Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

L’epidemia di cent’anni fa

Due anni di spagnola nel racconto di un quotidiano dell'epoca. Analogie e differenze rispetto alle cronache odierne.

Un’epidemia d’influenza si va dilagando per la città”; è questo il primo accenno all’epidemia di influenza cosiddetta spagnola che ritroviamo, il 1° agosto 1918, sul Resto del Carlino, quotidiano liberal-conservatore fondato a Bologna nel 1885.

In realtà l’epidemia è in azione già da un paio di mesi, ma finora non ha fatto molti danni, tanto che per altri due mesi il giornale non torna sull’argomento. C’entra naturalmente la cautela necessaria per evitare la censura (la guerra è tuttora in corso), ma effettivamente è solo con l’approssimarsi dell’autunno che l’epidemia diventa più aggressiva.

Ma di che si tratta? Non è una normale influenza - dicono gli esperti - ma al di là del fatto che colpisce i polmoni, c’è il buio. Una circostanza preoccupante, che però si ammanta di ottimismo nei giorni seguenti, secondo una linea di condotta schizofrenica che caratterizzerà le cronache per tutto il corso dell’epidemia: “Le popolazioni non devono allarmarsi, trattandosi di malattia che non ha nulla di misterioso... Una medicina è di efficacia portentosa: non aver paura”.

Anche il medico provinciale minimizza: “Si tratta di una delle tante epidemie di influenza che si sono verificate da secoli a questa parte”.

Si deve però ammettere che “una certa indecisione regna ancora tra i medici circa l’insidiosa malattia”, e si confessa onestamente che al momento non esiste alcuna terapia per combatterla. Poi però, oltre alle precauzioni (le stesse di oggi: distanziamento sociale e pulizia), compaiono anche molte singolari indicazioni relative a farmaci e disinfettanti che curano, oltre a prevenire: “Miglior consiglio i signori medici non potranno proporre se non dieta leggera, purgante salino, chinino (indispensabile per combattere e prevenire la grippe spagnuola), e fenacetina, e vinta la febbre una buona cura di acqua Virgiliana fosforo arsenico ferruginosa”.

Un batteriologo prescrive di “tenere il capo coperto. Bere abbondantemente al mattino acqua purissima o limonata o zuccherata... Pulire il naso con molta precauzione bagnando dapprima le primissime vie con acqua tiepida lievemente salata; soffiare poi adagio prima una narice e poi l’altra. Una soffiata fatta in modo diverso può essere causa di danni irreparabili”. Utile anche la cannella disciolta in vino bianco.

Alcune indicazioni provengono da medici francesi: “Sono indicati i senapismi, ma soprattutto il salasso s’impone. E si dovrà ripetere l’operazione. Occorrono fino a tre e anche quattro salassi di 500 grammi in pochi giorni”.

“Il dottor Dubois di Lione conseguì i migliori risultati usando della polvere di China calisaia in dosi da 3 a 4 cucchiaini sciolti in una tazza di buon caffè”.

Si arriverà a dire che è stato scoperto un vaccino, anzi, due: in Canada, già distribuito in 7.000 dosi, e a Milano, poco dopo: due notizie che però non avranno alcun seguito.

A parte questo fai-da-te, il 26 ottobre 1918 arrivano le prime mascherine, destinate al personale medico: “Un quadrato di tela nel quale è contenuta della bambagie imbevuta di un disinfettante”. E poi un insieme di norme da seguire, per attenuare il progredire del contagio: “Servirsi il meno possibile dei mezzi di trasporto. Non frequentare luoghi con molte persone. Evitare il contatto con malati. Disinfettarsi spesso le mani. Prima di uscire di casa e tornandoci, fare gargarismi con tintura di iodio o acqua ossigenata sciolta in acqua”.

Queste indicazioni appaiono come consigli, non obblighi, ed ogni città si muove in modo autonomo. A Bologna, dopo alcune proteste dei cittadini, si controlla l’affollamento nei negozi di alimentari e dai barbieri; nei cinematografi si limita il numero della proiezioni, si proroga la riapertura delle scuole, si proibiscono le visite in ospedale, si chiudono i cimiteri nell’imminenza del giorno dei morti, si allunga l’orario delle farmacie, si limita il traffico ferroviario (anche per scarsità del personale) e nelle carrozze, niente viaggiatori in piedi.

Ma le obiezioni dei cronisti, volte a minimizzare la situazione, sono numerose: “Non bisogna esagerare... per un’epidemia che non è certo più grave di tante altre. È eccessivo chiedere la sospensione degli spettacoli pubblici, delle cerimonie religiose, degli affollamenti sui trams, ecc. Questo, è vero, è stato fatto in qualche città, ma in esse il morbo ha assunto proporzioni preoccupanti, mentre da noi l’epidemia ha assunto un carattere benigno” (vedremo se è vero).

Chiudere le scuole? “Le aule scolastiche sono assai più salubri di certe case in cui vivono la maggior parte degli alunni”. Limitare l’affollamento dei mezzi pubblici? Il vero problema è che i treni arrivano sporchi e ripartono senza che si sia fatta pulizia.

Numerosi lettori puntano il dito su concrete questioni particolari. Ad esempio, occorre evitare di stringersi la mano.

E ancora: “Si va predicando l’igiene e nella casa manca l’acqua”.

Bisognerebbe ripristinare il servizio telefonico sospeso da un anno, così “oltre tremila abbonati e relative famiglie avrebbero modo di starsene igienicamente al proprio telefono e concorrerebbero alla diminuzione del numero di individui che circolano nelle strade e si affollano negli uffici”.

Nei bar è invalso il poco pulito sistema di spezzare i quadretti dello zucchero colle dita delle mani, quelle stesse dita con cui, poco prima, hanno maneggiato luride monete cartacee e di rame”.

Ma c’è chi allarga il discorso, deplorando duramente la leggerezza con cui si sta affrontando la tragedia: “Sarebbe da incoscienti non considerare con molta serietà lo stato presente, quando è noto che solo in Italia il numero di vittime mietute dalla terribile pandemia si avvicina al milione. Si gioca con la morte con una leggerezza e apatia che non è stoicismo ma vera insensatezza”.

Un colpo al cerchio, un colpo alla botte

A questo punto, per valutare l’attendibilità del racconto del Resto del Carlino, diventa necessario ricordare i numeri. Il giornale riporta sì diligentemente il bollettino quotidiano dell’Ufficio del medico provinciale col numero dei decessi, ma sono indicazioni non sempre chiare e che non coprono l’intero periodo dell’epidemia. Successivamente, però, si calcolerà che in una città che contava allora circa 200.000 abitanti, la spagnola fece, in un anno e mezzo (il 1918 e i primi sei mesi del ‘19) almeno 1.700 morti, forse 2.000 alla fine di tutto.

Eppure il 22 settembre, quando ormai la spagnola ha violentemente accelerato il suo corso, il cronista scrive: “Da alcuni giorni corrono per la città e si propagano con una rapidità strana quanto deplorevole voci allarmanti sulla salute pubblica a Bologna e in provincia. Siamo lieti di poter affermare, in seguito alle dichiarazioni dei funzionari preposti alla direzione sanitaria cittadina, che queste voci sono in parte infondate e in parte straordinariamente esagerate”.

Due giorni più tardi, dopo aver precisato che per la spagnola “non esistono terapie”, ribadisce però: “Nonostante le assicurazioni da noi date sulle condizioni della salute pubblica, continuano a circolare e a diffondersi con deplorevole insistenza e con grave perturbamento degli animi voci esagerate ed assolutamente infondate”.

Nei giorni e nelle settimane successive la musica non cambia, ma il picco della schizofrenia viene raggiunto il 10 ottobre, con una introduzione del solito tenore: “Le notizie, o meglio le voci incerte e spesso cervellotiche sul propagarsi dell’epidemia fanno le spese di tutti i discorsi, di tutte le discussioni, di tutte le previsioni nelle famiglie, nei negozi, nei caffè, sui trams e purtroppo questo dilagare di chiacchiere fantastiche ed esagerate non ottiene altro risultato all’infuori di quello di incutere timore anche in chi è sanissimo”.

Seguono però un commento e una notizia di tutt’altro tenore: “La verità è che l’epidemia accenna a diffondersi maggiormente e che i casi letali aumentano ogni giorno. Quarantanove decessi in un giorno costituiscono una cifra non indifferente”.

Replica il giorno successivo: “La verità è che l’epidemia si diffonde maggiormente anziché decrescere. Però ogni allarme sarebbe assurdo: a Napoli, a Roma e in altre città le cose vanno molto peggio”.

Molto peggio va altrove anche la qualità dell’informazione - sostiene il giornale - quasi a giustificare la propria sottovalutazione del fenomeno: a Verona, ad esempio, “con errato criterio s’impose ai giornali di tacere, dando adito alle esagerazioni più impressionanti, e manifesti con norme igieniche non furono largamente diffusi”.

In effetti, negli ultimi tempi dell’epidemia appaiono sul giornale anche delle notizie “scomode”, che ci riportano alle cronache dei giorni nostri: “In molti paesi della provincia mancano i medici. In altri i sanitari sono stati colpiti dall’epidemia e gli infermi, ovunque assai numerosi, rimangono privi di cure per parecchi giorni”.

Vari comuni rurali cercano medici e sono disposti a dar loro ottimi compensi. Quei sanitari che volessero compiere un’opera altamente meritevole e umanitaria, sono pregati d’inscriversi all’Ufficio sanitario provinciale”.

Sul finire del 1918 il Resto del Carlino sbaglia un paio di volte illudendosi che l’epidemia sia finita, ma finalmente il 28 gennaio 1919 può legittimamente annunciare: “Siamo lieti di poter dare una lieta notizia alla cittadinanza: domenica 26 e ieri lunedì 27 per la prima volta dopo vari mesi non è stato denunciato nessun caso di morte per influenza fra la popolazione civile di Bologna”.

In realtà la spagnola scomparirà lentamente, continuando pur in forma meno aggressiva per tutto l’anno e oltre. Ma il 27 marzo il giornale chiude definitivamente la pratica: il morbo “continua a serpeggiare, ma in forma mite. Siamo ormai agli ultimi aneliti dell’epidemia”.

Parole chiave:

Articoli attinenti

Nello stesso numero:
Coronaland
In altri numeri:
Dalla peste al covid 19
Rodolfo Taiani

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.