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QT n. 10, 20 maggio 2006 Servizi

Padri a tutto campo, senza pudori

Cura dei figli: una legge del 2000 ha prodotto una piccola rivoluzione culturale.

Badare ai figli, lavare, pulire, cucinare e stirare. Un tempo erano tutte faccende di donne. Lavori faticosi, talvolta monotoni e poco gratificanti, che i maschi hanno appioppato volentieri al gentil sesso perché considerati più adatti all’indole femminile. Non stiamo parlando di un passato tanto remoto. Basta dare un’occhiata ad una ricerca realizzata dalla prof.ssa Chiara Saraceno oltre un ventennio fa in Trentino, per rendersi conto del fardello d’incombenze famigliari che la donna aveva sulle spalle. Tant’è che la sociologa tratteggia due vite completamente diverse per mogli e mariti. Nella quotidianità familiare, infatti, fa capolino un "marito-padre" davvero pigro, che dà una mano alla consorte nelle fatiche domestiche solo "occasionalmente" e "saltuariamente". Magari scegliendo le attività meno ripetitive e più coinvolgenti, tipo giocare con il piccolo, andare a passeggio e via dicendo.

Insomma, uomini nell’ombra, poco attenti e sensibili alle esigenze di realizzazione e di tempo per sé della compagna. Da allora, non c’è dubbio che molte cose siano cambiate. L’occupazione della donna nel mondo del lavoro, in parte, ha spinto gli uomini a superare l’allergia ai lavori domestici. Non solo. I maschi hanno fatto uscire allo scoperto la loro "anima femminile" sperimentando il piacere e l’attenzione alla cura dei figli. Un ruolo non certo facile e tutto da inventare, specie quando affiorano i ricordi dei propri padri, troppo autoritari e distaccati per poter essere imitati.

Dunque uomini più vulnerabili, sospesi fra la voglia di trascorrere più tempo con i pargoli, lasciando libero sfogo alle emozioni, e il desiderio di rimanere aggrappati all’identità lavorativa che garantisce loro un riconoscimento pubblico facendo lievitare la stima in se stessi.

Quando in congedo va papà

Da un po’ di tempo i "nuovi" papà sono sotto i riflettori a livello normativo. Infatti, recentemente, fra molte polemiche e dubbi risvolti positivi, è stata approvata definitivamente la legge sull’affido condiviso dei figli, in caso di separazione della coppia. Un deciso cambio di rotta per affermare il principio che la responsabilità nella cura dei bimbi non spetta solo alla madre, ma ad entrambi i genitori, con eguali diritti e doveri.

Anche la legge n° 53 del 2000 prova a spezzare l’asimmetria di ruoli nel lavoro di educazione ed assistenza dei piccoli. Insomma, solo favorendo un’equa distribuzione dei carichi famigliari, la donna potrà evitare di essere bollata come madre-assenteista e dare slancio alle sue aspirazioni professionali.

I congedi parentali, infatti, intesi come astensione facoltativa dal lavoro, possono essere usufruiti da ciascun genitore per un periodo di 6 mesi, continuativi o frazionati, entro gli otto anni del figlio. La durata complessiva dei permessi della coppia non deve superare i 10 mesi. Solo per i papà è previsto un regalo di un altro mese, qualora decida di badare al pargolo per almeno tre mesi. Una sorta di bonus per spronare i padri più reticenti. I permessi sono retribuiti al 30 per cento fino ai tre anni del bambino.

"Va aggiunto, però, - spiega la prof.ssa Poggio – che lo spirito della legge, teso a dare centralità alla figura paterna, è stato purtroppo svilito e modificato in maniera sostanziale da una contrattazione pubblica provinciale. Questa normativa consente anche ad un solo genitore di fruire dei dieci mesi di permesso facoltativo e, guarda caso, questa scelta ricade quasi sempre sulle donne".

C’è, però, una piccola rivoluzione culturale che ha dato una scossa ai padri più negligenti. La legge n° 53 del 2000 (vedi scheda a fianco), ha riconosciuto una precisa responsabilità paterna nella partecipazione alla cura dei figli, garantendo la possibilità di utilizzare i congedi parentali per entrambi i coniugi in maniera più flessibile rispetto alle normative precedenti. Vediamo allora di approfondire come sono cambiati i papà alla luce di questi mutamenti socio-culturali.

Un decennio fa, chi scrive si trovò alle prese con una tesi di laurea che investigava sui vissuti dei maschi trentini reduci dal congedo di paternità (Quando al bimbo ci bada lui). Scovare padri disposti a raccontare la loro avventura si rivelò un’impresa davvero ardua. Molto timidamente e in numero esiguo gli uomini si affacciavano a questa prova. Erano piacevolmente sorpresi di essere considerati oggetto di studio e non nascondevano l’imbarazzo nell’esprimere i sentimenti intimi provati nel contatto fisico con il pupo durante quest’esperienza. Molti, infatti, temevano di essere bollati come "mammo" e stavano sulla difensiva specificando che il loro ruolo "sostitutivo" della compagna era occasionale e limitato al congedo. In verità, pochi avevano motivato questa scelta con la voglia di cementare il legame con il bimbo. La molla scattava spesso per motivi economici, dati gli incentivi per i padri in congedo, oppure per il desiderio di evadere un po’ e staccare finalmente la spina dal lavoro. Ma del risvolto positivo nel legame con il bimbo, rafforzato al termine del periodo, ne furono orgogliosi tutti i papà, con le madri che non celavano i loro sentimenti di gelosia per questo privilegio. Sull’insicurezza paterna pesava come un macigno la paura di avventurarsi in un territorio femminile ove le donne hanno sempre avuto padronanza ed esercitato un certo potere. Un notevole scompiglio nei ruoli, che accendeva qualche scintilla e pure una certa competizione nella coppia. Per non parlare del timore, da parte dei papà che facevano da apripista a quest’esperienza, di essere messi all’indice perché voltavano le spalle, per un po’, all’ingranaggio produttivo dell’azienda.

A distanza di un decennio, i padri appaiono più partecipi e consapevoli del loro ruolo. Anche se procedono a piccolissimi passi. Lo racconta una recente indagine condotta, su incarico della Commissione Pari Opportunità, dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento.

Il numero di papà disposti a mettersi in gioco in quest’esperienza è senz’altro lievitato dopo la normativa del 2000: sono balzati al 13% gli uomini che usufruiscono di quest’opportunità (vedi grafico 1).

Chiedono i permessi prevalentemente coloro che lavorano nel settore pubblico. Funzionari, impiegati e professori sono la categoria più rappresentata. Al primo posto come boom di richieste si piazza l’Istituto Trentino di Cultura, probabilmente perché vi lavorano persone più giovani, seguito dalla Provincia e dalla Università (vedi grafico 2). Latitano invece le domande nelle aziende private.

"Per capire quanto la scelta del congedo sia poco considerata nelle strategie aziendali, - spiega la prof.ssa Barbara Poggio, coordinatricedella ricerca – basti dire che è stato molto difficile reperire i dati per quest’indagine. Infatti, non esiste un monitoraggio preciso di questo fenomeno a livello provinciale. Quindi le informazioni a nostra disposizione non rappresentano tutta la realtà trentina, ma solo alcuni ambiti lavorativi principali, sulla base anche di dati dell’INPS. Detto questo, non c’è dubbio che, soprattutto nelle aziende private, c’è ancora resistenza e stigmatizzazione verso quest’opportunità. Ciò è dettato da motivi organizzativi, poiché non è facile sostituire il personale, specie per periodi frammentati. Il dipendente può allora incappare in ritorsioni negative per la propria carriera. Insomma, non sono infrequenti le sgradite sorprese al rientro dal congedo, come i casi di mobbing con demansionamento ed isolamento professionale. Tutto ciò è favorito anche da una certa disinformazione su questi diritti. La stigmatizzazione, in ogni modo, circola talvolta fra gli stessi colleghi di lavoro che esprimono dileggio e contrarietà verso chi ha fatto questa scelta. Non è ancora scalfita l’immagine dell’uomo come procacciatore di reddito, fedele ai ritmi e tempi aziendali. Mentre è ancora assodata l’attribuzione al femminile della doppia presenza fra vita pubblica e privata".

Dunque, non è facile calarsi nel ruolo paterno quando i vertici aziendali manifestano qualche mal di pancia di fronte alla richiesta del congedo.

C’è da dire, in ogni modo, che i padri sfruttano l’opportunità per periodi di tempo più risicati e frammentati rispetto alle loro compagne. Insomma, ancor oggi la cultura dell’accudire da parte dei padri fatica a decollare e viene da chiedersi quanto entri in ballo, in questa scelta, il desiderio di costruire un legame psicologico forte con il figlio rispetto a motivi contingenti. Non a caso, i papà utilizzano spesso i permessi per tamponare situazioni d’emergenza nel ménage famigliare, ad esempio nei momenti successivi alla nascita del bimbo oppure quando i servizi all’infanzia sono scoperti.

"In effetti - chiarisce la sociologa – nella pianificazione del congedo sovente non è prioritaria la costruzione del legame affettivo. Gioca un ruolo importante, invece, la differenza di retribuzione fra i membri della coppia. Per dirla in parole semplici: si sacrifica e sta a casa chi guadagna meno o chi ha poche prospettive di viaggiare in carriera. E la donna, in questo senso, si trova senz’altro penalizzata.

E’ soprattutto nelle coppie più istruite e con una concezione paritaria dei ruoli che affiorano motivazioni di ordine affettivo. Sarebbe utile, in ogni modo, incoraggiare i padri a questa scelta, non solo garantendo maggior informazione, ma anche facendo leva sulla trasmissione delle testimonianze positive raccontate dagli uomini che hanno vissuto questa esperienza. In altre province, l’apertura a questi scambi ha dato buoni frutti, rendendoli più consapevoli dell’importanza del loro ruolo nello sviluppo psicologico del figlio".