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“Capire il dolore”

Vittorino Andreoli, Capire il dolore. Rizzoli, Milano, 2003, pp.312, 16,50.

Ci sono libri che fin dalle prime pagine ci fanno sobbalzare e suscitano un senso d’inquietudine ben difficile da allontanare. "Capire il dolore" è certamente uno di questi. L’autore, Vittorino Andreoli, è una voce penetrante che sa far breccia nel cuore dei lettori. Il suo linguaggio terso affronta temi di forte impatto emotivo. E chi del prolifico scrittore, avendo letto "Delitti" o il "Lato oscuro", ricorderà una certa tensione narrativa, la ritroverà puntuale e più intensa in questo saggio. Un saggio denso di significati, senz’altro.

Vincent Van Gogh, "Vecchio nel dolore".

Ma forse sono gli anni "non più verdi" di Andreoli che lo portano a mietere ottimi frutti in un’età fatta di molta saggezza. E in questo libro, fresco di stampa, la saggezza di un grande psichiatra si arricchisce di una sfumatura nuova: la fragilità di un uomo dotato di una spiccata sensibilità per le sofferenze di ognuno. Sofferenze che lo hanno forgiato e che ha affastellato man mano nel suo percorso professionale, toccandole da vicino. Ferite di cui, adesso, egli sente addosso il peso e che trovano espressioni in frasi che hanno il sapore di una catarsi.

Un libro "vivo", dunque, in cui lo scrittore racconta i propri vissuti offrendoci riflessioni profonde e molti ricordi autobiografici. Per questo è facile lasciarsi coinvolgere e condurre per mano in questo viaggio nell’universo del dolore: quello mentale, esistenziale, della fatica di vivere. Quello che ruota attorno alla ricerca del senso del mondo, alla coscienza della propria finitudine. Un lasciarsi condurre che però, di pagina in pagina, ci scuote ed in certi momenti ci induce nella tentazione di chiudere il libro. Perché?

Forse siamo davvero spaventati dal dolore. Lo percepiamo come un ostacolo, uno stop che non ci possiamo permettere nella società efficiente che richiede ritmi forsennati. A differenza di altre culture che utilizzano veri e propri riti iniziatici per prendere contatto con tale esperienza, siamo abituati a fuggirlo. Così, quasi a volerlo esorcizzare, lo facciamo cadere nell’oblio e lo releghiamo in luoghi lontani del nostro immaginario collettivo. Ma qui Andreoli ci inchioda. Ci parla del dolore come aspetto ineluttabile dell’esistenza umana, una costante in ogni fase della vita. Scalfisce le nostre acquisite certezze: la famiglia come guscio protettivo, l’infanzia come periodo di serenità. Ad un tratto le immagini del dolore, che prima abitavano solo in precisi spazi, come manicomi ed ospedali, assumono un significato più ampio e più vicino alla nostra quotidianità.

Il tutto espresso con una scrit-tura incisiva e sferzante, che a volte ci appare fin troppo cruda. Una crudezza che nasce però dall’affondo della sua esperienza. Ed è una scrittura che fa affiorare il non detto, che fende la società dell’apparire e soprattutto produce pensiero. E i pensieri dell’autore scorrono sulle pagine e come forti pennellate dipingono il volto nascosto delle città, teatro d’ipocrisia. Ed ancora della solitudine, dell’egoismo e dell’indifferenza.

"Ho parlato del dolore per comprenderlo, per accettarlo, per condividerlo" - scrive l’autore. Nel libro, infatti, non troviamo aride teorie, ma la ricerca di un’autentica solidarietà umana. Un valore universale che egli grida da non credente e che si esprime nella partecipazione alla sofferenza dell’altro, nella compassione. Un dolore che ci fa conoscere gli angoli più bui della nostra mente e ci può aprire in maniera gioiosa alla vita.

Poeti, artisti e filosofi hanno attinto linfa da quest’esperienza per la creazione delle loro opere e Andreoli, con la sua personalità eclettica, sa farsi buon portavoce.

Ma c’è un altro monito dell’autore, quasi urlato, che fa da eco a tutto il libro, quello contro il "dolore inutile, gratuito ed evitabile: questo mi pare appartenga all’uomo, alla sua grandezza e alla sua evoluzione somma. L’uomo che ammazza potrebbe usare le stesse mani per accarezzare invece che per soffocare".

In conclusione, non lasciamoci spaventare da una lettura che in certe pagine potrà svelarsi "disturbante". Ben vengano i saggi che attivano la nostra materia grigia e ci fanno dimenticare certi libri soporiferi, contenitori senza contenuto. E in questo saggio Andreoli di contenuti ne regala molti: serve solo un po’di tempo per indugiare.