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Orchestra Haydn

Il pubblico a primavera

Qualche tempo fa un amico mi faceva notare quante belle ragazze ci sono tra il pubblico ai concerti jazz rispetto a quello delle stagioni delle varie Filarmoniche, Teatro Sociale e Orchestra Haydn: d’accordo, il pubblico dei concerti classici è sicuramente diverso, soprattutto per età, ma questo di per sé non determina la superiorità e il valore dell’uno o dell’altro.

Auditorium S. Chiara, cartellone dell’orchestra Haydn con Alfonso Alberti solista al pianoforte. Solitamente riesco ad estraniarmi dal contesto che mi circonda quando assisto ad un evento artistico, soprattutto se non è ottimale (a meno che, chiaramente, il contesto non sia parte dell’evento stesso). In questa occasione però mi è risultato veramente difficile; cosa particolarmente fastidiosa, visto che il programma era molto interessante.

L’ Idillio di Sigfrido è una delle poche opere che Wagner ha composto per orchestra sola: l’atmosfera è quella sospesa, quasi magica, del momento in cui Sigfrido, nella tetralogia dell’Anello dei Nibelunghi cui l’Idillio richiama, si concede al silenzio e alla pace della Natura. Quale preludio migliore all’ascolto del Concerto per pianoforte ed orchestra di Ligeti? L’orchestra ci pare forse un po’ impacciata, in un repertorio di difficile esecuzione non tanto tecnica, quanto d’insieme. Alberti è però interprete sapiente ed elegante, pienamente padrone del linguaggio del compositore, dove la struttura del brano è una immobile, e al tempo stesso cangiante e continua, genesi di timbri sonori, poliritmie e frammenti melodici. L’attenzione dell’ascoltatore, dopo la beatitudine dell’Idillio, è catturata da questa poliedricità di stimoli sonori in un discorso frammentato e carico di tensione che pare non risolvere mai. Sarà per questa sovraeccitazione uditiva (e dico io, anche psichica) che dopo l’applauso al solista, proprio nell’attimo di silenzio che precede l’inizio del bis, uno spettatore inveisce infastidito ad alta voce contro il cameramen che ha avuto la malaugurata idea di piazzarsi a riprendere il concerto proprio nella sua traiettoria di visuale. Si perde così il clima di misteriosa ansia delle prime note del secondo brano della Musica Ricercata di Ligeti (la ricordate certamente, quella della passeggiata notturna di Tom Cruise inseguito da uno sconosciuto in “Eyes Wide Shut”). Forse tutte queste atmosfere inquiete in primavera non fanno bene. Gli animi si agitano troppo. Tanto che il signore nella fila davanti a me, mentre applaudiamo al termine del brano, si gira e riprende quasi irato la mia vicina per il volume troppo alto del suo battito di mani. Bah... per fortuna c’è l’intervallo; ci vuole una boccata d’aria.

Al ritorno c’è la terza Sinfonia di Schumann: si sente che il pubblico si è rasserenato e si gode la placida maestosità dell’orchestra, a tal punto che l’altro mio vicino si canticchia soddisfatto e neanche troppo sottovoce tutto il terzo tempo. Tossicchio un po’, ma a nulla serve: quando si dice “cantabile”...

Oibò: mi sto accorgendo che quella che doveva essere la recensione di un concerto rischia di diventare la recensione di chi dalla platea vi ha assistito; lungi da me. Più che mai in questo periodo, la musica (tutta la musica) ha bisogno di chi la ascolta e di diventare parte del patrimonio culturale della collettività. E allora ben venga il pubblico, qualsiasi pubblico. Ma il punto è proprio questo: spesso accade che gli spettatori si dividano tra, appunto, professionisti o grandissimi cultori di musica e quelli che vanno ai concerti semplicemente come ad una qualsiasi altro evento mondano o un obbligo di cittadinanza. Non prendiamocela però con loro: sono il risultato di una cultura che considera ancora il concerto - o meglio, la musica (in questo caso classica) - principalmente come evento nobile-borghese o per addetti ai lavori. Essa è invece una delle “necessità biologiche dell’uomo” (vedi Monitor di QT di marzo) e pertanto tutti vi vanno educati e formati: ma certo l’educazione musicale in Italia al di fuori dei conservatori non è mai stato il fiore all’occhiello della scuola pubblica. Credo che questo sia invece il primo passo per avere un pubblico che ai concerti si dedichi davvero ad ascoltare la musica e non a vedere lo spettacolo del solista che suona o misurare i decibel del battito di mani del vicino.