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QT n. 17, 14 ottobre 2006 Servizi

Quando il petrolio sarà finito

Abbiamo quasi consumato metà delle riserve mondiali. E dopo? Ecco cosa si sta facendo - di bene e di male - in Trentino.

Fu una delle più grandi rivincite della storia della geologia. Lo statunitense Marion King Hubbert avrebbe potuto fare una gigantesca pernacchia a tutti quelli che, considerando bizzarra la sua previsione, lo fecero passare per una specie di mezzo matto.

Marion King Hubbert.

Marion King Hubbert, per chi non lo sapesse, è colui che con grande anticipo predisse il picco della produzione di petrolio. Lo fece esattamente mezzo secolo fa, nel 1956, quando l’economia americana beveva litri e litri di oro nero pensando che lo avrebbe fatto per sempre. Gli americani erano seduti su pozzi di petrolio di cui nessuno era in grado di vedere il fondo.

Nessuno tranne Hubbert, appunto. Il quale se ne uscì con la sua curva a campana dicendo serafico ai connazionali: la nostra produzione di petrolio ora sta crescendo, ma presto, già alla fine degli anni Sessanta, avremo estratto metà delle nostre riserve di petrolio, e da lì in poi la produzione comincerà a rallentare, diventando sempre più costosa, fino ad esaurirsi. Semplice e al tempo stesso inaccettabile. E infatti non l’accettò nessuno, fino a che, esattamente nel momento previsto da Hubbert, la produzione petrolifera americana cominciò in effetti a rallentare, e i prezzi a salire.

Oggi praticamente nessuno mette in discussione il modello di Hubbert, che è stato nel frattempo applicato alla produzione petrolifera globale. Calcolano gli analisti che il fatidico picco della produzione, corrispondente all’estrazione della metà delle riserve mondiali, verrà raggiunto già entro il 2010. Dicono che i segnali saranno evidenti: aumento dei prezzi, conseguenti recessioni economiche e instabilità geopolitiche dovute al tentativo dei Paesi dipendenti dal petrolio di accaparrarsi le ultime riserve, che come tutti sanno sono in Medio Oriente.

Direi che se diamo un’occhiata in giro, questi segnali li vediamo già tutti. E infatti c’è chi sostiene che il picco sia già stato raggiunto.

In ogni caso nessuno dubita che ciò avverrà presto. Ne sono convinti persino gli insospettabili traders (gli operatori di borsa, che col mercato dei futures sul petrolio sono diventati ricchi), se è vero che quest’anno hanno trattato contratti petroliferi con scadenza nel 2010 al prezzo di 65 dollari al barile, ovvero quello attuale. In genere le scommesse su acquisti rinviati tanto in là nel tempo puntano su prezzi più bassi di quelli correnti. A meno che, appunto, si sia convinti che il prezzo attuale sia alto non per motivi congiunturali, ma strutturali.

Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni.

A dire il vero, qualcuno che ancora crede a un futuro bagnato dall’oro nero c’è, ed è un nostro connazionale che col petrolio ha un rapporto "privilegiato". Si chiama Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni S.p.A, sesto gruppo petrolifero mondiale per volume d’affari e prima impresa italiana per capitalizzazione in borsa. Paolo Scaroni non crede per nulla alla fine dell’era del petrolio.

Lo ha affermato con decisione il 13 settembre a Vienna, dove è intervenuto a un seminario organizzato dall’OPEC. "Il mondo non sta terminando le riserve di petrolio" - ha detto. - Le riserve recuperabili di olio non convenzionale, olio pesante e bitume naturale ammontano a quasi 5.000 miliardi di barili, per una durata superiore a 100 anni". Secondo Scaroni, le nuove tecnologie di raffinazione permetteranno di sfruttare questa sorta di petrolio di serie B, finora poco utilizzato a causa degli eccessivi costi di estrazione, trasporto e, appunto, raffinazione, ma che oggi, col petrolio convenzionale a 70 dollari al barile, sta diventando economico.

Tutto a posto, quindi? Allarmismi inutili? Non proprio. Nel suo discorso, infatti, Scaroni ha completamente dimenticato due particolari decisivi. In primo luogo ha ignorato del tutto la lezione di Hubbert: anche il petrolio di serie B raggiungerà il suo picco. Scaroni ha affermato che ce ne sono riserve per altri cento anni, ma molto, molto prima si arriverà ad estrarne la metà, e da allora saremo daccapo: si comincerà di nuovo a scivolare lungo la curva, e a fare i conti con la produzione che rallenta e i prezzi che salgono.

In secondo luogo, Scaroni ha omesso di accennare all’altro grande difetto di questi rimpiazzi: olio non convenzionale, olio pesante e bitume naturale inquinano molto di più del petrolio convenzionale. In particolare, emettono quantità molto maggiori di quell’anidride carbonica che è la prima responsabile dell’aumento dell’effetto serra e dei conseguenti cambiamenti climatici.

Il fatto è che se il leader della prima azienda energetica italiana crede a una seconda era del petrolio, con tutti i danni ambientali che questa porterebbe, c’è da preoccuparsi seriamente, visto che finora, in Italia, la politica energetica l’hanno sempre fatta le lobby del fossile. L’attuale coalizione di governo, nel suo programma, s’è impegnata più seriamente del precedente gabinetto al rispetto del protocollo di Kyoto, che impone di far calare del 6,2% le emissioni di anidride carbonica registrate nel 1990 entro il periodo 2008-2012. Alle parole si aspetta ora che seguano i fatti, e che dunque Scaroni sia doverosamente ignorato.

E da noi in Trentino, che ruolo giocano Hubbert e Scaroni?

Anche la nostra Provincia, nel rispetto del Protocollo di Kyoto, deve ridurre le sue emissioni di anidride carbonica entro il periodo 2008-2012, per la precisione di 300.000 tonnellate rispetto al dato registrato nel 1990. La cosa non è semplice. Infatti, il petrolio coi suoi derivati copre esattamente il 50% del fabbisogno energetico trentino (che diventa il 78% se si conta anche il gas naturale, altra fonte fossile pur sempre inquinante, benché di meno, e soprattutto destinata anch’essa a toccare presto il suo picco di produzione: entro il 2020, dicono gli esperti).

Gran parte del petrolio consumato in Trentino, ovvero il 63%, è impiegato nel settore dei trasporti, dove il 98% dei veicoli è alimentato con carburanti derivati dall’oro nero, in particolare benzina e gasolio.

La dipendenza trentina dal petrolio è in crescita. I consumi petroliferi provinciali sono infatti aumentati del 10% tra il 1990 e il 2000, crescita interamente addebitabile al settore trasporti, dove l’aumento è stato del 22%. Il primo risultato di questa crescente dipendenza è stato un aumento, nello stesso lasso temporale, dell’8% delle emissioni nette di anidride carbonica. Il secondo risultato, questo ben più visibile agli occhi di tutti negli ultimi anni, è stato l’aumento dello smog urbano, nella fattispecie delle ormai famigerate polveri fini, la cui presenza nei nostri centri abitati è addebitabile per il 41% al traffico (dato relativo a Trento), in particolare a quello dei motori alimentati a gasolio.

Si può quindi dire che anche in Trentino, simbolo nazionale del rispetto per l’ambiente, sia Scaroni molto più di Hubbert a dettare le regole della partita energetica?

Le cose, per fortuna, non stanno del tutto così. Per risolvere il problema delle emissioni inquinanti derivanti dal traffico automobilistico qualcosa che vada al di là delle risposte estemporanee dettate dalle situazioni di emergenza si sta facendo.

Uno dei modi per ridurre la portata del problema è quello di favorire il passaggio delle alimentazioni del parco auto a combustibili meno inquinanti. A tal proposito, la Provincia, per la prima volta quest’anno, sta finanziando con 2.000.000 di euro la diffusione di veicoli a basso impatto ambientale: oltre che il passaggio ad alimentazione a metano o gpl per auto immatricolate da più di tre anni, viene finanziato anche l’acquisto di auto nuove alimentate a metano, gpl o elettriche, previa rottamazione di veicoli "euro 0" o "euro 1". Le domande finanziabili sono in tutto 2.010. Poche? Forse, ma al 26 settembre quelle inoltrate al Servizio Energia della Provincia sono solo 655.

Oltre ad usare veicoli meno inquinanti (e a tal proposito va detto che i finanziamenti andrebbero erogati tenendo conto anche della cilindrata e delle dimensioni dei veicoli, incentivando l’acquisto delle basse cilindrate e dei veicoli leggeri), si può lavorare anche sul modo in cui tali veicoli vengono usati. Una sola persona per auto è il deleterio modello dominante da abbandonare. E anche qui qualcosa si muove, visto che la Rete Trentina di Educazione Ambientale (dell’APPA) sta mettendo a punto in questi mesi un progetto "car pooling" per l’intero territorio provinciale. Il car pooling è una sorta di autostop organizzato: iscrivendosi al servizio, sarà possibile condividere con gli altri iscritti i tragitti comuni, dividendo le spese e riducendo le emissioni.

In ogni caso, la strada più intelligente da percorrere è senza dubbio quella che porta ad un progressivo abbandono dell’auto, specialmente in città. "Pochi giorni fa sono venuto a conoscenza di un dato straordinario relativo a Zurigo, dove il 42% delle famiglie che abita in centro non possiede l’automobile: è questa la direzione verso la quale anche Trento deve muoversi". A parlare è l’assessore alla Mobilità del capoluogo trentino Aldo Pompermaier. Lo scorso anno, con i suoi 80 sforamenti del limite giornaliero delle polveri sottili, Trento è stata la città trentina che ha maggiormente risentito del problema. Di recente, l’Unione Europea ha aumentato gli sforamenti annuali consentiti da 35 a 55. Senza contare che Trento, da quando si misurano le Pm10, sarebbe rimasta comunque sempre al di sopra anche del nuovo limite, il provvedimento non potrebbe avere un effetto-boomerang, alimentando il lassismo delle città?

"Non credo - ci dice Pompermaier - La lotta contro le polveri sottili non può ridursi d’intensità, al di là dei limiti di legge, che sono variabili perché variabile è la conoscenza scientifica di un problema ancora molto giovane".

Ma per seguire la scia di Zurigo, il Comune di Trento cosa sta facendo? Il trasporto pubblico e la rete ciclabile della città permettono davvero di chiedere ai cittadini di lasciare a casa l’auto?

"Sono in cantiere dei progetti di rinnovamento in entrambi i settori. Credo che quello nel quale siamo messi meglio sia il trasporto pubblico, che fa di Trento una delle migliori realtà italiane. L’entrata in vigore del Piano Urbano della Mobilità permetterà una ulteriore razionalizzazione del servizio e aumenterà la visibilità dei percorsi degli autobus. Sulla rete ciclabile, invece, c’è parecchio da lavorare, soprattutto per quanto riguarda il collegamento tra i tratti della rete e il miglioramento della ciclabilità interna della città. Nell’ambito del progetto Via Nova, già applicato con successo a Bolzano, verrà rafforzata la segnaletica delle ciclabili, che dovrebbe invogliare a un maggior uso della bicicletta".

Bene, però a questo punto ci sembra di intravedere una grande contraddizione. Qualcuno potrebbe pensare che quanto si sta facendo non basti, e probabilmente ci sarebbe in effetti da fare molto di più. Però è innegabile che quelle indicate siano azioni amministrative che spingono verso la giusta direzione per la soluzione del problema legato all’inquinamento da traffico automobilistico. Peccato però che queste azioni risultino spesso in netto contrasto con altre compiute dalle medesime amministrazioni.

L’esempio recente più eclatante viene dal piano dell’assessore provinciale Grisenti per la viabilità della Vallagarina, dove sembra che coleranno in futuro grandi quantità di asfalto, con tanto di apprezzamento da parte di tutte le amministrazioni comunali coinvolte dal progetto (vedi l’articolo di Ettore Paris nella rubrica "Quindici giorni" sul numero scorso di Qt). Ma la strategia dell’asfalto, da sempre prediletta a piazza Dante, certo non incentiva la riduzione dell’uso delle automobili, semmai il contrario. E non è una risposta convincente quella di chi fa notare che il piano di Grisenti sposterà il traffico fuori dai centri urbani: il punto non è spostare il traffico, ma ridurlo. Finché l’azione amministrativa rispetto alle questioni della mobilità sarà così schizofrenica, viene da pensare che incentivi al metano, car pooling e segnaletiche ciclabili rafforzate siano tutti palliativi destinati a svolgere solo il ruolo del classico scoglio che vuol fermare il mare. Un mare di asfalto.