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Telecom e la retorica del mercato

La vendita di Telecom e le reazioni del mercato.

Non sono un economista, e tanto meno un manager. Però la vicenda Telecom mi ha stuzzicato il cervello. Da quel che ho capito si tratta di un’azienda molto importante, per le sue rilevanti dimensioni e per il servizio irrinunciabile che rende alla collettività. E’ proprietaria della rete telefonica fissa che gestisce in regime di monopolio privato, ereditato dal monopolio pubblico dopo la sua dismissione. Opera in concorrenza con altre aziende nella telefonia mobile, i cellulari. E’ controllata da Marco Tronchetti Provera mediante un sistema di scatole cinesi che gli permette un dominio assoluto con un impegno finanziario personale minimo, addirittura minuscolo. Ha un giro di affari imponente, una disponibilità finanziaria enorme, pur essendo gravata da un debito cospicuo, ma non tale da mettere a rischio la sua solidità. Rende un servizio a dir poco prezioso, la comunicazione a distanza in tempo reale fra una moltitudine sterminata di utenti.

Una quantità smisurata di relazioni di affari, affettive familiari e di amici, di interesse pubblico e privato, è resa possibile dalla raffinata strumentazione da essa offerta. E’ insomma un’organizzazione di servizi tipicamente moderna, ad alta tecnologia, perfetta espressione della odierna civiltà dell’informazione e della comunicazione.

Tronchetti Provera, per un calcolo di suo profitto esclusivamente privato e personale, ha deciso di metterla in vendita. In un primo momento sono apparsi come propensi all’acquisto due colossi americani, uno degli Stati Uniti e l’altro messicano, interessato ad acquisire le partecipazioni di cui Telecom dispone in Sudamerica. Poi il primo si è ritirato, pare perché infastidito dalle polemiche che sono sorte circa la necessità di difendere l’italianità dell’azienda. Polemiche francamente per me incomprensibili, posto che si sviluppano tutte all’interno di una cultura basata sul presupposto della intoccabilità del mercato. Ora il mercato ha dimensione mondiale e non si vede come si possa interferire con il funzionamento delle sue leggi. Tanto più, per dirla con Mao, che non ha importanza se i gatti siano bianchi o neri, purché prendano i topi. Ciò che conta non è se Telecom sia italiana o americana, ma che renda un buon servizio agli utenti con una gestione corretta.

Ma, si dice, se è straniera può essere tentata di sacrificare gli interessi italiani cercando altrove maggiori profitti. Ma non è esattamente ciò che fanno anche imprenditori italianissimi quando delocalizzano le loro aziende in Cina, in India o nell’Europa dell’est? Se restiamo esclusivamente nella logica del mercato, non ha alcun senso appellarsi ad interessi nazionali per contrastare le sue dinamiche ormai transnazionali.

Il punto a me pare che sia un altro. E precisamente se si possano davvero sacrificare determinati interessi nazionali affidandosi ciecamente alla incontestabile sovranità del mercato. In altre parole, se sia razionale delegare all’iniziativa privata la gestione di aziende che operano in settori a prevalente interesse pubblico.

La cultura-istruzione, la salute-sanità, la sicurezza sociale-previdenza sono campi nei quali prevale il bene pubblico sul privato profitto. Trasporti, energia e telecomunicazioni sono altri comparti nei quali il pubblico è prevalente rispetto al privato. Mi rendo conto che, nel clima culturale dominante, ciò che dico può sembrare un’eresia. Ma non vedo perché si debba dimenticare che gli anni del miracolo economico italiano furono caratterizzati dalla spinta imposta alla nostra economia dal piano Sinigalia dell’acciaio e dall’ENI di Enrico Mattei, due aziende pubbliche.

D’accordo, poi ci sono state le degenerazioni e l’Iri si è messa a produrre panettoni, ed ancora oggi abbiamo l’Alitalia. Ma i privati, quanto a degenerazioni, non sono da meno: Parmalat, Cirio e bond argentini, tanto per ricordare gli ultimi, ne sono prove eloquenti. La stessa Fiat presenta fasi alterne, con luci ed ombre. E viceversa ancora oggi Enel ed Eni sono esempi di buona gestione pubblica. Dunque non è il pubblico o il privato il criterio discriminante, posto che sia nel pubblico che nel privato ci sono il buono ed il cattivo in eguale misura. E’ davvero così scandaloso concepire la possibilità che Telecom possa essere consegnata ad una corretta gestione a partecipazione pubblica?

E’ stato detto che il capitalismo italiano è un capitalismo straccione: c’è del vero in questo giudizio, ma non è tutto vero. Stracciona secondo me è la cultura dominante, quella economica come quella politica, perché non ha la dignità di affrontare i grandi problemi della nostra convivenza libera da pregiudizi e luoghi comuni paralizzanti.