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QT n. 4, 22 febbraio 2003 L’editoriale

Furia vendicativa

Non c'è razionalità, per quanto abominevole, nel frenetico assalto a Bagdad. E' solo una reazione terrorizzata, e quindi disastrosa, alla vulnerabilità americana del dopo due Torri.

Temo che sia anche peggio del petrolio. Se fosse solo la bramosia di mettere le mani sui copiosi giacimenti irakeni la molla che spinge Bush nel suo frenetico assalto contro Bagdad, la questione, pur nel suo intrinseco abominio, resterebbe comunque sempre nell’ambito del razionale. Sarebbe dominata cioè dalla logica che governa gli affari economici. In tale ordine di questioni vige un rigoroso calcolo di convenienza, e l’apprezzamento dei benefici attesi da un’azione predatoria è temperato dalla valutazione dei costi necessari per attuarla. Nel conto dell’impresa talvolta sono accettati gli alti costi iniziali, come nel caso nostro le operazioni belliche, la lievitazione delle quotazioni del barile di petrolio e la depressione delle borse, nella ragionevole aspettativa di un ritorno vantaggioso nel medio e lungo termine. In tali progetti si applicano calibrate previsioni sulle reazioni causali provocate, nell’intento di prefigurare con il massimo di approssimazione il risultato finale. Tutto ciò presuppone una freddezza psicologica ed una lucidità mentale di alto livello.

Ma nei comportamenti di Bush, del suo vice Cheney e di "Condolcezza" Rice, la sua più intima consigliera, sebbene tutti e tre esponenti del cartello petrolifero, non si ravvisa né freddezza psicologica né lucidità mentale.

Dalle loro parole trasuda soltanto impazienza, stizza, testardaggine. Impazienza per i tempi e le procedure imposte della legalità internazionale. Stizza rabbiosa verso gli alleati critici e riottosi. Testardaggine innanzi ai rapporti per niente allarmanti degli ispettori dell’Onu. L’intolleranza verso le resistenze al loro progetto giunge a sfidare con ottusa caparbietà l’intera Comunità internazionale annunciando che attaccheranno anche senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza. Non esitano a ricorrere a carte false pur di dare un’apparenza di fondamento alle loro accuse. Hanno elaborato una barbarica dottrina della guerra preventiva ed introdotto in patria misure di controllo così restrittive e trattamenti ai prigionieri talebani o sospettati di terrorismo così inumani da mettere a rischio gli stessi principi della civiltà occidentale che con la guerra programmata affermano di voler difendere. Alimentano una psicosi da terrorismo che sfiora la nevrosi collettiva.

Dunque c’è dell’altro. Vi è un’altra molla che li eccita: è il terrore. Il quale, come movente ispiratore delle attività umane, è anche più esiziale dell’avidità e della volontà di potenza. E’ addirittura rovinoso. Cancella la lucidità intellettuale. Gonfia l’emotività. Provoca la furia. Sprona a reagire in maniera purchessia. Se il nemico non si conosce lo si immagina, lo si inventa, per dare addosso a qualcuno. L’esplosione dell’enorme energia posseduta diventa quasi un esorcismo, un rito violento nell’illusione di liberarsi da una forza occulta e malefica, quella appunto che ha provocato il terrore. L’11 settembre è stato un colpo terribile. Per tutti noi, ma ancor più per il governo e per gran parte del popolo degli Stati Uniti. E’ stato grande il lutto per le vittime che ha provocato. Ma molto di più, più profonda, più sconvolgente, più duratura, è stata la diffusa percezione dell’insicurezza generalizzata che ne è derivata. Come l’ergersi di un maligno fantasma inafferrabile, annidato dappertutto, minaccioso ovunque ed in ogni momento.

E’ da questo scenario che germoglia la guerra infinita. Che, a ben vedere, non è nemmeno vissuta come una guerra "preventiva" poiché è solo una risposta all’11 settembre, e cioè niente altro che una "difesa" dall’imponente e misterioso pericolo terrorista. Ma condotta appunto in preda al terrore: senza freddezza e senza lucidità. E’ dunque una difesa non proporzionata all’offesa e per di più niente affatto efficace a neutralizzare la fonte. Quindi non è legittima. Non lo è stata in Afganistan, dove ha ucciso un grande numero di persone innocenti ed ha preservato Bin Laden e la sua organizzazione clandestina, dove ha smontato il regime talebano ma non ha importato la democrazia. Non lo sarà in Iraq, ove le devastazioni che provocheranno gli innumerevoli missili saranno un fertile nutrimento di odio duraturo.

E’ vero: Sadam Hussheim è un serial killer: ha massacrato i curdi, come l’amica Turchia; ha fatto la guerra contro l’Iran, per conto dell’Occidente; ha invaso il Kuwait, ma ne è già stato cacciato; non fornisce l’impossibile prova di non aver armi, ma gli ispettori non ne trovano; è un dittatore oppressivo del suo popolo, come tanti altri nel mondo. Dopo lui, a chi altri toccherà la stessa sorte? Contro chi si abbatterà la furia vendicativa mentre la rete clandestina del terrorismo, indisturbata da una reazione così cieca ed anzi da essa alimentata, continuerà a crescere ed operare? E’ il modello che "in miniatura" vediamo ormai da troppi anni insanguinare Israele e Palestina che si profila come imminente scenario globale. E’ questo che può capitarci se i milioni di pacifisti che hanno invaso le città di tutto il mondo il 15 febbraio non riusciranno a ridurre a ragione il governo degli Stati Uniti ed a convincere il Consiglio di sicurezza dell’ONU che altre sono le vie della civiltà.