Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Il cielo sopra i bambini

Fotoinchiesta. Da “Narcomafie”, mensile del Gruppo Abele di Torino.

Edoardo Gianotti

Di fronte all’evidenza delle immagini di Edoardo Gianotti, raccolte nel volume "Il cielo sopra i bambini", c’è poco da aggiungere. Suonerebbero retoriche le possibili descrizioni delle inumane condizioni di vita in cui milioni di bambini (180 milioni sui 250 che lavorano, secondo le stime Onu) si trovano costretti.

Fatte salve le peculiarità di ogni luogo, dalle miniere andine a quelle lungo il fiume africano Perma, la realtà di sfruttamento è la stessa: giornate trascorse in tunnel claustrofobici, dove di quel cielo si intravede a mala pena qualche spicchio, dove l’aria è rarefatta e i tronchi che puntellano le pareti spesso non bastano a evitare tragici crolli. È la stessa l’esposizione alle malattie, che siano edemi polmonari dovuti all’altitudine delle miniere, fatale per i più piccoli, o la filaria contratta stando a mollo in acque limacciose alla ricerca di qualche pagliuzza d’oro; che siano deformazioni scheletriche provocate da ore trascorse inchiodati a un telaio, o infezioni dovute alla continua manipolazione di fango per la fabbricazione di mattoni.

E, ancora, le stesse sono la ripetitività, la monotonia del lavoro, l’impossibilità di goderne il frutto: nessuno di quei bambini indosserà l’oro che estrae, calpesterà il tappeto che tesse o siederà a scuola tenendo in mano una delle penne che assembla.

Ci sarebbe invece molto da dire sul fotografo, e sull’impronta di una collezione che è stata presentata in occasione della Sessione Speciale per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini. Laureato in antropologia e diviso tra il lavoro di impiegato e fotografo (mestiere che, da autodidatta, lo ha portato a pubblicare su prestigiose riviste nazionali ed estere), nella sua indagine Edoardo Gianotti si è posto una chiara condizione: il rifiuto del voyeurismo, della ripresa pornografica (come lui stesso la definisce) di immagini sadiche, facilissime da cogliere in quei contesti. Una forma di rispetto che rivela l’intenzione di documentare senza aggiungere ulteriore violenza a quella che i piccoli già subiscono. Le fotografie di Gianotti non sono momenti rubati, sono immagini in cui i bambini guardano in camera, immagini, ci dice, "che cercano di rappresentare i bambini così come loro vorrebbero".

Ecco il perché di alcuni sguardi che, nella sofferenza di giornate sempre uguali, svelano l’infanzia negata di quei piccoli; ed ecco il perché di sorrisi inaspettati, segno, secondo il fotografo, di come la dignità umana riesca a sopravvivere anche nelle situazioni più orribili.

Pessimista per natura, Gianotti non riesce a dimenticare il bambino indiano che gli aveva detto come nulla fosse cambiato al passaggio di altri fotografi. Ecco allora lo scopo dei servizi realizzati: indagare sullo sfruttamento minorile al tempo della globalizzazione. Come ha detto l’antropologo Enrico Comba, a guardare le immagini di Gianotti non si vede un mondo che non si è modernizzato, quanto piuttosto un mondo che si è modernizzato troppo. E’ proprio questo il messaggio del fotografo, rafforzato dalla citazione in apertura di volume: un passo (tratto dalla "Grammatica della fantasia" di Gianni Rodari) in cui vengono descritti gli innumerevoli eventi provocati dal lancio di un sasso nello stagno, chiaro riferimento alle influenze che il mondo occidentale esercita sulle comunità più povere, costringendole a impiegare i bambini nel lavoro.

Ma le fotografie di Gianotti, nella loro compostezza, non inducono alla compassione, né, tantomeno, trasformano la denuncia in esorcismo; piuttosto, invitano alla riflessione e alla responsabilità. Prima che all’azione, queste immagini spingono a un ripensamento del punto di vista etnocentrico di un Occidente che, privo di scrupoli nel perpetrare i suoi interessi, si sente poi in dovere di contenere i danni con provvedimenti spesso incapaci di aiutare i popoli di questo mondo. Pur con disincanto, con il suo lavoro Gianotti non rinuncia a dirci che combattere lo sfruttamento minorile richiede di eliminare le forme di sfruttamento più disumane, senza esportare il nostro concetto, rivelatosi in parte fallimentare, di civiltà e felicità. Un messaggio che solo la fotografia con approccio antropologico può darci.