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QT n. 11, 31 maggio 2008 Servizi

Lo scrittore in bicicletta

Emilio Rigatti: come abbandonare l’auto, spostarsi solo in bicicletta, e utilizzare meglio il proprio tempo.

A voler parlare di Emilio Rigatti non si sa bene da che parte cominciare: scrittore elegante e arguto, gran consumatore di ruote di bicicletta, giornalista dell’Unità e di varie tv e radio dal 1976 all’83, insegnante di scuola media dal 1983, cioè da 25 anni, 8 dei quali trascorsi in Colombia, come cooperante nel settore educativo. Ma chi lo conosce, di solito lo conosce per via dei suoi libri, uno dei quali, "Italia fuorirotta. Viaggio a pedali attraverso la Penisola del tesoro" (Ediciclo), è appena uscito ed è stato presentato dall’autore a Trento al Filmfestival della Montagna e a Cles nell’ambito della manifestazione Bimbimbici. E così Rigatti è venuto a Trento per due volte nel giro di una settimana partendo da Ruda, in provincia di Udine.

Emilio Rigatti

Fin qui nulla di strano. Nulla di strano se non fosse che lui l’auto non ce l’ha e si muove sempre su due ruote. E così ha fatto anche stavolta, percorrendo i circa 250 km che separano il suo paese da Trento per due volte nel giro di qualche giorno (il ritorno l’ha fatto caricando il mezzo sul treno). La cosa suona strana anche per gli appassionati del pedale, che magari si fanno migliaia di chilometri all’anno, ma sempre durante il tempo libero e le ferie perché a nessuno, o quasi, verrebbe in mente di utilizzare la bici per recarsi ad un appuntamento a centinaia di chilometri di distanza. Ma Rigatti l’automobile l’ha venduta nel 2001 e senza rimpianti, a giudicare dall’entusiasmo con cui siede in sella. In bici si reca giornalmente al lavoro ad Aquileia, dove insegna lettere, pedalando per circa 20 chilometri con qualsiasi tempo e dividendo la strada con le auto, visto che non ci sono ciclabili. E in bici, nel 2001, si è fatto Ruda-Istanbul con due amici, il disegnatore Checco Altan e il giornalista Paolo Rumiz. E da quei 2116 chilometri su due ruote è nato "La Strada per Istanbul", imperdibile racconto di viaggio e di amicizia, scritto con lo stile brillante che gli è abituale.

L’ho incontrato a Cles, dove ha passato la serata a cui era stato invitato, pizza compresa, a raccontare di bici, viaggi e avventure, come in un salotto tra amici.

E’ nato prima il Rigatti scrittore o il Rigatti ciclista?

"È nato prima lo scrittore, anche se lo scrittore che pubblica è nato a bordo della Turner (una marca di mountain-bike, n.d.r.) che mi ha portato a Istanbul..

Quando le chiedono che mestiere fa, cosa risponde?

"Tutta la verità, nient’altro che la verità: faccio l’insegnante".

In bicicletta in Colombia.

Com’è nata la passione per la bicicletta?

"Più che nata, è rinata dopo che andai in Colombia nell’88. Avevo smesso di fumare e anche di andare in canoa, per via che a Bogotà non era possibile farlo. Allora decisi di prendermi una bicicletta. Alla prima salita vomitai e così continuai a correre solo per l’altipiano di Bogotà. Dopo un anno ritentai la stessa salita, così, per sfizio. Arrivai in cima. Fu una seconda laurea. Poi, vennero i master…".

 E la passione per la scrittura?

"L’ho avuta fin da bambino, uno dei miei primi giochi consisteva in delle grandi lettere di plastica che mi regalarono delle zie: con quei geroglifici affascinanti componevo parole, le leggevo. Con quel gioco imparai a leggere prima di andare a scuola e a 7 anni iniziai a scrivere un romanzo dal titolo ‘Il mio paese’, che e restò alla pagina quattro. Tengo un diario da quando ho 18 anni. Per me scrivere è sempre stato un desiderio intenso con la possibilità della sua realizzazione immediata, fa parte del mio metabolismo. E’ come desiderare un paesaggio attraversandolo. Cosa c’è di meglio?"

Una delle cose di cui ci lamentiamo tutti è la mancanza di tempo. Spostarsi in bicicletta non fa perdere tempo?

"Il tempo non si perde e non si guadagna. Lo si usa bene o lo si usa male. Il tempo è la moneta dell’esistenza e allo stesso tempo - ripetizione casuale? – la cosa che si acquista capendone il valore di scambio. Io lo spendo per acquistare il mio tempo".  

Tra insegnamento, scrittura e bicicletta, immagino che le resti poco spazio per la vita privata.

"No, la maggior parte del tempo la passo a casa e la scrittura la condivido con mia moglie, che è la mia prima lettrice e ottima consigliera. La bicicletta la uso per spostarmi e da quando ho venduto la macchina i miei giri cicloamatoriali si sono ridotti del 90%: arrivare a casa e mettere in garage la bici per prendere un’altra bici…insomma, sono felicemente sazio di pedalare, e sempre con un po’ di appetito".

suoi studenti sono più interessati alla sua attività di autore o di ciclista?

"Né all’una né all’altra, direi. Eventualmente  alzano l’orecchio quando sentono parlare di bici perché c’è nell’aria profumo di gite e di avventura. Però il fatto che arrivi a scuola in bici con qualsiasi tempo suscita in loro un sentimento che è a metà tra la complicità e l’ammirazione".

Lo scrivere e il pedalare si somigliano in qualche modo?

"Mah, tutto ciò che si vive può essere scritto. Direi che in bici mi vengono in mente pezzi interi dei miei diari di viaggio. Ma scriverei anche andando a piedi. O non muovendomi. Le parole sono lo scheletro del pensiero, e nel mio caso non dipendono esclusivamente da una geometria di alluminio o d’acciaio. Amo più la penna della bici, e più la vita della penna. Anche se a volte, penna e vita…sì, non sempre le distinguo".

Molti dei suoi libri nascono da viaggi in bicicletta. Quale delle due attività trova più faticosa?

"Ah, nessuna della due. O almeno, ci sono pezzi di viaggio che possono essere faticosi e certi passi della scrittura che mi fanno penare. Ma la bici e la penna le ho volute io. Dunque:  e adesso pedala, e adesso scrivi, caro Rigatti…E io obbedisco".

Emilio rigatti con il figlio Amadeo.

Vivere senz’auto in un paesino ai margini della provincia. Che cosa significa?

"Niente di particolare, in questo villaggio globale in rete. Forse – e purtroppo – ‘ai margini’ è un’espressione che vale poco, almeno nell’Italia nordestina. Ho la stazione dei treni a 7 chilometri, da lì posso prender il treno e arrivare a Vladivostok. O, più prosaicamente, a Padova a trovare mia madre e i miei fratelli. O a Trento a presentare il libro, ecco.  Poi: amo la città ma preferisco vivere in campagna".

Suo figlio Amadeo l’accompagna spesso nei suoi viaggi su due ruote. Che consiglio darebbe ai genitori che volessero avvicinare i figli allo sport che amano?

"Consiglierei loro di farli avvicinare allo sport che amano i figli e non a quello che amano loro. Di non pomparli come ultràs quando fanno le partite di calcio o di pallacanestro. Di tenerli lontani dal calcio non perché sia uno sport brutto o malsano, ma perché è spesso praticato in modo diseducativo e con trainer da fucilazione. Di suggerire loro attività fisiche diversificate e motivate non solo dalla vittoria, ma anche dal piacere di muovere il corpo in armonia con la propria mente, e non con quella dell’allenatore o dei dirigenti. Quando Amadeo, dopo anni di basket, mi disse: ‘Papi, non ne posso più’, gli risposi: ‘Smetti subito’. Fu una liberazione: non sopportavo il tifo isterico dei genitori. Sa quanti sportivi buttano via lo sport per la sigaretta e l’alcol, dopo esservi stati imprigionati per anni? Lo sport dev’essere un bel gioco, anche con spirito agonistico, perché no? Ma gioco, avventura".

Il buco.

Cosa manca di più in Italia, le piste ciclabili o il coraggio di lasciare la macchina in garage?

"Indubbiamente la seconda che ha detto. La velocità negli spostamenti è confusa con la libertà, che sappiamo essere un concetto quasi indefinibile. La lentezza è considerata come una limitazione, come una forma di prigionia. Ed è vero per molti, perché chi è disabituato al piacere di pensare ha il terrore di restare solo con se stesso: senza guidare, senza produrre, senza guardare la tv, senza fare shopping o un’altra attività che liberi dalla prigione del pensiero. E’  la libertà moderna: il sonno della tv genera mostri, per molti.. Dico la mia sulle piste ciclabili: i ciclisti fanno parte del traffico e più passa il tempo e più vedo che le piste sono spesso pensate come discariche o riserve indiane per pedalatori, che le condividono con cassonetti delle immondizie e auto parcheggiate. Non mi dispiace più di tanto il condividere la strada con le auto  – ci sono anche gli automobilisti, al mondo…-  e preferisco uno spazio marcato da una linea di pittura sull’asfalto piuttosto che i cordoli, che tra l’altro tolgono centimetri preziosi alla viabilità. Le grandi vie ciclabili come quelle dell’Adige o della Valsugana, le trovo splendide. Credo che piste e spazi dedicati siano molto utili in città, perché proteggono i fortunati volonterosi che le usano da una promiscuità che, se non regolata, può essere pericolosa per l’elemento debole. Confesso un sogno inconfessabile: che si arrivi un giorno a firmare delle petizioni affinché gli automobilisti abbiano il diritto anche loro a uno spazio carrabile. Sarò tra i firmatari".

 Prima di rientrare a casa, Emilio Rigatti ha pedalato un po’ sulla ciclabile della Val d’Adige con una classe di terza media di Rovereto che si apprestava a partire per la Germania, per affrontare, insieme ad una terza della scuola media di Gardolo, la famosa ciclabile Passau-Vienna, circa 330 km lungo il Danubio. Ma questa è un’altra bella storia, che racconteremo un’altra volta.