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QT n. 9, settembre 2019 Monitor: Mostre

Fili d’oro e dipinti di seta Velluti e ricami tra Gotico e Rinascimento

Castello del Buonconsiglio, fino al 3 novembre

Quelli di noi che hanno più di sessant’anni possono ricordare nitidamente quanto contasse l’abbigliamento ricamato in oro dei sacerdoti nei riti religiosi. Se ne faceva un uso così largo, non solo negli eventi solenni, che è difficile dissociare il cattolicesimo precedente la riforma conciliare (1965) da quel modo di sedurre e intimidire il fedele. E non è un caso che, dopo di allora, quel vestiario sia stato largamente dismesso, e che sia cresciuto come oggetto di interesse delle raccolte museali.

Alcuni tra i più antichi abiti sacerdotali, sopravvissuti insieme a tessuti e velluti pregiati destinati anche ad altre funzioni prevalentemente sacre, si possono osservare da vicino nella mostra in corso al museo del Buonconsiglio. Sono manufatti realizzati tra il Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, ed anche un inesperto percepisce di trovarsi davanti una creazione artigianale e artistica quasi impensabile al giorno d’oggi, fatta di una maestria esecutiva e di una cura del dettaglio alle quali concorreva tutta una filiera di specialisti: setaioli, tessitori, tintori, battiloro (producevano il filo d’oro o d’argento), disegnatori, sarti, ricamatori.

Non siamo solo noi che li osserviamo oggi a dare a questi oggetti un valore fuori dal comune: erano considerati una merce pregiata già all’epoca in cui venivano commissionati e prodotti (i centri italiani di eccellenza erano Firenze, Venezia, la Lombardia, a nord delle Alpi i Paesi Bassi), tanto è vero che non sarebbe possibile spiegare la crescita della ricchezza e la potenza stessa delle città in quei secoli, senza considerare la produzione e il commercio dei tessuti.

Ovviamente non si trattava solo di prodotti per le chiese, ma di tessuti per abiti e arredamenti richiesti dai nobili, dalle corti, e in via sempre crescente dai nuovi ricchi, dalla borghesia in ascesa.

A tale riguardo si avverte abbastanza, nella mostra, l’assenza di termini concreti di paragone della società laica, solo in parte compensata dai dipinti coevi, prestati anch’essi come gran parte dei materiali da molti musei, dove possiamo avere un’idea di come vestissero re, nobili e signori di quel tempo (le Adorazioni dei Magi ne offrono occasione ricorrente). C’è però una ragione concreta per questa assenza, ed è che l’abbigliamento laico, anche delle classi elevate, si è assai poco conservato nel tempo rispetto a quello religioso. Ci viene anzi spiegato che i tessuti pregiati dei ceti benestanti, oggetto di trasmissione ereditaria (per certi abiti si parla di un valore pari a quello di un appezzamento di terreno) venivano non di rado, col tempo, donati alle chiese, le quali ne facevano ritagliare le porzioni migliori per confezionare piviali, pianete, dalmatiche per le liturgie.

E’ probabile che questo passaggio fosse in qualche modo incentivato dalle cosiddette “leggi suntuarie” che le città emanavano sul proprio territorio, per porre un freno all’esibizione smodata degli abiti di lusso e forse più per incrementare le casse pubbliche.

La mostra, come altre realizzate dal Buonconsiglio sotto la direzione di Laura Dal Pra, trae spunto anche dal restauro e dallo studio di pezzi acquisiti dal museo che attendevano un’adeguata valorizzazione. In questo caso si tratta di due preziose dalmatiche, vesti liturgiche indossate dai diaconi, poste alla conclusione del percorso, le quali condensano in sé fenomeni di rilievo non solo per la storia di quest’arte: sono state infatti realizzate tra il 1450 e il 1515 nei Paesi Bassi con tessuti di manifattura fiorentina e ricami fiamminghi, dove si rivela l’intenso interscambio che si sviluppava tra l’Italia e le città europee, non solo sul piano commerciale, ma del gusto e delle competenze tecniche.

Il catalogo raccoglie molti contributi aggiornati, e notazioni anche tecniche che avrebbero potuto essere utilmente “incastonate” nel percorso della mostra (come si è fatto con la pittura), cercando di richiamare, almeno per cenni, quel fondamentale mondo senza il quale tutto questo non esisterebbe: il lavoro artigiano con le sue botteghe, il rapporto con gli artisti e i committenti, le corporazioni, i mercati, il ruolo in esso delle donne, quello dei conventi.

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