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La resistibile ascesa di Arturo Ui

Castigat ridendo...

Con tutto rispetto per il teatro e la storia, sapere di dover assistere ad uno spettacolo teatrale di Brecht sull’ascesa di Hitler può far pensare anche allo spettatore più coscienzioso che la serata sarà impegnativa sia per lo stile del commediografo tedesco sia per il tema trattato. Quando poi si arriva a teatro e si scopre che il tutto durerà due ore e mezza, il malumore inizia a farsi sentire. Ma già dopo i primi minuti, anche i meno esperti si rendono conto che “La resistibile ascesa di Arturo Ui” ha qualcosa di diverso ed intrigante e che la scelta registica di Claudio Longhi possiede delle caratteristiche originali. Il testo, scritto da Brecht durante il periodo dell’esilio in Finlandia, dalla prima del 10 novembre 1958 è stato portato in scena sia tentando di valorizzare il lato comico, sia puntando sull’aspetto drammatico, arrivando persino ad essere riadattato nel 2008 per denunciare gli illeciti del governo Berlusconi. Longhi, fedele all’idea brechtiana che la commedia rende meglio la sofferenza dell’umanità (perché la descrive ma non la mitizza), sceglie di raccontare l’ascesa di Hitler puntando tutto sull’ironia e sulle canzoni.

La scenografia è mutevole ed è costituita da semplici cassette di plastica bianche che gli attori continuano a spostare, dando l’impressione che i fatti rappresentati possano davvero essere ambientati in qualunque periodo ed in ogni luogo del mondo. Ma sebbene sul palcoscenico si profilino tutti gli elementi per comporre il più classico dei musical di successo, in questa versione de “La resistibile ascesa di Arturo Ui” la volontà didattica supera quella puramente dilettevole del teatro. Infatti, nel rispetto del testo, gli attori avvisano il pubblico del gioco che hanno intenzione di creare esplicitando come riproposta la storia: Chicago in realtà è Berlino, Cicero è l’Austria e tutta l’ascesa hitleriana verrà mascherata con la lotta tra gangster per il controllo delle vendite del cavolfiore. Tutti i nomi di fantasia degli attori vengono legati al personaggio storico che rappresentano grazie a dei cartelli; agli spettatori, all’ingresso in sala, viene persino consegnato un foglio con la corrispondenza tra le scene rappresentate ed i fatti realmente accaduti cui si riferiscono. Il pubblico di Longhi diventa così consapevole e partecipe di ciò che viene rappresentato e coinvolto anche fisicamente grazie alle continue interazioni che gli attori creano con la platea, che diventa una continuazione dello spazio scenico. Ma ciò che più affascina non sono tanto le magistrali performance canore di Luca Micheletti nella parte di Givola (Goebbels) e di Lino Guanciale in quella di Ernesto Roma (il luogotenente Röhm) o il sottile paragone tra la Germania e gli Stati Uniti, ma la consapevolezza che Hitler poteva essere fermato e che la sua ascesa è tutto merito della debolezza della folla. Al termine, le remore iniziali dello spettatore sono sparite, ma all’uscita non si riesce comunque a sorridere: rimane un fastidioso sospetto rafforzato dal dito degli interpreti puntato contro la folla: che cosa posso fare io perché tutto questo non accada più?

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