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Economia e ricerca

In Italia sono 730.000 i cacciatori che ogni anno uccidono 100 milioni di animali. Dietro la caccia esistono enormi interessi, economici e politici: 60.000 addetti nel settore, con un giro d’affari di quasi 3 miliardi di euro; la sola produzione annuale di cartucce ammonta ad oltre 132 milioni di euro (fonte ISTAT). Lo Stato elargisce copiosi fondi pubblici a 7 associazioni venatorie riconosciute e le Regioni finanziano altre associazioni locali.

Annualmente l’Italia paga la quota di adesione al Consiglio internazionale della caccia: 30.000 euro di denaro pubblico. Cacciatori, armieri, allevatori di selvaggina, proprietari di aziende venatorie, poi, si rivelano preziosi voti in occasione di elezioni.

Dal punto di vista ambientale, poi, la caccia è responsabile dell’inquinamento dei terreni con 15/ 20.000 tonnellate di piombo ogni anno, il piombo di cui sono fatti i pallini delle cartucce. Spesso queste si raccolgono sui fondali di fiumi e torrenti, ed ingeriti dagli uccelli acquatici che li scambiano per sassolini, causano loro il saturnismo e conseguentemente l’inevitabile morte. Benché vietate dalla legge, trappole e tagliole sono liberamente vendute nelle ferramenta. I ripopolamenti venatori di "animali pronta caccia" causano poi alterazione degli ecosistemi, diffusione di malattie, inquinamento genetico delle specie selvatiche. La maggior parte di questi esemplari, inadatti alla vita selvatica perché allevati in cattività, muore di stenti o predata. E comunque alla vista dell’uomo si avvicinano fiduciosi.

Al business dei ripopolamenti è strettamente legato e connesso il fenomeno dei bocconi avvelenati, sparsi per impedire che volpi, gazze, cani, gatti ed altri predatori naturali si nutrano degli animali d’allevamento immessi dai cacciatori.

Attualmente sono decine le proposte di legge presentate da tutti gli schieramenti politici, volte a promuovere una caccia sfrenata e senza limiti. Proposte che, se approvate, cancelleranno ogni politica di conservazione della biodiversità. Gli animali non saranno più "patrimonio indisponibile dello Stato", ma torneranno ad essere "res nullius", cosa di nessuno. Si potrà cacciare anche nei parchi, nelle riserve naturali e nelle foreste demaniali.

La caccia sarà aperta tutto l’anno, anche nei periodi di riproduzione e migrazione degli animali, delicatissimi per gli equilibri ecologici. Verranno depenalizzati tutti i reati venatori e ridotte fino al 60% le tasse per l’esercizio venatorio. Un mondo di possibilità si apre ai cacciatori. Il futuro della fauna è compromesso, specialmente per gli uccelli migratori, perché l’Italia rappresenta un "ponte" biologico vitale, tappa obbligata nei flussi migratori tra Africa ed Europa; essa è fortemente antropizzata e presenta un fenomeno di bracconaggio esercitato sulle specie protette che non ha uguali negli altri paesi europei; parimenti forte è l’industria delle armi, suscettibile di condizionare l’azione legislativa ed amministrativa delle autorità competenti.

L’opinione pubblica è fortemente contraria alla caccia ed alla sua ulteriore liberalizzazione, ma è necessario concentrare gli sforzi per impedire il peggioramento delle attuali normative comunitarie, statali e regionali.

E’ stata creata l’immagine del cacciatore "ambientalista" che ama e conosce la natura (morta), il cacciatore "utile alla società" perché "controlla" la fauna che altrimenti si riprodurrebbe all’eccesso, il cacciatore "tutore" dell’agricoltura che salva i raccolti dai famelici cinghiali, voraci cornacchie e calamitosi passeri, il cacciatore "romantico" che sa apprezzare il mondo rurale e le sue tradizioni... La questione morale sembra sparita: il cacciatore che uccide per "sport" un’allodola pesante meno della cartuccia utilizzata, o che spara con un fucile automatico a ripetizione fino a tre colpi ad una lepre in corsa terrorizzata da una muta di cani che la inseguono, non sempre è visto per quello che è in realtà: un assassino che commette un biocidio.

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