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Una sentenza che non convince

L’assoluzione “per insufficienza di prove” è stata abolita. Ma non del tutto...

Con sentenza dell’ 8 luglio 2002 (vedi Diritto penale e processo, n° 3 del 2003, pag. 317) la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che l’imputato assolto in base all’articolo 530 cpp non ha interesse all’impugnazione. Nel caso di specie l’imputato era accusato di abusi sessuali nei confronti di una donna minorata. Il dispositivo utilizzato dalla Corte di Appello, della cui decisione si doleva l’imputato, era quello della assoluzione ai sensi dell’articolo 530 comma 2°, e la motivazione poggiava sulla insufficienza e contraddittorietà delle prove.

La sentenza non convince, anche se si rifà a una giurisprudenza che risale alla decisione delle Sezioni Unite del 23 febbraio 1996 n°2110. Va ricordato che il nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore nel 1989, ha abolito formalmente la formula "per insufficienza di prove" (contro cui ogni imputato poteva appellarsi), e ha precisato nell’art. 530 cpp la formula assolutoria distinguendola in due commi:

1°) se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato, ecc.;

) quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova.

In entrambi i casi il giudice deve assolvere, ma l’identità della formula assolutoria non cancella la diversità strutturale dei contesti espressi nei due commi. In altre parole, sotto la stessa formula si riproduce la distinzione tra assoluzione piena e assoluzione dubitativa.

Perché dunque l’imputato non avrebbe interesse (art. 568 comma 4°) ad impugnare la sentenza che getta un’ombra sui fatti o sulla sua condotta? L’assoluzione fondata su prova dubbia (che si ricava dalla motivazione) presenta la caratteristica di produrre effetti negativi per l’imputato, nonostante il dispositivo formalmente liberatorio. Una cosa infatti è dichiarare l’innocenza sul presupposto che la prova sia incerta o contraddittoria; altra cosa invece è affermare che le risultanze probatorie permettono di escludere con certezza che l’accusato abbia commesso il reato. Fra dubbio e certezza vi è una differenza ontologica.

Si deve concludere quindi che quando la prova manca, è insufficiente o contraddittoria, l’accusato assolto ha interesse a impugnare, perché solo un giudicato penale che contenga in termini precisi il puntuale accertamento dell’insussistenza del fatto o della impossibilità che l’imputato l’abbia commesso, non solo non arreca alcuna negativa conseguenza di carattere morale o sociale, ma genera effetti preclusivi nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari. Del resto l’articolo 593 comma 2° dispone che "l’imputato non può appellare contro la sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto", con ciò escludendo ogni altra ipotesi. La Cassazione non ha tenuto conto che la situazione è radicalmente diversa quando le prove del fatto o della condotta sono insufficienti o contraddittorie. La differenza tra i commi 1° e 2° dell’articolo 530 cpp è illuminante, attestando il diverso peso morale e giuridico tra l’una e l’altra ipotesi di assoluzione.

Concludendo: se per esempio un cittadino viene accusato di omicidio, che non ha commesso, e viene assolto con motivazione dubitativa a norma del 2° comma dell’articolo 530, non vi è dubbio che ha il diritto di impugnare la sentenza.

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