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Il thè alla coca di Gilberto Simoni

Irrisolti misteri d'Italia: dopo Ustica, la cocaina del ciclista Simoni.

Nei primi tre giorni della vicenda, quelli più caldi, abbiamo letto proprio tutto: fra L’Adige e il Trentino, nientemeno che 30 intere pagine, 36 se consideriamo anche le prime pagine, il cui titolo d’apertura era sempre dedicato alla storia della positività alla cocaina di Gilberto Simoni e al suo allontanamento dal Giro d’Italia. Al quarto giorno eravamo francamente saturi, e del resto un’idea ormai ce l’avevamo: che cioè, fatti salvi pochi elementi sicuri, era il caso di sospendere il giudizio, forse per sempre, come in tanti misteri d’Italia.

I due quotidiani locali hanno fatto di tutto per appurare la verità, intervistando, oltre al campione e a numerosi colleghi e dirigenti ciclistici, il suo avvocato, il dentista che lo ha curato, parecchi medici, il capo del "Simoni Club", la mamma, la cugina, la cognata, la nonna, la sorella, tanta gente di Palù e di Trento ("Vogliono farlo finire come Maradona"; "E’ vittima di un tramacio"), Mario Malossini ("Non ci credo assolutamente"), Lorenzo Dellai ("Ho appreso la notizia con assoluto sconcerto") e molti altri. Troppi, in verità, ma l’atteggiamento dei due giornali - a differenza di quanto hanno fatto tifosi e politici - è stato sì tendenzialmente benevolo, ma sostanzialmente laico, mettendo in rilievo contraddizioni e incomprensibili ingenuità del ciclista trentino.

Com’è noto, appena avuta notizia della "non negatività" alla cocaina, Simoni ha spiegato che proprio poche ore prima del controllo era andato dal dentista, che per l’anestesia aveva usato della novocaina, parente prossima della cocaina.

Ma - rileva un medico - "mi ha meravigliato tantissimo che un corridore dell’esperienza di Simoni… non si sia premurato di farsi consegnare dal suo dentista un certificato che dicesse che era stato trattato con farmaci di un certo tipo". Sempre più più sbadato, Simoni nemmeno a voce dice alcunché ai due ispettori dell’Agenzia mondiale dell’antidoping, venuti per i controlli. Forse perché - come precisa l’Adige - né lui né nessun altro della sua squadra sapeva una parola d’inglese o di francese per intendersi con gli ispettori?

Peggio ancora: tutti gli esperti interpellati scuotono la testa: è impossibile, in analisi di quel tipo, confondere novocaina e cocaina. Ancora, a chi (come Francesco Moser) obietta che la cocaina non serve a un ciclista, un medico ribatte: "Per favore, smettiamola con la favola che la cocaina nello sport non aiuta. E’ doping, eccome. Riduce la soglie del segnale di fatica, ne allontana i sintomi. Insomma, si corre di più, si pedala più forte e più a lungo".

Poi, al giornalista dell’Adige che gli chiede se non ci siano altre sostanze che potrebbero essere confuse con la cocaina, un farmacologo dell’Università di Verona risponde: "Delle foglie di alcuni particolari tipi di tè presentano contenuti molto simili alla cocaina. Simoni avrebbe potuto dire di aver bevuto una tisana fatta con questo tè, forse avrebbe potuto essere una linea difensiva efficace".

L’indomani, stranamente, ecco la nuova spiegazione, fin qui "tenuta coperta perché ritenuta scarsamente credibile, anche se vera… La sera del controllo a sorpresa, Simoni aveva cenato dalla zia della moglie, bevendo una tisana a base di foglie di coca che gli era stata offerta."

Una tisana "acquistata dalla zia a Lima, in Perù, durante il pellegrinaggio per la consacrazione del vescovo trentino Adriano Tomasi". "Un racconto - commenta il Trentino - tanto circostanziato quanto bizzarro".

Nell’affannosa ricerca di una spiegazione, si ipotizza di tutto. A qualcuno viene in mente "una contaminazione indiretta tramite banconote precedentemente usate per sniffare la cocaina"; qualcun altro, più concreto e insidioso, ricorda che un cugino della moglie di Simoni, nel novembre scorso, era stato arrestato per spaccio di cocaina.

Domenica 26, infine, ennesima giravolta, con Gilberto Simoni che, smentendo la zia, nega di aver bevuto il tè peruviano e chiede un controllo sul Dna.

Ma basta così. Tanto vale aspettare in attesa, non troppo fiduciosa, di qualche nuovo elemento. Nel frattempo accontentiamoci delle conclusioni interlocutorie avanzate, sul Trentino del 25 maggio, da Giorgio Lago, che così si rivolge a Simoni: "Se, stando alle sue ipotesi, mancasse il dolo chimico, ci sarebbe una colpa disciplinare che rasenta l’incoscienza, per non dire la dabbenaggine. In parole povere, se ha ragione lei, si ritrova a casa perché sprovveduto, o ‘mona’, come avrebbe esclamato il grande Nereo Rocco; se invece fa testo l’antidoping, è fuori perché ha preso addirittura cocaina. come, dove e quando, non riesco nemmeno vagamente a immaginare".

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