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QT n. 4, 24 febbraio 2001 Servizi

Scuola: fra cortesia e organizzazione

Un convegno organizzato dai DS sulla scuola trentina. Ma l’assessore Molinari non c’era...

Ha, oggi, la scuola trentina, una sua identità? Ed è l’identità un progetto da perseguire, in un contesto, nazionale ed europeo, alle prese con cambiamenti profondi?

L'assessore provinciale all'Istruzione Claudio Molinari.

Che un partito politico, i Democratici di sinistra, organizzi un convegno sul tema, è un fatto positivo. Che la sala, un sabato pomeriggio, sia affollata, ancora di più.

Ma la risposta, ovviamente, è complicata. Ci informa il sociologo, e presidente dell’Iprase, Carlo Buzzi, che la femminilizzazione degli insegnanti è in Trentino un processo meno accentuato che a livello nazionale, e che addirittura, mediamente, essi sono meno anziani. Ma certo non è questa l’identità ricercata. Il numero di giovani diplomati e laureati è ancora notevolmente inferiore che nel resto d’Italia - ricorda Roberto Pinter, vicepresidente della Giunta provinciale.

Siamo inoltre una provincia, secondo il dirigente scolastico Alberto Tomasi, in cui le riforme nazionali si applicano sempre in ritardo, in cui prevale una mentalità centralistica, in cui non ben definiti, anzi in concorrenza tra loro, sono i ruoli della sovrintendenza e dell’assessorato.

L’assessore in questione, Claudio Molinari, invitato al convegno, invia un telegramma di buon lavoro dalla sede della Sosat, in via Malpaga, dove è in corso l’assemblea della Federazione dei Cori. Qualcuno dei presenti non accetta la scusa, e sghignazza. Invece anche i cori sono una cosa seria. Ma sarebbero disposti i coristi trentini, fra i quali non mancano certo genitori, insegnanti, anche studenti, a rinunciare alla presenza, tutta per loro, dell’assessore, perché egli possa ragionare di scuola, in un’altra sala della città? Anche da questo si potrebbe verificare se una società è convinta dell’importanza strategica della sua scuola.

Parlare e ascoltare, dovrebbe, l’assessore all’istruzione. Di Claudio Molinari leggiamo spesso l’insofferenza: la sinistra, con trappole, lacci, utopie, gli impedirebbe di governare come saprebbe. Per questo, si dice, manovriero qual è, sta pensando alla rottura del governo pur votato dai cittadini in recenti elezioni. Nel linguaggio degli addetti ai lavori, è una virata al "centro" che sta preparando, un "terzo polo" in grado di dialogare con le forze di destra. Per il bene della scuola, suppongo.

Per la verità, fra gli insegnanti che ogni giorno a scuola tirano il carro, io non vedo frotte in attesa di Valduga, Andreotti, Boso, Taverna.

A Claudio Molinari gioverebbe vedere le facce, ascoltarli, e parlarci, ai partecipanti a questo convegno. Appartengono, anche se non la esauriscono, alla minoranza cospicua dei motivati, scoperta dall’indagine Iard, in un universo di insegnanti alquanto depressi.

Ma perché un partito, i DS, autorevole membro di giunta, non garantisce a un convegno sulla scuola la presenza dell’assessore competente? Dichiarare ai giornali di averlo, a sua insaputa, invitato a parlare, non significa nulla, se lui ha già impegnato il pomeriggio a cantare. Svela semmai, una volta di più, i rapporti precari esistenti fra partiti, e uomini, che dovrebbero collaborare. Potrebbe essere questo un elemento d’identità della scuola trentina: in una provincia non grande, gli operatori incontrano, da vicino, con una certa frequenza, i responsabili del settore.

Se coloro che dovrebbero organizzare un convegno con l’assessore, non ci riescono, come potranno organizzare bene i rapporti, difficili, fra la scuola e il territorio, fra la scuola italiana e quella trentina, fra l’assessorato e la sovrintendenza?

Tutti i relatori, da Tomasi a Cerini, da Gabbi a Pinter, ripetono che la scuola non è un’impresa per manager, che essa non deve finire subordinata al mercato, alla produzione, al lavoro. Gli aspetti di lentezza, di imprevisto, di relazione umana, insomma di educazione, valgono più delle pressioni che vengono dal mondo dell’economia.

Verissimo: ascoltiamo con piacere l’elogio della cortesia. So bene che devo "dialogare" con quel ragazzo che dorme, con quello che accumula assenze su assenze, con quello che mi dice con gli occhi: "ma io, qui, in quest’aula, che ci sto a fare?" Per uno l’insegnante è uno "stronzo": quale voto di condotta gli diamo, il sette proposto su la Repubblica da Mario Pirani? Ci sono quelli che bevono, fumano, addirittura fumano e spacciano.

E poi ci sono i talenti da valorizzare: mentre tento di inseguire quello che scappa, per fornire anche a lui gli strumenti di base, c’è quello al quale il manuale non basta, per lui ci vuole il giornale, il programma alla radio e alla Tv. I CD e Internet addirittura, ordigni che a me fanno ancora paura.

Perché io possa insegnare ed educare con qualche dignità, dalla "politica", cioè dall’assessore, dal sovrintendente, dal vicepresidente di giunta, io mi aspetto, però, proprio parole sull’organizzazione, sugli ordinamenti, sullo scheletro istituzionale. Anche i dubbi, le proposte provvisorie, le divergenze, sono disposto ad ascoltare: so che le questioni sono complesse, che le risorse non sono infinite, che il compito del politico è difficile.

Sulle lingue straniere il dirigente Toffoli è in disaccordo con Vincenzo Passerini? Nulla di scandaloso: ascoltiamo gli argomenti dell’uno e dell’altro. Funziona il meccanismo delle 40 ore di lavoro integrative, con aumento di stipendio corrispondente? Secondo me va rivisto.

Ancora: che ne sarà dell’Iprase? Sandra Lucietto è venuta quest’anno nella mia scuola, la scuola dell’autonomia, non a muovere carte, ma a formare alcuni insegnanti, i coordinatori dei consigli di classe, nella gestione dei gruppi. Ed ha lavorato una mattinata anche con gli studenti, i cento delegati eletti dai loro compagni, perché le assemblee riuscissero un pochino più produttive. Gli studenti, da quest’anno, sanno che esiste l’Iprase.

Che i politici, e i tecnici, mi dicano che l’educazione cortese è più importante di una macchina organizzativa efficiente, lo apprezzo. Ma può anche diventare un comodo alibi. Solo se l’istituzione accompagna le scuole, e "organizza", le riforme in cantiere daranno i risultati sperati.

Si dice anche: alla scuola spetta trasmettere i nuovi saperi, raffinati e critici, mentre il mercato vorrebbe "prodotti finiti", da collocare in fretta, al proprio posto, in azienda, a lavorare. A me pare che il lavoro, oggi, incorpori i nuovi saperi. L’antinomia fondamentale che attraversa la scuola da sempre, fra la funzione di trasmettere le conoscenze, di riprodurre la cultura già elaborata, e la funzione di promuovere l’innovazione, e la realizzazione delle persone, si pone in termini nuovi. Complessi e drammatici anche: quando sono vorticosi i cambiamenti, nella scienza e nella tecnica, nella cultura e nella politica, il futuro è imprevedibile. Ed è difficile istruire ed educare per un futuro che non conosci: anche comprensione meritano gli operatori, i tecnici, i politici, che si misurano con un problema di tale portata.

Le riforme avviate in questi anni, di governo dell’Ulivo, sono una cosa seria. Discutibili - ha spiegato Giancarlo Cerini - ma con un progetto culturale e civile alla base. Sulla ingegneria ordinamentale nessuno dispone di verità assolute: in Italia il legislatore ha deciso una scansione fra sette anni di scuola primaria e cinque di secondaria. In Inghilterra il modello è di sei e sei, in Scandinavia è di nove e tre, in Francia di cinque, quattro, due.

L’impegno comune è però quello, in una società delle conoscenze, di concludere a 18 anni, con la maggiore età, la "formazione" per tutti, attraverso percorsi diversi, adatti ai ritmi e agli stili di apprendimento individuali.

La difficoltà pare essere la "crisi" generale di chi oggi si muove dentro e attorno alla scuola. Sono preoccupati gli insegnanti. Anche i dirigenti. Anche il personale non docente. Gli studenti sono insoddisfatti , come i genitori. Quando al convegno Marcantoni ricorda che i più in crisi di tutti sono i provveditori, in parecchi riprendono animo. E che il ministro Tullio De Mauro prometta, o minacci, di voler lasciare la plancia di comando, per tornare in un’aula a insegnare linguistica, io lo vivo più come incoraggiamento che come rinuncia.

Anche il convegno dei DS trentini non si fa travolgere dal pessimismo. Ci sono insegnanti sfiduciati, che vivono una condizione di marginalità, ma altri, forse i più, sono motivati, hanno mantenuto elevato il loro impegno scolastico ed extrascolastico.

Elisa Bellè, la studentessa insoddisfatta dello stato delle cose presenti, chiede agli insegnanti, così come sono, di guidare i giovani nel caos dell’attualità attraverso la lettura dei giornali. Non sa, la ragazza che, secondo l’indagine Iard, solo poco più della metà degli insegnanti legge ogni giorno un quotidiano. La sua richiesta esprime così, nonostante tutto, fiducia.