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QT n. 3, marzo 2022 Cover story

Perfido: le intimidazioni

Lona-Lases, viene affissa una lettera dagli effetti devastanti su un paese martoriato

Lases, domenica 20. Sulla staccionata in prossimità del lago meta di passeggiate festive, sono apparsi tre fogli. Inquietanti. Sono le copie di un’incredibile lettera dell’avvocato Filippo Fedrizzi inviata a tutte le Camere Penali della Calabria.

Che c’entra con Lona-Lases? C’entra eccome, e se ne sono visti gli effetti.

L’avvocato Fedrizzi è il difensore di Giuseppe Battaglia e della consorte Giovanna Casagranda, imputati nel processo Perfido, lui come “ruolo apicale” nella locale ‘ndranghetista trentina, lei responsabile “economico-finanziaria dell’organizzazione criminale”. Però nella lettera inviata in Calabria ed esposta a Lases, Fedrizzi non si firma come difensore di parte, né mai accenna a tale suo ruolo, bensì agisce come presidente della Camera Penale di Trento. Apparendo così, ai colleghi calabresi e agli occasionali lettori del paese del porfido, come una figura super partes.

E che scrive Fedrizzi? Accusa Questotrentino, di avere, nello scorso numero di febbraio (vedi Perfido: ci giochiamo il Trentino), menzionato “i soli difensori calabresi... in termini non soltanto diffamatori per ciascuno di loro, ma dell’intera avvocatura calabrese ed italiana”. Nell’articolo, secondo Fedrizzi, “si lascia chiaramente intendere... che gli avvocati calabresi sarebbero al servizio della ‘ndrangheta e che, consequenzialmente, gli imputati che si fanno difendere da avvocati calabresi sarebbero per ciò stesso ‘ndranghetisti”. Pertanto il nostro sarebbe un articolo non solo diffamatorio, ma connotato anche “da un contenuto neanche troppo velatamente razzista”. Di qui l’eventualità, ventila Fedrizzi, che le Camere Penali calabresi intraprendano opportune iniziative contro il giornale diffamatore e razzista.

Noi, chiaramente, ad essere additati come diffamatori e razzisti non ci stiamo proprio, e saremo noi a prendere le “opportune iniziative”.

Qui però non stiamo rimasticando una non nobile vicenda perché ci coinvolge. Ma perchè ha avuto pesanti ripercussioni su un paese già martoriato, ed è indicativa, ci pare, della confusione culturale che un processo per mafia sembra indurre in una società come quella trentina, che si vorrebbe vergine, ma si sta rivelando del tutto impreparata.

La prima confusione va rilevata nell’ambito dell’avvocatura. Fedrizzi infatti, non si capisce con quali finalità, manipola quanto da noi scritto. Quello che noi rilevavamo era che gli avvocati calabresi dei nostri (presunti) ‘ndranghetisti sono avvocati specialisti di processi per mafia abituali difensori della cosca Serraino e dei loro alleati, non delle cosche rivali. Con questo, con buona pace di Fedrizzi non abbiamo scritto né intendevamo dire che gli avvocati sono affiliati ai Serraino; mettevamo invece in luce come i nostri imprenditori da decenni nella val di Cembra, oggi imputati di essere una locale dei Serraino, da una parte fortemente neghino tale collegamento, dall’altra curiosamente si affidino alla difesa di legali abituali patrocinatori dei Serraino. Insomma, questi personaggi, gran lavoratori - dicono loro -, da decenni trapiantati in Trentino, che con la Calabria – dicono - hanno rapporti sostanzialmente sentimentali, e con i Serraino tutt’al più folkloristici, quando sono accusati di mafia vanno a cercare avvocati specializzati in processi per mafia (e ci sta), ma che tra le 166 cosche ‘ndranghetiste hanno difeso solo quelle dei Serraino e loro alleati.

Con questo, ripetiamolo, non affermiamo che anche gli avvocati siano ‘ndranghetisti. Sappiamo benissimo che fare l’avvocato di mafia è un mestiere difficile e anche pericoloso. Il caso letterario di Tom Hagen, intimo consigliere e avvocato del tutto interno alla famiglia Corleone, è sì un personaggio di fantasia che anima le pagine del “Padrino” ed ha riferimenti nella realtà, ma al contempo, nella realtà ci sono pure avvocati che hanno addirittura pagato con la vita l’adesione ai principi più nobili della pratica forense: la Camera penale di Catania è intitolata a Serafino Famà, assassinato da un mafioso per le modalità con cui stava difendendo un altro mafioso.

E d’altronde, tornando al nostro caso, nell’impermeabilità tra le difese delle cosche da noi rilevata, per cui un legale difende gli appartenenti a una cosca ma non, in un altro processo, a quella rivale (l’avvocato giocoforza viene a conoscenza dei segreti di una cosca, questa ha i mezzi per vivamente sconsigliarlo ad avere rapporti troppo stretti con i rivali) non sottintendevamo un’appartenenza, ma una problematicità nell’esercitare la professione.

Per farla breve: noi non ce l’abbiamo con gli avvocati dei Serraino, ma con i porfidari che negano rapporti con i Serraino e poi, da Cembra, si affidano, guarda caso, proprio agli avvocati abituali difensori dei Serraino. Il ragionamento ci sembra semplice: ma Fedrizzi non lo ha recepito, anzi lo ha travisato, inventandosi addirittura una pregiudiziale razzista.

E quando il nostro difensore di Parte Civile, avv. Cinzia Marsili, gli chiede in una missiva ufficiale se è lui l’autore della lettera, se la ha scritta come presidente della Camera Penale oppure come difensore di Giuseppe Battaglia, se è a conoscenza che essa sia stata affissa “in zona altamente sensibile per essere teatro di infiltrazione e azione da parte della ‘ndrangheta”, Fedrizzi se la cava con un bel numero di demagogia. Rivendica la lettera, abbandona l’accusa di razzismo e tra squilli di tromba chiama invece i colleghi della Camera a una delle “battaglie fondamentali per contrastare il populismo giudiziario” cioè “distinguere sempre la persona dell’avvocato da quella del suo assistito”. Che poi non sia quello il contenuto dell’articolo, è secondario: gli avvocati si sentono toccati nel vivo (il sospetto che l’avvocato in fin dei conti sia complice dell’imputato è vastamente diffuso, a livello popolare e non solo, basti ricordare come trent’anni fa il difensore di un sospetto stupratore venisse subito accusato di essere, come minimo, un impenitente maschilista). E quindi rispondono alla chiamata alle armi, e (quasi) all’unanimità solidarizzano con Fedrizzi contro QT e la sua avvocata.

Ma questo è ancora il meno. C’è poi il secondo punto: l’affissione della lettera a Lona-Lases, al lago, nella bacheca del paese, e la sua diffusione nei social.

Fedrizzi su questo è vago e sereno: “Non ho la minima idea di chi e di come possa averla avuta, né di chi possa averla ivi affissa” scrive agli avvocati della Camera Penale.

Ma come, avvocato? La sua lettera come ha fatto a passare dal suo studio a Lona Lases? Non le interessa? Per caso non la ha inoltrata ai suoi assistiti? (a Giuseppe Battaglia, in carcere, sarebbe problematico, a Giovanna Casagranda, a Lona agli arresti domiciliari, sarebbe possibile). E altrimenti, cosa è successo? Dalle Camere Penali calabre hanno scritto a Lona-Lases?

Quello che ci sconcerta è la serenità con cui Fedrizzi si disinteressa del fatto.

Perché quella lettera ha avuto effetti dirompenti nel paese. Un paese martoriato, dove – ricordiamo - già c’è stata una condanna a 10 anni (Saverio Arfuso) per associazione mafiosa e riduzione in schiavitù, dove i sodali della locale controllavano le elezioni, a seguito delle rivelazioni di Perfido si è dovuto dimettere il sindaco e non si è riusciti ad eleggerne un altro, addirittura i carabinieri sono indagati per associazione mafiosa.

In questo contesto la lettera, così spudoratamente ostentata, ha prodotto due effetti. Da una parte ha intimidito chi dalla (presunta) locale è stato torteggiato e intendeva testimoniare; ha lasciato i membri del Comitato Lavoro Porfido nello sconcerto e nel timore di rappresaglie, giudiziarie e non solo; ha rafforzato l’idea sempre strisciante che il ricorso alla giustizia contro i (pre)potenti sia una strada inutile, anzi controproducente.

Dall’altra ha imbaldanzito il giro di personaggi che ruota attorno alla (ipotizzata) locale. Che con fare sprezzante, a voce, nei bar, sui social hanno rafforzato la loro lettura della realtà: Perfido è una montatura, a Questotrentino sono dei fanfaroni che pagheranno care le sciocchezze che scrivono, gli attivisti del CLP sono quattro sfigati ed è meglio che stiano attenti, e il processo si risolverà in una bolla di sapone: i Battaglia, Macheda, Nania torneranno più forti di prima, a premiare chi gli è stato fedele e duramente bastonare chi si è illuso di poterli contrastare. La lettera affissa all’ingresso del paese questo significa: attenti, qui comandano i soliti.

Fedrizzi di tutto questo non si fa carico. Non se ne fa carico la Camera Penale. Tra codicilli e grandi discorsi sulla sacralità del diritto, non si pensa agli effetti sociali che hanno le vicende che tratta il Tribunale. Effetti profondi, che possono essere devastanti in una realtà già provata e piegata.

A Fedrizzi non importa. “Non ho la minima idea” proclama sprezzante e gli avvocati sembrano concordare. Questo è il punto più grave, l’arretratezza culturale. Che assolutamente la nostra società deve colmare.