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Gli orrori di Ponte Caffaro

Palazzo Lodron: come si distrugge un’opera d’arte.

Palazzo Lodron a Ponte Caffaro: incredibile ma vero.Una doppia finestra del Rinascimento, la più bella del Trentino - neppure al Buonconsiglio ce ne sono di uguali - sparisce dalla facciata di un palazzo per finire nella cappella funebre di una famiglia di industrialotti a venti chilometri di distanza; un caminetto monumentale, anch’esso opera finissima del Cinquecento, si volatilizza dal salone del palazzo e riappare nella suddetta cappella come architrave della porta.

Il fatto, o meglio misfatto, avviene alla fine degli anni Settanta e non in Cambogia - dove l’anno scorso sono state saccheggiate centinaia di sculture dei templi di Angkor- e neppure nella Palermo devastata dai crolli. Il fatto succede nel civilissimo Trentino, dopo che la gestione dei beni culturali è passata alla Provincia autonoma. Incredibile ma vero: tutto questo è avvenuto a Ponte Caffaro, una frazione di Storo ai confini fra Trentino e Bresciano.

Il palazzo, uno dei più insigni della provincia, è stato fatto costruire nel Cinquecento dai Lodron, irrequieti signori delle Giudicarie, a controllo del ponte sul Caffaro e dell’orgogliosa comunità di Bagolino, che diede loro tanto filo da torcere. Non badarono a spese i Lodron per abbellire il loro palazzo e il risultato fu una raffinata costruzione provvista di un cortile loggiato, di un grande giardino cinto da mura e collegata da un passaggio aereo, sul tipo delle logge medicee a Firenze, con il vicino convento di S. Croce. Ma è soprattutto la ricercatezza degli ornamenti lapidei, realizzati da artisti del Rinascimento bresciano - gli stessi che lavorarono al portale della pieve di Condino - che rende il palazzo unico nel Trentino. In loco rimangono le colonne del cortile loggiato, ornate di capitelli classici differenti dall’altro e il portale del salone principale, con scolpiti i busti dei Cesari e il leone dei Lodron; a questi si aggiunge la scenografica tomba di famiglia, fatta rimontare sotto la loggia dal conte Carlo di Lodron-Laterano nel 1921.

Gli altri elementi in pietra che impreziosivano la costruzione sono stati invece asportati: il portale d’ingresso, con capitelli, festone floreale e scudetto sommitale con il leone lodroniano, finito chissà dove, la doppia finestra che si apriva sulla facciata, che Gorfer riprodusse nel libro sui castelli del Trentino e definì "gioiello del Rinascimento lombardo", e il monumentale camino del salone, anch’esso ornato di finissimi rilievi con grottesche, girali vegetali e medaglioni di personaggi dell’antichità romana. Queste due opere sono state strappate dal palazzo negli ultimi anni Settanta e vendute da uno dei proprietari ai Belli, industriali di Vestone con manie di nobiltà, che le hanno impiegate per ornare (si fa per dire) la loro cappella funebre nel cimitero di Vestone. Gli attuali proprietari di palazzo Lodron lasciano la costruzione in uno stato vergognoso: intonaci che si distaccano, cornicioni che crollano, finestre aperte abusivamente nella facciata e sotto il loggiato, diviso da tramezze di legno, il salone trasformato in voliera per gli uccelli, che vagano, liberi di lordare muri e pavimenti... A tanta trascuratezza si è aggiunta la clamorosa vendita della finestra e del caminetto, vendita stupida peraltro, per poche centinaia di mila lire, vendita che nessuno ha contrastato.

Tutto il paese sapeva e rideva - è l’attuale assessore alla cultura del comune di Storo che lo afferma- ma - non uno che si levasse a denunciare lo scempio, a cominciare proprio dal Comune. Nessun intervento da parte dell’Ufficio tutela dei beni monumentali della Provincia, che a tutt’oggi non era a conoscenza dei fatti e che non prevede per l’immediato una denuncia, eppure non c’è prescrizione per gli attentati contro il patrimonio artistico ambientale.

Questa indifferenza per il patrimonio storico e artistico locale ha una lunga tradizione in quel di Storo: all’inizio degli anni Sessanta al comune era stato offerto palazzo Baviera, a Lodrone, altro palazzo dei Lodron; con una cifra modesta il comune avrebbe potuto comperare palazzo, arredi e terreni circostanti; non lo fece e i nuovi proprietari del palazzo impiegarono poche settimane a vendere tutto quello che si poteva asportare: arredi, infissi, capitelli. Quanto al palazzo di Ponte Caffaro, si parla di due quintali di documenti d’archivio, importantissimi per la storia non solo della zona ma del Trentino tutto, buttati al macero.

Una timida inversione di tendenza sembra far capolino negli ultimi anni: il comune, nel piano urbanistico approvato da pochi mesi, ha creato una zona di rispetto attorno a palazzo Caffaro, ma, come si vede dalla foto, nel giardino sta sorgendo una costruzione in cemento e un magazzino costruito proprio a filo della strada ha alterato in maniera irreversibile la veduta del palazzo, senza contare la brutta costruzione alla testata del ponte, dove un triste bar aggiunge un tocco di desolazione alla zona, già depressa da un angoscioso monumento ai caduti sulla riva bresciana e da una serie di edifici sgraziati lungo il torrente.

Eppure, poco lontano, un comune piccolo e sensibile, quello di Bondone di Storo, ha elaborato un piano turistico di tutto rispetto, nel quale, oltre al campeggio e al riordino della fascia costiera sul lago di Idro, una parte sostanziale la svolge il castello di San Giovanni, romantico belvedere aperto sul lago , acquistato dal comune e aperto ai visitatori.

Il comune di Storo progetta di restaurare la rocca di Santa Barbara, pochi ruderi in verità; non sarebbe il caso invece di acquistare, almeno in parte, palazzo Caffaro ed evitare che si trasformi in rovina e , soprattutto, avviare energiche pratiche per riavere le decorazioni che impreziosivano uno dei più bei palazzi del nostro territorio?