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QT n. 6, 25 marzo 2005 Monitor

“Cuore sacro”

Ferzan Ozpetek propone una rilettura, attualizzata, di "Europa ’51" di Rossellini. Ma esagera: nella trama, nelle citazioni, nella ricchezza e bellezza plastificata di ambienti e personaggi.

"Europa ’51", di Roberto Rossellini, racconta la storia di una donna, Irene, interpretata da Ingrid Bergman, che in seguito alla morte suicida del figlioletto si dedica anima e corpo alla cura dei poveri. Finirà per essere internata in un manicomio dalla sua famiglia alto-borghese. Lo stridente concatenarsi degli eventi fa di questo film un capolavoro di logica narrativa e di tensione drammatica.

"Cuore sacro", di Ferzan Ozpetek, parla di un’altra Irene, donna in carriera (ramo immobiliare), che in seguito al suicidio da lei con-causato di una coppia di amici, alla conoscenza di una bambina dei bassifondi e alla scoperta della stanza sigillata in cui era "impazzita" sua madre decide di cambiare vita e aprire un suo palazzo romano trasformandolo in mensa per i poveri.

Ferzan Ozpetek avrebbe potuto girare un buon remake di "Europa ’51": ha confidenza con il registro melodrammatico, conosce bene la storia del cinema italiano, ha uno sguardo etico (e trascendente) che per certi versi ricorda quello dei maestri del neorealismo. Ma Ozpetek non ha voluto rifare "Europa ’51"; ha scelto di rileggerlo, di attualizzarlo, di rilanciarne il messaggio. Se la sincerità di Ferzan Ozpetek può anche essere la stessa di Roberto Rossellini, c’è un abisso nel modo con cui i due registi sono riusciti a dare corpo alla loro passione civile.

Già il confronto tra le due trame permette di scoprire quanto fondati siano i passaggi logici di "Europa ’51" e farraginosi quelli di "Cuore sacro": allo sviluppo narrativo di quest’ultimo servono addirittura tre eventi per far spuntare nella mente della bella e fredda imprenditrice un ripensamento etico sul mondo esterno a quello dorato della sua professione. Tuttavia, la triplice spiegazione psicologica alla sua "sbandata" filantropica rimane senza reale capacità di presa descrittiva: nella scena di apertura, il suicidio della coppia di ricchi amici (dopo la cena preparata dalla filippina, i due fanno il salto dal balcone della loro casa con splendida vista notturna su Roma) è talmente enfatico e patinato da far partire azzoppato il film; la bambinetta che funge da angelo rivelatore ha nella storia un ruolo appena bidimensionale; infine, la figura della madre di Irene è privata di ogni approfondimento psicologico che ne sottolinei il destino che la lega alla figlia (ad aggiungere confusione, il finale suggerisce una capriola della storia che fonde le figure di Irene e della mamma).

Il carattere di necessità del racconto di Rossellini si trasforma quindi nello specchio di Ozpetek in un confuso formicolio di idee - buone, cattive - che intendono affrontare più temi di quanti il regista riesca a padroneggiare. Oltretutto, "Europa ’51" riusciva a far stare male, a commuovere e ferire anche grazie alla sua semplicità produttiva, narrativa e stilistica, mentre "Cuore sacro" appoggia il suo fragile racconto su scelte sofisticate: nei movimenti di macchina, nella fotografia, nella selezione delle location e degli attori. Ozpetek vuole servire la causa dei poveri e degli oppressi abbondando in ricchezza produttiva; descrivere il senso di colpa dell’essere ricchi immergendoci voluttuosamente in ambienti lussuosi; mostrare il mondo del volontariato e della vita di strada assegnando i ruoli dei personaggi a interpreti con facce e corpi da sfilate di moda: è bellissima l’imprenditrice Barbora Bobulova, è bello sia il giovane prete sia il ragazzo diventato barbone in seguito a un knock-out sentimentale. La storia, in questa maniera, non può che risultare finta e plastificata.

Ozpetek ha voluto omaggiare anche un’altra famosa Irene cinematografica, la protagonista de "Il bacio della pantera" di Jacques Tourneur (1943). Il film è citato non solo nella sequenza, non troppo necessaria, in cui Barbora Bobulova si sente minacciata da ombre mentre nuota in piscina; anche la stessa introduzione del personaggio di Irene risente dell’atmosfera di sfuggente mistero che circonda la Simone Simon di Tourneur, che si porta dentro un indicibile passato. In questo senso, il richiamo funziona bene: entrambe le figure femminili hanno qualcosa di interiore da nascondere - una l’animalitas, l’altra la pietas. Ma anche in questo campo citazionista o storico-figurativo all’orchestrina di Ozpetek scappa più di una stecca: la scena in cui Irene raccoglie il barbone mimando la scena della pietà è da ridicolo involontario. E circa la stessa cosa per la scena in cui la Bobulova, come San Francesco, si spoglia nuda in metropolitana: troppa ingenua sincerità, troppa stilizzazione.

A proposito di "Cuore sacro", si è voluto parlare anche dell’(ennesimo) ritorno alla spiritualità. Fa sorridere che l’Italia abbia dovuto adottare un musulmano per realizzare un film "religioso" risultato molto gradito in Vaticano. Questa appartenenza mista sgancia in effetti il film dal rischio di risultare catechistico, ma lo fa infilare allo stesso tempo nella lavatrice della new age, dove le identità diventano indistinguibili come i colori dopo una centrifuga mal calibrata.

Nel film, la madre di Irene aveva riempito la stanza in cui era reclusa di una serie di oggettini delle religioni più disparate e di scritte su tutti i muri in una lingua sconosciuta. E’ un po’ quello che fa Ozpetek. Molta sincerità, molte idee, ma l’esagerazione che c’è nei gesti della madre di Irene si ritrova tutta nell’astrazione del film, incapace alla fine di mantener fede alla sua volontà di mettersi al servizio di una buona causa.

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