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Referendum, perché abolire il quorum

Un meccanismo perverso: per il quale, con la propaganda astensionista, è la minoranza (consapevole di esserlo) a decidere sulle questioni.

In una qualsiasi consultazione elettorale la percentuale di coloro che si recano alle urne sta progressivamente scendendo, in Italia, verso i valori tipici delle democrazie avanzate. Ciò non è, di per sé, né un male né un bene, è semplicemente naturale. Come ho scritto tempo fa su questo stesso giornale nel corso di un botta e risposta con Renato Ballardini riguardo al grado di legittimazione della presidenza Bush (Dio ci salvi l’America (nonostante Bush)), ciò che conta, per essere in democrazia, è che (oltre a tante altre cose) sia riconosciuto ai cittadini il diritto di voto, non quanti elettori decidono di avvalersi concretamente di tale diritto. Tanto è vero che le percentuali di votanti vicine al 100 per cento sono tipiche dei regimi totalitari. Il fatto che nelle democrazie mature vadano a votare in pochi, infatti, è spesso indice del fatto che il sistema è ritenuto, dai cittadini, stabile e sicuro.

Alle recenti elezioni comunali in Trentino – per prendere un riferimento vicino, geograficamente e temporalmente – il tasso di affluenza alle urne è stato del 75 per cento al primo turno e del 60 per cento nei ballottaggi. Nei referendum è naturale che percentuali come queste si abbassino considerevolmente: manca l’esercito dei candidati mobilitati a raccogliere voti; il referendum, quale che sia la materia sulla quale è indetto, è generalmente considerato dai cittadini meno importante delle elezioni; si vota a ridosso dell’estate, quando, se non si è già in vacanza, è comunque probabile che si sia fuori per un weekend di riposo; eccetera.

Insomma, nella migliore delle ipotesi, se in una consultazione referendaria tutte le forze politiche e tutte le associazioni si mobilitassero per invitare i cittadini ad andare a votare, difficilmente si riuscirebbe ad andare oltre il 60 per cento di votanti. Spesso, in molti Paesi occidentali, ai referendum partecipa solo il 30 o il 40 per cento degli aventi diritto e la cosa non fa notizia, per il semplice motivo che è ritenuta normale.

Nel referendum del ’91 sulla preferenza unica, che segnò una svolta epocale per la democrazia italiana, avendo decretato la fine del sistema di potere della prima Repubblica, alle urne si recò il 62 per cento degli aventi diritto. Se in quell’occasione il Papa si fosse lasciato scappare che Dio preferisce le preferenze multiple, oggi l’Italia sarebbe probabilmente ancora governata dal pentapartito.

In queste condizioni, è evidente che, in presenza di una normativa che prevede un’affluenza alle urne minima del 50 per cento per dichiarare valida la consultazione, è sufficiente che i sostenitori del no, per pochi che siano, invitino all’astensione, perché il referendum fallisca.

Il risultato di questo meccanismo è perverso. Perché a decidere finisce per essere la minoranza, anziché la maggioranza. È insomma una democrazia all’incontrario.

Ecco perché invitare all’astensione, se è formalmente legittimo, è moralmente antidemocratico. È un po’ come se – per usare una metafora berlusconiana – una squadra che stesse perdendo in una finale calcistica rubasse il pallone a due minuti dalla fine e le autorità stabilissero di assegnare a tavolino la vittoria proprio a quella squadra. Per dirla invece col linguaggio dei politologi, l’invito all’astensione è una pratica ostruzionistica.

Ora, siccome non è possibile impedire con la forza a chicchessia di invitare a disertare le urne, né è immaginabile mandare i carabinieri a prelevare gli elettori nelle loro case per condurli ammanettati ai seggi, non rimangono che due soluzioni: o ci si rassegna al fatto che l’Italia è l’unica democrazia al mondo nella quale l’istituto del referendum non esiste (perché è nel concreto inutilizzabile), oppure si introduce anche in Italia il sistema che vige pressoché ovunque fuori dai nostri confini nazionali, ossia si abolisce il quorum e i referendum si dichiarano validi qualunque sia la percentuale di votanti.

In base a quale principio si è stabilito che i referendum sono validi solo se si raggiunge un quorum del 50 per cento? E perché invece le elezioni politiche (nelle quali si eleggono coloro che fanno le leggi che poi dovrebbero poter essere cancellate coi referendum) sono sempre valide a prescindere da quanti vanno a votare? Mistero.

In base a quale principio si è stabilito che i referendum si possono tenere solo in primavera inoltrata? E perché i referendum possono essere solo abrogativi e non propositivi? Altri misteri.

In quasi tutte le democrazie avanzate il ricorso al referendum è frequentissimo, si chiamano i cittadini ad esprimersi su tutto, dalle dimensioni dei marciapiedi alle più complesse modifiche costituzionali. Ci sono consultazioni referendarie in continuazione, in ogni periodo dell’anno.

E che vincano i no o i sì, le consultazioni sono sempre valide.

Se così fosse stato anche in Italia, il Cardinale Ruini avrebbe ugualmente detto che "sulla vita non si vota"? (Eppoi, se "sulla vita non si vota", perché il Vaticano ha benedetto un Parlamento che ha votato sulla vita?).

Se il risultato del referendum fosse stato valido a prescindere dalla percentuale di votanti, Dio (parola del suo portavoce) avrebbe ugualmente invitato i fedeli ad "astenersi da ciò che a Lui non piace"? Per carità: se lo dice Dio (tramite il Papa) c’è davvero da crederci. Ma avrebbe fatto un bel favore ai promotori del sì.

Due ultime considerazioni. Qualcuno si chiederà per quale motivo, se in presenza dell’attuale normativa è quasi impossibile condurre al successo un’iniziativa referendaria, i promotori del sì hanno promosso questa consultazione, ottenendo l’effetto contrario a quello desiderato. Renato Ballardini ha parlato, nell’ultimo numero di QT, di "generoso errore". Ma - rispondo - oggi saremmo qui a discutere di abolizione del quorum se nessuno promuovesse più alcun referendum?

La seconda considerazione, amara, è che in Trentino, nella scorsa legislatura provinciale, quando Lorenzo Dellai presentò il disegno di legge sull’elezione diretta del Presidente della Provincia, il suo testo prevedeva, riguardo all’istituto del referendum provinciale, l’abolizione del quorum (ed altri importanti ampliamenti dello strumento referendario). Ma la cosa non piacque né a destra né, ahinoi, alla sinistra più radicale. Cosicché il Consiglio reintrodusse il quorum. Ottimo lavoro, compagni! Ma ora teniamoci l’inceneritore.