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QT n. 18, 30 ottobre 2004 Monitor

“Viti incrociate”, idee ingarbugliate

Le molte pecche, i dilettantismi, e i pochi pregi della soap opera trentina: un onesto spettacolo da filodrammatica che vorrebbe imitare le produzioni internazionali.

Con tutta la buona volontà, tutte le cautele e tutte le concessioni del caso, ci è davvero impossibile salvare dalla bocciatura la soap-opera trentina "Viti incrociate" in onda su TCA. Il palpabile impegno degli attori e della troupe si traduce sullo schermo televisivo in una produzione che, più che guardare al modello "alto" di "Beautiful" cui sembra rifarsi abbastanza esplicitamente, risulta piuttosto apparentabile alle miserelle telenovelas dell’America Latina. Il problema sta qui: nel cercare di fare una soap "ricca" e produrre un racconto "povero"; nello scimmiottare modelli internazionali, vincenti, di successo, e allestire invece un spettacolo da filodrammatica.

Cerchiamo di condensare le critiche, cominciando dai difettini: gli slogan senza senso (nella sigla: "Niente è più nuovo dell’antico"); i colpi di scena già prevedibili alla prima puntata; i richiami vagamente sessisti all’anti-politica: la moglie di uno dei due imprenditori vitivinicoli protagonisti della soap dice che ai saldi bisogna precedere le "mogli dei consiglieri" (perché, allora, non direttamente "le consigliere"?), che arrivano in auto blu e arraffano tutto.

Già più gravi sono le confusioni tra fiction e pubblicità. Questo avviene in due sensi: intanto, sono inserite nella soap, subito dopo la sigla, esplicite pubblicità di un supermercato, di un ristorante e di un negozio d’abbigliamento. All’interno della seconda puntata viene inquadrata una signora che scende da un’auto marchiata con i loghi della Cesare Ragazzi. Le aziende che sponsorizzano ufficialmente il programma si ritrovano pubblicizzate all’interno della fiction. Ma non vediamo da nessuna parte la scrittina "pubblicità". Poi, quando arriva la pubblicità vera e propria, capita che, mandando avanti il videoregistratore, si faccia fatica a distinguere quando finisce la pubblicità e quando ricomincia la soap. Non solo perché un attore della telenovela recita nella pubblicità, ma anche perché tra le due cose non c’è nessuna differenza dal punto di vista visivo. Non è un bel segno.

La sceneggiatura, che come spunti sarebbe discreta, con alcune battute simpatiche, è gravata da piccoli errori (poco professionali) di coerenza dei dialoghi nei raccordi di montaggio tra un piano e l’altro. Se alla recitazione si perdona tutto, alla regia, invece, è richiesto di prestare attenzione anche ai dettagli.

C’è poi tutta la componente imitativa cui accennavamo. "Viti incrociate" ha gioco facile a collegarsi e imitare la tradizione forte delle soap di successo: l’alta borghesia, le ville, la contrapposizione tra due famiglie. Ma non pensiamo che il pubblico tradizionale che segue le soap possa appassionarsi ad un intreccio che al momento risulta costruito in modo così approssimativo. Il motivo di dignità delle soap-opera sta nel saper catturare l’attenzione dello spettatore con una trama solida, leggibile anche quando racconta fatti complessi. I flussi e riflussi sentimentali, le gelosie, le alleanze trasversali, i tradimenti, vanno inseriti in una struttura chiara. Al momento, non si riesce a ravvisare non diciamo un accenno di "psicologia" dei personaggi (sarebbe troppo), ma nemmeno l’emergere di uno sviluppo narrativo. Se davvero si vuole imitare "Beautiful", allora si impari a chiamare una famiglia Forrester e una Spectra: tutti capiscono subito dove sta il bene e dove sta il male.

A questo punto, non si spiega la polemica (definita "dura" dall’Adige) del regista Nuccio Ambrosino. Nei titoli del quotidiano: "I trentini ci hanno snobbato", "Alla Cavani i milioni, a noi niente…". La questione si è poi trascinata per qualche giorno, con precisazioni da parte del regista ("Mai chiesti soldi alla Provincia"), alcuni commenti sui giornali, una replica di Ambrosino che reagisce in modo scomposto a una critica pubblicata sull’Adige nella pagina delle lettere. Non è però colpa dell’informazione se in conferenza stampa al regista è sfuggito qualcosa di travisabile e giornalisticamente succulento. Ambrosino non può, in onestà, aver pensato di accusare la PAT di non dar soldi per una fiction che ospita pubblicità di trapianti tricologici. Un prodotto commerciale è un prodotto commerciale. Il regista, in comunicati ufficiali, parla piuttosto di "isolamento, in primo luogo culturale, nel quale un team come il nostro si è trovato ad operare". E qui ha la sua parte di ragione. Nel campo della produzione creativa non c’è bisogno di promuovere sigle DOP che proteggano l’origine trentina di un prodotto; casomai, sul modello di altre regioni italiane, l’ente pubblico ha il compito di creare le strutture per facilitare la realizzazione in territorio di fiction di qualsiasi tipo. Comprese quelle di una televisione locale che sta provando a proporre un’alternativa di prime time all’offerta delle tv generaliste.

L’investimento in "Viti incrociate" ci sembra sbagliato. Non è sbagliata, invece, l’idea di valorizzare una televisione locale attraverso una fiction auto-prodotta. Ma le auspicabili alternative al duopolio televisivo si devono andare a scovare in sentieri diversi rispetto a quelli troppo battuti dai programmi mainstream. Un cercatore di funghi, se vuol trovarne, non può seguire in fila indiana altri cercatori. Anche se hanno il cesto pieno.

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