tra gli aderenti per tentare di cambiare la rotta, ma accettando anche di rimanere in minoranza, riprovandoci la volta successiva, se nei congressi prevale democraticamente una linea diversa. Fondare un nuovo partito quando si perde una battaglia interna significa invece rifiutare la logica democratica, significa sbeffeggiare il diritto di partecipare in nome di convenienze personali.

Tornando alla crisi della sinistra trentina (e alla necessità di tentare di imprimere un cambiamento alla linea politica della Giunta provinciale), siccome non siamo delle educande, possiamo anche non scandalizzarci se qualcuno fonda un nuovo partito. A patto però che ciò serva per produrre un qualche risultato concreto sulle scelte di governo. Si può insomma anche presentarsi alle elezioni contro Dellai, se vi fosse una qualche speranza di vincere la partita e di prenderne il posto. Al limite, vi sarebbe una logica (estrema) anche se lo scopo dell’operazione fosse quello di far perdere Dellai. Ma l’avventura di ‘Costruire Comunità’, pur con tutti i nostri auguri, non potrà sortire né l’uno né l’altro effetto. E quindi, a che serve?

Peggio ancora sarebbe se quel nuovo partito ambisse a presentarsi all’interno della coalizione di centro-sinistra, a sostegno di Dellai: per contestare la Loya Girga, si vorrebbe entrarci! E poi, quale sarebbe la differenza rispetto all’attuale legislatura, nella quale Passerini ha pur sempre fatto parte della maggioranza provinciale?

Sull’altro versante, ancor più incoerente appare il comportamento del deputato Luigi Olivieri. E’ un convinto sostenitore del maggioritario, è stato tra i fondatori di Artemide (l’associazione dei parlamentari che si battono per far nascere il partito unico dell’Ulivo), si lamenta del fatto che nella nostra legge elettorale non è stata introdotta una soglia di sbarramento e poi, per manifestare il proprio dissenso verso il gruppo dirigente dei Ds trentini, minaccia anch’egli di fondare un nuovo partito. Anche in questo caso, non ci si può lamentare del fatto che le cose non vanno e poi minacciare di farle andare peggio.

Tutto questo non toglie che l’esperienza dei Ds in questa legislatura sia stata deludente. E che il problema sorge anche dal fatto che l’attuale dirigenza fatica a riconoscere questo bilancio non proprio entusiasmante. Sarà anche vero che i comportamenti di Passerini e di Olivieri possono spiegarsi col loro interesse privato a farsi eleggere in Consiglio provinciale (entrambi non potrebbero candidarsi coi Ds). E che sia l’uno che l’altro, in questa legislatura provinciale, non sono stati altrove. Tuttavia è evidente che, se c’è questo fuggi fuggi, vuol dire che la nave, checché ne dica il capitano, tanto in salute non é. Qual è, allora, la malattia? Che cosa non va? E cosa si potrebbe fare per sperare di imprimere al governo provinciale della prossima legislatura una svolta riformatrice?

Le idee, alla sinistra e ai Ds, non mancano. È vero che si potrebbe fare un lungo elenco delle battaglie perse e delle riforme mancate, ma quasi in ogni frangente la posizione tenuta dalla sinistra e dai Ds è stata, in ogni caso, quella più in sintonia con le speranze di cambiamento di questa provincia e con l’idea di uno sviluppo solido, fondato sulla valorizzazione del patrimonio ambientale e sull’investimento sulla conoscenza, anziché sui soliti contributi di mamma Provincia. La linea politica della sinistra è insomma, nell’attuale panorama politico provinciale, quella più orientata al futuro. Lo stesso Bondi, in occasione dell’assemblea annuale con Fassino, ha dimostrato di avere le idee chiare su cosa serve al Trentino.

Ciò che manca, è la spiegazione del motivo per il quale, in questi anni, quelle idee non si sono tradotte che in minima parte in scelte di governo. E del motivo per il quale si ritiene, invece, che ciò sarà possibile nella prossima legislatura. C’è, insomma, un deficit di credibilità. I bei discorsi appaiono specchietti per le allodole e di questo gruppo dirigente, colpevole o innocente che sia, si fatica ormai a fidarsi.

Eppure, dopo la piega provincialista e conservatrice assunta dalla Margherita con la nascita della Casa dei trentini, e dopo una legislatura nella quale il governo provinciale ha saputo consolidare e rafforzare il consenso ma non entusiasmare, vi sarebbe un’occasione d’oro per intercettare il favore della parte più moderna e dinamica dell’opinione pubblica, che oggi non si sente rappresentata e che pertanto è in cerca di interlocutori. E l’esperienza dimostra che, chi entra in sintonia con quell’élite economica e culturale, è legittimato al ruolo di protagonista nella definizione delle scelte di governo.

Per riacquistare la necessaria fiducia, servirebbe un po’ di aria fresca, dando la sensazione di un rinnovamento, di una svolta, di un cambio di rotta. Al limite, anche senza ribaltoni al vertice, sarebbe sufficiente che si trovasse il coraggio di parlare con sincerità, anziché trincerarsi dietro un non credibile "va tutto bene". Difficilmente questo auspicio si concretizzerà, ma l’impresa risulta ancor più ardua se, anziché battersi assieme, ci si frantuma in mille partitini.