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QT n. 21, 11 dicembre 2004 Monitor

“Medea”: non esiste dolore più grande dell’amore

La "Medea" di Abbondanza-Bertoni: la classicità rielaborata, in un teatro-danza convincente.

Una nebbia impenetrabile avvolge il palcoscenico del Teatro Sociale e il pubblico, dapprima incuriosito e poi sempre più coinvolto, assiste al susseguirsi delle tormentate apparizioni della "Medea" proposta dalla Compagnia Abbondanza-Bertoni. La tragedia è già nell’aria, aleggia impalpabile sulla scena e a poco a poco inizia a prendere corpo, con sempre maggior intensità, nel movimento nervoso e contratto dei danzatori. Si tratta di una modalità altamente significante, capace al contempo di raccontare la vicenda e di condensare nei sussulti del corpo i moti d’animo dei protagonisti; la narrazione gioca sul contrasto tra immobilità e movimenti velocissimi, tra la gestualità della danza contemporanea e quella delle arti marziali, tentando di trasmettere l’atto tragico attraverso forme archetipe ed espressive.

Questa versione di "Medea" attinge alle fonti classiche, rielaborate in chiave personale, e si articola in tre quadri: l’incanto dell’innamoramento, il disincanto dell’amore perduto e la tragedia della vendetta, che si conclude col momento drammatico del sacrificio dei figli. Gli effetti scenografici ruotano intorno alla presenza di un enorme ponte levatoio, i cui schianti distinguono i vari momenti dell’azione e permettono ai personaggi di entrare ed uscire dalla scena. L’allestimento è essenziale ma significativo: qualche oggetto impagliato, la nebbia che a tratti offusca la scena, l’assoluto contrasto tra il fondale nero e il lenzuolo bianco che copre il palco.

Il gioco di colori viene ripreso anche nei costumi e rimarca l’idea di una lotta continua tra forze contrastanti. Medea, col suo abito candido e il suo inerme abbandonarsi alle forze del destino, incarna la purezza e il mito della donna vittima della società e delle convenzioni, alle quali riuscirà infine a sottrarsi, macchiandosi però l’anima (e la veste) della nera colpa scaturita dall’infanticidio.

L’epilogo non viene caricato di un’eccessiva drammaticità, si gioca al contrario su tutto ciò che prepara il cupo evento; oltre alla qualità tragica del gesto, fondamentale è l’impatto dei presagi sonori: i violenti colpi provocati dallo scoccare delle frecce di Eros, lo schiamazzare degli animali, il ripetuto passaggio di un cavallo al galoppo. Il sentimento doloroso pervade l’intera creazione e trova il suo culmine nel sacrificio finale che conduce alla rassegnata accettazione di Medea e all’eterno vagabondare dell’incredulo Giasone.