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Terrorismo: la soluzione è politica

E' ormai evidente il fallimento della guerra come risposta al terrorismo. Però, mentre la 'vecchia Europa' riacquista spazi, la sinistra italiana stolidamente si divide.

E’ troppo facile condannare il terrorismo. L’attentato terroristico è il delitto più infame che
si possa immaginare. E’ insidioso perché, nonostante le sue motivazioni politiche, si nasconde nella più impenetrabile clandestinità. Ha una elevata efficacia distruttiva perché esplode in luoghi affollati. E’ di una mostruosa irrazionalità perché colpisce vittime non solo innocenti, ma anche selezionate secondo un criterio di mera casualità. Se poi l’autore è un attentatore suicida la sua abiezione si intride di una genesi innaturale e misteriosa. E’ dunque facile per tutti noi condannare il terrorismo.

Madrid: manifestazione in risposta agli attentati dell'11 marzo.

La spontanea ed imponente manifestazione del popolo spagnolo dopo la tragedia dell’11 marzo ne è la conferma. Anche in Italia dopo i morti di Nassirya vi fu un lutto collettivo e compatto. E dopo l’11 settembre del 2001 tutti ci sentimmo identificati con il popolo degli Stati Uniti. Ma questa è solo la premessa, la tremenda constatazione di una realtà minacciosa e del tutto nuova rispetto ai modelli noti, e non sono pochi, secondo i quali si è manifestata la violenza nel corso dei secoli.

La questione dunque non è condannare il terrorismo. E’ facile farlo a parole ed anche con manifestazioni di massa ed unitarie. Ma poi? La questione vera è cosa fare per contrastarlo, estirparlo e vincerlo.

Il primo monito che si impone a questo riguardo è che non esistono soluzioni semplici per un problema complesso. Semplice, rabbiosa, istintiva è stata la reazione della guerra: in Afghanistan ed in Irak. Non è stata una reazione giusta e nemmeno efficace.

Non è stata una difesa ma una vendetta altrettanto terroristica. Non ha indebolito l’esercito del terrore, lo ha invece rinvigorito. Era facile prevederlo, è stato previsto e così è stato. E’ stata una folle imitazione della sanguinaria inconcludenza della massacrante spirale israelo-palestinese.

Che altro fare? E’ inutile illudersi. Soluzioni sicure ed a breve termine non esistono.

Ci hanno inviato un messaggio terribile: "Voi volete la vita, noi vogliamo la morte". E’ altamente probabile che, in quelle contrade ove la vita è grama e piena di stenti e l’al di là è invece annunciato come un paradiso di salvezza, il sentimento espresso in questo messaggio sia largamente condiviso.

E’ questa del resto l’unica spiegazione dell’altrimenti incomprensibile moltitudine di attentatori suicidi. Che fare dunque?

L’attività di intelligence è certamente importante, può essere migliorata, coordinata, affinata, ma non basta. La soluzione vera è politica. Dialogare con il mondo arabo, con le sue parti moderate e laiche, collaborare per promuovere lo sviluppo economico di quelle popolazioni, estendere l’affermarsi della legalità internazionale potenziando la presenza di una ONU rinnovata, isolando in tal modo i centri del terrore. Cominciando con il chiudere l’infausta partita irakena, sgomberando quel paese da tutte le forze militari straniere. Ora vi si combatte una spietata guerra civile che semina decine di vittime fra i "collaborazionisti". E’ la presenza di un esercito invasore che genera, accanto alla persistente ostilità fra le diverse sette religiose, anche il conflitto fra chi si rassegna all’invasione e chi la contrasta. Occorre rimuovere almeno uno dei motivi che alimentano la guerra civile.

Il popolo spagnolo ha scelto questa strada premiando i socialisti che l’avevano indicata anche prima dell’11 marzo. La "vecchia Europa" l’aveva preconizzata fin da prima che Bush iniziasse la sua guerra preventiva. Lo stesso Blair deve fare i conti con una opposizione interna che cresce, sospintavi dall’indignazione per le menzogne propinate sulle inesistenti armi di distruzione di massa.

La sinistra italiana, che pure aveva avanzato una proposta identica a quella oggi proclamata da Josè Luis Zapatero, si è poi persa nei meandri delle pastoie parlamentari, stolidamente frantumandosi al momento del voto, sfibrando in tal modo l’opposizione all’azione del governo che è così viva nella cittadinanza. Ma perché mai è così difficile in Italia dare un corpo unico alle molte anime della sinistra o del centro-sinistra? Il meschino vizietto della visibilità, la compiaciuta autocompletazione della propria identità, i miseri interessi di bottega, il perdurare di antichi rancori, sono tutti miseri fattori di estrema debolezza. Forse c’è però anche una pregiudiziale povertà culturale che inaridisce ogni speranza.

E’ urgente, io credo, cominciare ad affrontare il problema a questo livello. Non tutto è perduto. Ma il rischio è grande.