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QT n. 6, 21 marzo 2008 L’intervista

Roberto, vita da sieropositivo

"Bisogna saper spostare la notte sempre un po’ più in là".

“Con l’Aids non esiste nessuna possibilità di tornare in-dietro. Con l’Aids bisogna convivere…si tratta di chiudere man mano i fori che si aprono nella diga”. Così scriveva Enzo Biagi, agli inizi degli anni Ottanta, in un suo interessante libro-inchiesta sul male del secolo.

I vissuti per chi oggi incappa in questo malanno, non sono molto diversi dal passato. Quel virus rimane un’ombra che non si può spazzare via. Una macchia che mette i laccioli ai progetti di vita. Perché ti porta a fare i conti con un corpo diverso, impotente e fragile.

Per conoscere meglio quest’aspetto abbiamo raccolto la testimonianza di una persona sieropositiva. Roberto, lo chiameremo così, è un impiegato quarantenne ed ha un cuore che batte per lo stesso sesso. A 26 anni ha scoperto che nel suo corpo abitava il virus Hiv.

"Vuoi sapere come sono finito in questo guaio? - sbotta senza giri di parole - Ho avuto una storia con un compagno e mi sono incautamente fidato. Diciamo che sono stato ‘leggero’ e non ho preso precauzioni. Forse anche lui non lo sapeva".

A Roberto la notizia è piombata addosso come un fulmine a cielo sereno, mettendo a soqquadro la sua vita. "A vent’anni non pensi mai alla morte o alla malattia. La mia angoscia era devastante. Mi sentivo segnato. A quel tempo l’unico farmaco per curarsi, molto tossico, era l’Azt, ma ti proteggeva poco e l’esito di solito era ugualmente fatale.

Ci sono persone che di fronte a questa diagnosi reagiscono rimuovendo tutto, oppure si trovano in preda alla rabbia. Io ho subito deciso che se questo virus era arrivato a me, lì si sarebbe fermato. Non l’avrei trasmesso a nessuno".

Procede lucido nel suo racconto, Roberto, mettendo in ordine ogni tassello della sua storia. Scandisce ogni parola in tono pacato e quello che si percepisce è un grande equilibrio interiore. Parla con serenità della sua malattia. E ci scatta una chiara fotografia del suo stato di salute: "Adesso io sono in fase di Aids conclamata, nel senso che ho sviluppato una serie d’acciacchi tipici di questa sindrome. Ho avuto, per dire, un linfoma. Dopo un lungo ricovero sono riuscito a sconfiggerlo. Ingoio da anni farmaci ogni giorno, per fortuna senza particolari effetti collaterali. Però sono in grado di riconoscerli in altri malati. Molti subiscono vere e proprie deformazioni fisiche a causa della lipodistrofia: il viso si scava, le gambe si assottigliano, ad alcuni cresce la gobba di bufalo sul collo... uno stigma davvero pesante".

Roberto su quel virus si è arrovellato molto. Dichiarare guerra a quell’inquilino scomodo sarebbe stata una battaglia persa. Così, pian piano, ha accettato l’intruso.

Qualcuno ha contribuito a questa scelta: "Avevo iniziato un percorso d’analisi con una psicoterapeuta prima della diagnosi. Ciò mi ha aiutato parecchio. Se ti senti più forte e sicuro spaventi meno gli altri. Noi sieropositivi dobbiamo essere attori del cambiamento sociale, uscendo dai nascondigli. Infatti, ho trovato il coraggio di dirlo ai miei genitori e fratelli. Loro hanno reagito con preoccupazione. Per molto tempo, nella mia famiglia, questo è stato un argomento tabù. Per me era stato già difficile dichiararmi gay, figurarsi dire che ero anche sieropositivo. Poi l’ho detto ad alcuni amici. Insomma, per me non è più un problema dirlo. Conosco molti, invece, che l’hanno svelato solo nei gruppi di mutuo aiuto e vivono in una solitudine a dir poco devastante".

Non nega qualche esperienza dolorosa, Roberto. Qualche volta gli è successo che il marchio Hiv gli pesasse come un macigno. Che fosse un fardello difficile da sopportare. Ma non ha mai gettato la spugna, ad ogni caduta si è subito rialzato.

"Può capitare che una persona che hai conosciuto e che ti piace, di fronte alla notizia, ti dica che non se la sente di affrontare una storia. Per fortuna, il mio compagno, col quale convivo dal ‘94, non mi ha identificato con il virus ed ha colto quello che c’era di buono in me.

Oppure può capitare di essere discriminati sul luogo di lavoro, perché circola molta ignoranza e dirlo è veramente difficile. Anche trovare un dentista può essere un problema. Alcuni tremano all’idea di curarti.

A proposito di discriminazioni: lo sapevate che un sieropositivo non può mettere piede negli Stati Uniti? Quando arrivi all’aeroporto ti fanno compilare un modulo in cui dichiari se sei portatore di malattie infettive. Certo, puoi dichiarare il falso, ma se ti trovano con i farmaci retrovirali nella valigia potrebbero rispedirti indietro".

Nel raccontare le turbolenze della vita, Roberto non mette freno alla sua incontenibile voglia di vivere. Ha un sacco di cose in testa da realizzare. Sprizza un grande ottimismo. A volte si sente come un sopravvissuto, un uomo baciato dalla fortuna: "Ho festeggiato i miei primi quarant’anni con una gran festa. Ero euforico. Perbacco, con quella diagnosi infausta non avrei mai immaginato di vivere così a lungo".

C’è una frase, rubata ad un libro, che lui non scorda mai: "Bisogna saper spostare la notte sempre un po’ più in là".