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Il mio Vietnam

Il Paese visto dagli occhi di una viaggiatrice solitaria

Novella Benedetti
Ha Long Bay

Quando viaggi è più facile tenere mente, occhi, e cuore aperti. Non ti puoi rifugiare negli stereotipi che contraddistinguono la tua cultura, perché quella cultura, in un altro contesto, non serve. Alla mia partenza per il Vietnam avevo la sensazione che mi sarei sentita come un elefante in un negozio di porcellane: goffa, in mezzo a una popolazione che percepivo come delicata. In parte, è stato così. E in parte era uno stereotipo.

Il viaggio prevedeva l’andata su Hanoi e il ritorno da Saigon: attraversare il paese da nord a sud in tre settimane, con lo zaino in spalla, da sola, cercando di raccogliere le storie delle persone che avrei incrociato. Un viaggio intriso del Gruppo Trentino di Volontariato: da un anno seguivo la comunicazione di questa associazione che da 12 si occupa di solidarietà internazionale prevalentemente in Vietnam.

I primi ricordi sono legati al traffico: poche le auto, molti i motorini. Mitch (statunitense, consulente di commercio equo) mi dice che le auto costano tanto, e pochi se le possono permettere. Invece i motorini sono più accessibili, e quindi si convertono nel mezzo di trasporto più utilizzato: ci vedi famiglie intere sopra, mamma, papà, e due o più bambini. Ci portano merce da vendere, frutta, verdura, maiali, galline legati con dello spago sulla parte posteriore del mezzo, oppure inseriti in ceste che agganciano l’una all’altra bilanciando i pesi. Attraversare la strada è tutt’altro che banale. Que -la ragazza vietnamita che lavora per GTV- mi spiega che per attraversare bisogna buttarsi e proseguire senza mostrare esitazioni né cambiare direzione. Così le persone sui mezzi sapranno calcolare la direzione e il tratto che vuoi percorrere e ti schiveranno.

Altro particolare sorprendente è l’assoluta mancanza di mendicanti. Tante, invece, le bancarelle, questo sì. Si ha l’impressione che venderebbero anche la madre. In questo brulicare di persone, non ho mai visto una donna senza far niente. Ho l’impressione che siano loro a sostenere il paese.

Uno sviluppo smodato

Hai Duong, lavoro nella cooperativa progettata dal Gruppo Trentino di Volontariato

Economicamente, il Vietnam è cresciuto tantissimo, a partire dalla riforma economica del Doi Moi negli anni ‘90. Uno sviluppo smodato, che ha portato ad una crescita economica nei centri urbani e ad un aumento della povertà nelle zone rurali: una crescita delle disuguaglianze. Lo si evince anche paragonando i risultati in termini di PIL e ISU. Per quanto riguarda il Prodotto Interno Lordo, il Vietnam si classifica al trentasettesimo posto su 195 Paesi (dati 2009); nell’Indice di Sviluppo Umano al centocinquesimo posto su 148 Paesi (UNDP, dati 2005). Ciò ha causato un forte fenomeno di migrazioni interne, con spostamenti di persone che dalle campagne vanno verso le città, in cerca di un lavoro che molto spesso non riescono a trovare perché anche la città non è in grado di assorbire tutta questa manodopera.

Gli effetti si fanno sentire: sulle rive del Fiume Rosso i migranti hanno costruito delle “case” galleggianti dove vivono. I genitori, non potendo dichiarare allo Stato la loro residenza sul fiume, non possono registrare i bambini all’anagrafe. Non essendo registrati è come se non esistessero, quindi non possono andare a scuola, né accedere alle cure mediche.

Nelle zone rurali del nord, inoltre, si emigra anche verso l’estero: in parte per una decisione volontaria, in parte per il traffico di esseri umani, fenomeno che riguarda soprattutto le donne, vendute e tenute in condizioni di prostituzione o, nel migliore dei casi, di servitù domestica e riproduttiva in Cina. Qui, infatti, la politica del figlio unico ha portato ad uno squilibrio demografico legato alla preferenza del figlio maschio, perché in un sistema che non prevede la pensione, sarà lui a prendersi cura della famiglia di origine. Le ragazze vietnamite servono, perciò, a sostituire le bambine cinesi non volute. Ma di tutto questo, in Vietnam, si parla poco; e d’altra parte la censura è all’ordine del giorno, come emerge anche dal rapporto annuale del 2010 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani del mondo “La repressione del dissenso si è intensificata con nuovi arresti di attivisti politici e dei diritti umani, la maggior parte dei quali avevano criticato la dilagante corruzione e le politiche del governo relative alla Cina”.

Tuttavia i dati e i numeri descrivono solo in parte un paese.

Veggenti e oroscopi

Ha Long Bay

Cerco contatti con i vietnamiti che hanno voglia di parlarmi della loro vita, e il mio viaggio incrocia Hanh e la sua storia. È giovane, ha 23 anni, e la prima cosa che mi racconta è che ha conosciuto il suo ragazzo via chat. Dopo sei mesi che si frequentavano lui è andato a studiare un master in Australia per due anni. Hanh lo ha aspettato, ed intanto ha studiato alla facoltà di lingue. Suo padre ne era molto contento, secondo lui doveva studiare italiano e inglese, perché, quando si sarebbe laureata, di sicuro ci sarebbero state tante aziende italiane pronte ad assumerla. Nella realtà poi le cose sono andate diversamente, ed ora Hanh lavora per una multinazionale australiana. Fra tre o quattro anni pensano di sposarsi, ma Hanh ha paura che il matrimonio sia una prigione. Tradizionalmente qui, la donna quando si sposa si trasferisce a casa della suocera, che influenza la decisione dello sposo. Lui è tenuto a fare dei regali alla famiglia di lei per poterla sposare. La sposa, invece, deve preparare il pane a casa della suocera, per dimostrare di essere in grado di prendersene cura. Hanh, la suocera la definisce “gentile”, non l’ha sottoposta a questa prova.

I genitori di Hanh approvano la relazione, la zia invece è preoccupata: lei è tigre, lui scimmia, due segni che non vanno d’accordo. La zia ha chiesto ad Hanh di andare da una veggente con la foto di lui per farsi leggere il futuro. La veggente ha previsto che saranno felici, ma solo per poco perché lui poi soffrirà di problemi di salute. “Si vede dal suo viso che la morte aleggia sulla sua famiglia”. Hanh me lo conferma, commentando che la veggente non poteva saperlo, ma lui ha perso suo padre quando aveva quattro anni e una sorella all’età di 18. Hanh mi racconta poi che anche sua mamma la consulta, una volta l’anno, durante il Tet (il capodanno vietnamita) per sapere come sarà l’anno nuovo per tutta la famiglia.

Sapa

Il Tet è la festa più importante in Vietnam, e si basa sul calendario lunare (normalmente è verso fine gennaio-inizio febbraio). Una volta la veggente ha previsto che se qualcuno della famiglia avesse affrontato un viaggio, le conseguenze sarebbero state nefaste. Hanh aveva appena vinto una borsa di studio per studiare un anno in Italia. Tutto spesato. Tutto sfumato.

L’amica di Hanh, Vinh, ascolta il racconto insieme a me, ma conferma solo parzialmente: c’è una parte di Vietnam così, ma una parte, invece, vuole staccarsi dalle tradizioni. Vinh è percepita come una ribelle, mi dice Hanh, perché non pensa ancora a sposarsi. Vinh non è d’accordo neanche sul fatto che sia attraverso la cucina che la donna debba dimostrare di essere in grado di prendersi cura dell’uomo e, per estensione logica, della famiglia. “Non potrebbe essere l’uomo a prendersi cura di me cucinando?” mi domanda.

Non ho le risposte. Penso che le donne italiane non siano così diverse da quelle vietnamite; lo dico, ma percepisco che Hanh e Vinh non mi credono del tutto. Si ha sempre questa reazione quando ci si trova l’uno di fronte agli stereotipi dell’altro: fino a quando non incontriamo delle persone che attraverso le loro storie ci fanno cambiare idea.