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QT n. 2, febbraio 2011 Cover story

150 anni: siamo ancora italiani?

Contenuti extra, non pubblicati su QT cartaceo...

Identità confusa. Prima appare chiaramente afferrabile, poi andando a fondo non lo è. Facile essere contraddittori anche sul proprio senso di appartenenza, darne una connotazione è difficile. Identità complessa da spiegare, che si presta quindi ad una facile banalizzazione e strumentalizzazione da parte della politica.

É bastato un breve giro di interviste, martedì 11 gennaio, per le vie del centro di Trento, per avere questa sensazione. Ne è scaturito un video di 8 minuti, visibile in basso.

Un’indagine che non vuole avere i crismi della scientificità, anche perchè il campione non è significativo della popolazione trentina e gli intervistati appartengono pressochè tutti ad una fascia medio-alta di scolarizzazione.

Lo spunto per le interviste è stato quello dell’inizio dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Abbiamo chiesto un parere sulle iniziative in corso ed una riflessione sull’identità personale. Ti senti più trentino o più italiano? Più europeo, diranno in molti. Un punto di vista però, quest’ultimo, difficilmente estensibile ad una vasta base della popolazione.

Parlare di nazionalismo rimane un tabù, le ferite del fascismo sono ancora aperte, si sente la mancanza di una rielaborazione storica. Insomma, non troviamo dei grandi fan del tricolore. Tra i più giovani si oscilla tra l’appartenenza regionale e quella europea, «ormai - spiega Karin Lorenzi all’ingresso della biblioteca universitaria - si è passati la livello successivo». Quindi da “Fratelli d’Italia” a “Ragazzo dell’Europa”.

L’atteggiamento verso i festeggiamenti è freddino, quasi indifferente, c’è chi scopre da noi che l’Italia compie 150 anni. Dando un’occhiata su www.italiaunita150.it al calendario dei festeggiamenti c’è l’impressione che non ci siano molti stimoli nei confronti dei cittadini per una riflessione approfondita. Si passa dall’appuntamento “Sulle note del Risorgimento” il 12 e 13 febbraio a Genova, ai viaggi di Eleonora Duse nel mondo a Firenze. Giovedì 17 marzo Festa nazionale, ricorrenza dell’unità, ma sarà una festa durante la quale l’Italia lavorerà.

Magari anche di notte come Cavour. E se qualcuno fosse nostalgico del premier sabaudo non potrà perdersi l’evento romano “Cavour lavorava di notte”.

L’evento più vicino al Trentino sarà il 24 giugno l’inaugurazione dei restauri della Torre Vittorio Emanuele II (San Martino della Battaglia - Brescia).

Tornando nell’atrio della Facoltà di Sociologia di Trento il professor Marco Brunazzo dà una lettura interessante, quella dell’identità multistrato: «mi sento principalmente cittadino europeo, poi cittadino italiano e alla fine cittadino di una comunità locale. Le tre cose sono assolutamente da vedere assieme e non come appartenenza esclusiva». Identità che cambia anche nelle fasi della vita. «Mi sento più trentina - ci dice Petra Micheloni, studentessa delle scuole superiori - perchè vabbè è una bella regione, è una delle migliori insomma». Di fronte alle macchinette di Economia invece Stefano Frizzera ricorda «mi sento più italiano e questo l’ho scoperto facendo delle esperienze all’estero perchè è quando sei all’estero che scopri la tua italianità».

C’è chi invece l’italianità non la sente, Sebastian Nocker, sudtirolese cresciuto a Verona. «L’Italia come nazione secondo me non è concepibile. In primo luogo mi sento tirolese, in secondo luogo veronese essendo nato e cresciuto sul Lago di Garda. L’identità secondo me è una cosa che si è persa in questo paese, ci sono 20 regioni che sono divise tra di loro e al loro interno sono altrettanto divise».

Nessun panico comunque. In confusione ci è andata anche “mamma Rai”. Il Tg1 delle 13.30 del primo gennaio è terminato con un servizio sul capodanno dei 150 anni d’Italia, seguito dagli auguri in musica con la Radetzkymarsch, la marcia che celebra il feldmaresciallo austroungarico che fece penare i sabaudi nelle guerre d’indipendenza.

Più vecchia (700 anni), ma anche più attuale la visione di Dante: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!».

A Trento sono considerato “del paese” (di Povo), in Italia Trentino, in Europa Italiano (del Nord), nel mondo sono Italiano ma anche, e sempre più spesso, Europeo. Il paradosso è che in paese sono considerato “del mondo” perché arrivo, mi fermo un po’, e poi riparto per luoghi più o meno lontani. È una moltitudine di identità quella che mi viene attribuita nei diversi contesti nei quali mi son trovato a vivere negli ultimi anni. Identità che si inglobano l’un l’altra in una sorta di matrioska. Non mi sento di poterne escludere nessuna cosi come non mi sento di abbracciarne una più di un’altra: mi sentirei perso senza delle radici forti nel paese e soffocato senza l’idea di appartenere a questo mondo che passo passo sto conoscendo, ingiusto con me e con la storia se non riconoscessi l’Europa e cieco se non ammettessi che l’Europa è profondamente diversa, spesso divisa, al suo interno.

È curioso trovarsi a riflettere sulla proria identità mentre ci si trova a vivere in un paese, la Bosnia Erzegovina, che (anche) su questi temi ha vissuto recentemente una guerra lacerante e sta cercando di trovare un equilibrio fra componenti nazionali. Un paese in cui molta gente soffre di Jugonostalgia, rimpiange quell’identità perduta di Jugoslavi, uniti pur appartenendo a nazionalità diverse. Francesco Mongera

Noi sén sempre i mèio!

Il Prelato ruttò forte. Vicino a lui, gli altri quattro commensali non batterono ciglia. Attorno a loro, fuori, c’era un silenzio irreale. Dentro al palazzo, invece, s’alzava forte il suono delle loro voci, forse per soffocare quel silenzio. O forse no.

- Quel terreno! Solo e soltanto quello! - gridò l’Affarista. Poi addentò con rabbia la costina d’agnello bisunta che qualcuno gli aveva servito poco prima.

- Vacuità! Fatuità! Inanità!

All’Intellettuale s’iniettarono di sangue gli occhi, al pronunciare quelle parole. Poi si grattò sotto l’ascella, guardando fuori con preoccupazione. Diede un calcio al cadavere della Mignotta sotto il tavolo e sputò nel piatto con gesto plateale.

A quel punto, il Politico, irritato, gli bestemmiò in faccia e salì sul tavolo, calpestando l’agnello del Prelato:

- Mi sembrava di avervi detto - urlò - che mammona arriverà domani, e si porterà via tutto!

Il Prelato non si scompose. Si levò con gesto molto lento la mitra, la capovolse, e ci versò dentro molto vino rosso. Bevve d’un fiato. Ruttò di nuovo, poi disse:

- Lui ci guarda. Possiamo fare tutto quello che vogliamo, perché lui ci guarda. Possiamo prendere lei, perché lui ci guarda. Possiamo disseppellire tesori, perché lui ci guarda. Possiamo calpestare loro, perché lui ci guarda. Possiamo...

S’interruppe all’improvviso e cadde sulla sedia, vinto dal fiatone. Poi vomitò.

Fu a quel punto che l’Identitario gonfiò forte le vene del collo, e proruppe altisonante:

- Noi! Noi sén sempre i mèio!

- Bene - chiosò il Politico - Vedo con piacere che siamo tutti d’accordo.

Adesso era calmo, e la voce quasi un sussurro. Anche gli altri erano calmi, ora.

- Possiamo andare.

I cinque si levarono da tavola e si diressero con passi pesanti verso l’ampio balcone che affacciava sull’esterno. C’era silenzio, fuori. Un silenzio irreale.

Sul balcone, l’Identitario e l’Affarista si inginocchiarono e intrecciarono le proprie mani a formare un appoggio per i piedi del Politico, che vi montò sopra. Il Prelato iniziò a muovere il pastorale su e giù, come a benedirlo. L’Intellettuale si spogliò, si sedette sul parapetto e s’accese la pipa, fissandolo e annuendo. Il Politico iniziò a parlare.

Andò avanti per mezzora. Poi, l’unica persona che era stata ad ascoltarlo, in mezzo a quello sterminato deserto di sabbia rossa e rottami, tirò fuori dalla giacca una pistola.

Il colpo che si sparò in testa fece schizzare brandelli del suo cervello addosso ai cinque.

L’Identitario sorrise, e poi gridò a nessuno:

- Noi! Noi sén sempre i mèio!

Tersite Rossi