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Influenza dei polli: che fare?

Lipu - Bird Life

Secondo la definizione adottata dalla UE e dall’OIE (Ufficio Internazionale delle Epizozie), l’influenza aviaria è "l’infezione che colpisce i polli causata da qualsiasi virus dell’influenza di tipo A che ha un indice di patogenicità intravenosa in polli di 6 settimane maggiore di 1.2 o qualsiasi virus dell’influenza di tipo A appartenente ai sottotipi H5 e H7".

Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole aumento dei casi di presenza negli uccelli che coinvolgono i virus ad alta patogenicità H5 e H7 e questo fenomeno, anche se non completamente compreso, potrebbe essere legato alle aree con elevata densità di pollame nelle quali le misure di biosicurezza sono piuttosto difficili da attuare e da mantenere.

A partire da gennaio 2004 per arrivare agli inizi del 2005, sono già stati registrati 34 decessi che coinvolgono la popolazione umana, provocati da questo virus.

L’epidemia è una crisi di importanza globale e richiede una grande attenzione da parte della comunità internazionale, considerando che il virus è tuttora in circolazione in Asia e non si prevede una sua eliminazione in tempi brevi. In generale, da parte di tutti i Paesi ci dovrebbe essere un maggiore impegno in termini di sorveglianza e di misure di controllo dal momento che, nonostante la diffusione all’interno delle popolazioni umane sia estremamente limitata e il rischi di contagio per l’Europa occidentale sia piuttosto basso, è invece piuttosto verosimile che il virus dell’influenza aviaria e quello dell’influenza umana possano infettare lo stesso individuo con riassortimento dei due virus. Come conseguenza si avrebbe l’insorgere di un virus con geni interni originati da virus umano, e ciò faciliterebbe la trasmissione nell’uomo, ma anche la nascita di un virus con emoagglutinina proveniente da influenza aviaria. Inevitabilmente questi cambiamenti sarebbero in grado di provocare una nuova pandemia.

Al momento, le informazioni esistenti sulla relazione tra avifauna selvatica e influenza aviaria sono le seguenti:

1. il virus letale H5N1 è comparso nel pollame allevato nel sud-est asiatico;

2. pur essendo possibile che gli uccelli selvatici siano vettori del virus, difficilmente ciò potrà costituire un pericolo per l’Italia, perché le zone infette distano molte migliaia di chilometri e il virus, negli uccelli selvatici, non sopravvive se non per pochi giorni. Al contrario ci sono forti evidenze che i movimenti di animali (trasporto) domestici siano i principali responsabili della sua diffusione;

3. è stato dimostrato che gli uccelli selvatici sono stati infettati in via secondaria dagli uccelli domestici (pollame), in particolare le anatre selvatiche che risultano molto sensibili al contatto con il virus;

4. gli uccelli che seguono rotte di migrazione differenti possono condividere medesime aree di sosta e di nidificazione. L’ampiezza dei contatti fra le diverse popolazioni e, quindi la possibilità di trasmissione della malattia, non sono note;

5. in Siberia sono stati individuati uccelli selvatici (oche, cigni e anatre) infettati dal virus; è bassa la probabilità che gli uccelli selvatici che si trovano nelle zone infette dell’Asia migrino oltre il Tibet (in particolare in agosto quando stanno effettuando la muta); quindi difficilmente i casi di infezione nel pollame rinvenuti in Siberia sono stati trasmessi dalle popolazione selvatiche;

6. recentemente, in Mongolia, il virus è stato individuato in uccelli migratori che apparentemente non hanno avuto contatto con gli uccelli domestici. Come frequentemente accade nelle epidemie che colpiscono gli uccelli selvatici, il contagio si è rapidamente annullato. Su una popolazione totale di 6.500 uccelli acquatici, il virus ha provocato solo 100 vittime, e successivi test su 139 uccelli non hanno riscontrato alcun virus nella popolazione sopravvissuta.

7. non vi è nessuna prova scientifica che il virus sia trasmissibile dagli uccelli selvatici all’uomo;

8. effettuare degli abbattimenti sulla fauna selvatica per controllare il virus è del tutto irrazionale: ciò permetterebbe infatti un’ulteriore diffusione del virus che si diffonderebbe più facilmente ed ampiamente. Per questo motivo le autorità federali di Mosca hanno vietato a scopo precauzionale la caccia ai volatili nelle regioni russe in cui si sono registrati casi di influenza avaria nelle ultime settimane.

Cosa fare in concreto per diminuire il rischio di influenza aviaria in Italia? Noi proponiamo di:

1. aumentare i controlli e gli standard sanitari sulle specie domestiche e le categorie a rischio per ridurre la probabilità di contatto tra animali domestici e uomo con gli animali selvatici.

Misure da applicare ovunque sono: controlli rigorosi sul trasporto, gli spostamenti e la commercializzazione del pollame, abbattimento del pollame infetto; rafforzamento del monitoraggio della malattia. Per i Paesi nei quali non si è ancora manifestata l’infezione sarebbe necessario bandire le importazioni di pollame, uccelli selvatici, animali da compagnia e prodotti avicoli (penne, carne, ecc.) provenienti dalle regioni colpite dal virus;

2. aumentare i controlli sulle importazioni di animali esotici e di animali domestici provenienti dall’estero. L’Italia, infatti, è tra i primi cinque Paesi europei per le importazioni di uccelli vivi;

3. rafforzare il contrasto al commercio illegale di fauna selvatica. Oltre un milione di uccelli è stato importato illegalmente in Italia negli ultimi dieci anni. Sono animali che hanno le più diverse provenienze e che finiscono nelle case degli italiani, frequentemente senza essere stati sottoposti a controlli sanitari. La presenza di malattie infettive degli animali che possono contagiare l’uomo, sta registrando tassi di crescita sempre più alti (ad esempio, malattie come la Sars, la Clamydia psittacidi, proveniente da diverse specie di uccelli e pericolosa per l’uomo, la salmonella, la tubercolosi);

4. aumentare i controlli sanitari dei carnieri dei cacciatori provenienti dai paesi dell’Europa orientale;

5. avviare un monitoraggio sulle popolazione selvatiche di Anatidi (specie che potrebbero arrivare dalla zone infette) per verificare la presenza del virus;

6. applicare una moratoria sulla caccia agli Anseriformi in Italia nel caso in cui, grazie al monitoraggio di cui al punto precedente, si dovessero individuare casi di infezioni nell’avifauna selvatica per tutelare la cittadinanza e il pollame dal rischio di infezione da parte di cacciatori che vengono a contatto con soggetti colpiti dal virus;

7. aumentare le conoscenze sulle rotte migratorie degli Anseriformi, consultando l’Istituto Nazionale Fauna Selvatica, che custodisce la banca italiana sulla migrazione, i cui contenuti potranno contribuire a chiarire le possibili connessioni tra gli uccelli migratori, le aree geografiche interessate alla presenza del virus e l’Italia;

8. limitare l’accesso della gente alle zone infettate e le possibilità di contatto con animali infetti.