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QT n. 11, novembre 2018 L’editoriale

Rottamazione cercasi

Lo sguardo sugli sconfitti di oggi, che erano i governanti di ieri e dell’altro ieri, e che si spera riescano ad essere opposizione efficace

Con la (prevista) novità di un leghista presidente, è bene iniziare subito a confrontarsi: nel servizio di apertura poniamo a Maurizio Fugatti alcune domande su questioni che riteniamo indicative di metodi e sostanza di governo. In attesa che il peraltro non ancora insediato presidente possa rispondere, volgiamo qui lo sguardo all’altra parte del campo: gli sconfitti di oggi, che erano i governanti di ieri e dell’altro ieri. E che si spera, in un’ottica di auspicabile fisiologica dialettica politica, riescano ad essere opposizione efficace.

Annichilito l’Upt, l’ex partito di Dellai ormai scomparso dai radar, interessanti, anzi illuminanti sono stati i percorsi post elettorali degli altri due partiti della coalizione di governo, Pd e Patt. Quest’ultimo si è subito esibito in un acrobatico salto sul carro del vincitore, tentando di fare da trait d’union fra Lega e Svp, con l’obiettivo di ricavarne (per l’ex governatore Ugo Rossi) lo scranno della presidenza del Consiglio regionale. Operazione certo non entusiasmante, venuta alla luce ed aggravata dal tentativo di Rossi, come ultimo atto della propria presidenza, di spostare la sede dell’Autobrennero da Trento a Bolzano: una perdita secca per il Trentino, un grazioso regalo a Bolzano, un viatico – a spese dei trentini – per la nuova seggiola di Rossi.

Il diavolo però non è riuscito a fare il coperchio: scoperto l’inghippo nell’ultima riunione della Giunta provinciale, gli alleati Pd e Upt hanno mandato tutto all’aria, e subito dopo le elezioni la Lega ha posto un brutale alt: ogni accordo con l’Svp non può comportare l’imbarco di residui del governo testé disarcionato.

L’episodio, squalliduccio, importerebbe poco se riguardasse solo il destino personale di Ugo Rossi; importa di più se illustra la caratura dell’ultimo presidente del centro-sinistra autonomista; e se pone al partito autonomista l’esigenza di un ricambio dei propri vertici, che con una politica clientelare (non certo replicabile ora all’opposizione) hanno sì saputo tenere alle ultime elezioni un 12,6%, ma perdendo 9.000 voti e diversi esponenti, confluiti in liste concorrenti. Insomma, per il Patt, dopo gli anni al governo, si impone ora una dura disamina interna.

Disamina che ovviamente si impone anche nel Pd. E che è iniziata nella maniera più grottesca, con i maggiorenti a stracciarsi le vesti per il risultato, negativo – secondo loro – perché non si era confermata l’alleanza con il Patt e la primazia di Rossi.

Il ragionamento è una sciocchezza totale. Anzitutto dal punto di vista aritmetico: sommando infatti le percentuali di Giorgio Tonini del Pd (25,4%) e di Rossi (12,4%) si arriva al 37,8%, molto lontano quindi dal 46,7% di Fugatti. E oltre all’aritmetica c’è anche la politica: nei voti di Tonini, infatti, ci sono anche quelli di Futura (7%), il movimento di Paolo Ghezzi (e del nostro Piergiorgio Cattani), nato proprio per innovare l’area del centrosinistra, e che non si sarebbero di certo travasati in una disperata operazione di riesumazione della vecchia nomenklatura.

Ed è appunto questa nomenklatura il problema. Non si tratta ovviamente di persone stupide, che non sanno fare le somme o che non conoscono le regole della politica: se prima volevano il permanere di Rossi ed ora ne rimpiangono l’allontanamento, c’è dietro un motivo vero, solido. Il loro ruolo. Ridiscutere Rossi come prima Lorenzo Dellai, rivisitare criticamente gli anni di governo alla luce delle ultime cocenti batoste elettorali, significa mettere in discussione se stessi. Cosa che evitano come la peste, anche a costo di esibirsi in ragionamenti sconclusionati.

E qui allora, come per il Patt, ancor più nel Pd si apre il problema del ceto dirigente. “Con questi dirigenti perderemo per altre due generazioni” diceva Nanni Moretti. Parlava di Roma, ma il concetto oggi si applica pari pari a Trento. Una nuova competitività del centrosinistra deve partire da un’analisi non compiacente degli anni di governo; impossibile da farsi da parte di chi di quegli anni è stato attore e responsabile. Per evitare questo esito, i mammasantissima se le inventano tutte; sta al resto del partito, se esiste, se ha autonomia, se ha testa e volontà, porre fine a questa deriva. Avviando un brusco ma salutare rinnovamento delle persone e delle idee.

Finché non ci saranno questi esiti, l’attuale governo leghista non avrà un’opposizione credibile. Il che sarebbe negativo per tutti, per il Trentino innanzitutto, ma anche per la stessa giunta Fugatti, che rischierebbe di adagiarsi troppo comodamente sulla nullità degli avversari.