Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

La primavera araba e le occasioni perdute dall’Europa

Gli equilibri futuri nell’area del mediterraneo, tra Stati Uniti e Turchia.

Tayyip Erdogan

In questo scorcio di fine 2012 appare abbastanza chiaro che le rivoluzioni democratiche innescate dalla Primavera Araba si stanno consolidando e stabilizzando sulla riva meridionale del Mediterraneo, mentre sulla riva orientale il quadro permane tuttora incerto, benché si intuisca si dovrà infine trovare una qualche forma di compromesso tra il regime barcollante degli Assad e i rivoltosi che non sacrifichi però gli interessi strategici della Russia. In questa situazione colpisce il protagonismo della vecchia “potenza coloniale”, quella Turchia che nell’epoca ottomana aveva dominato tutta l’area araba e oggi si ripropone con un disegno neo-ottomano, certamente più soft ma anche più ambizioso. Delegazioni di industriali turchi battono a tappeto non solo il Nord Africa ma anche l’Africa sub-sahariana, in diretta concorrenza con i cinesi e gli europei. L’Europa, che sin dal tempo di Sarkozy aveva lanciato un lungimirante progetto di cooperazione economica UE- paesi arabi, stenta a perseguire una politica incisiva nell’area. Piuttosto, sono singoli governi a portare avanti disegni più limitati di collaborazione (si pensi alla Francia con il Maghreb o all’Italia con la Libia di Gheddafi). Il progetto di Sarkozy non decollò, si dice, per un veto della Germania che dal tempo di Brandt in poi guarda a Est e al mondo slavo come al principale asse di sviluppo della UE, in un’ottica che certamente privilegia gli interessi di lungo periodo dell’industria tedesca.

In questo perdurante vuoto d’iniziativa europea si sono inseriti gli Stati Uniti con il progetto economico-strategico “Grande Medio Oriente”, lanciato ancora all’epoca di Bush figlio, che prevede in sostanza un Medio Oriente progressivamente democratizzato e omologato a suon di dollari, da allargare almeno sino all’Iran (un Iran, ben inteso, da “normalizzare”) e da inserire stabilmente nel sistema “imperiale” di interessi americani. Questo progetto ha il suo alleato naturale nell’Arabia Saudita (in funzione anti-sciita e anti-Iran); ha inoltre un alleato-concorrente (la Turchia di Erdogan) e un alleato riluttante (Israele). La Turchia, come s’è detto, forte di un tasso di sviluppo che non ha eguali nella vecchia Europa, persegue ormai un suo disegno autonomo di riconquista di egemonia politica e economica nell’area mediterranea, dove comunque - in quanto bastione orientale della NATO - saprà trovare un buon compromesso con gli interessi americani. Israele guarda invece con il fumo negli occhi al progetto americano che di recente ha portato l’America di Obama a stringere rapporti cordiali con tutti i partiti islamisti moderati giunti al potere, da quello turco di Erdogan ai Fratelli Musulmani del presidente egiziano Morsi. Obama, sotto questo aspetto, ha dato continuità e persino nuovo vigore al progetto di Grande Medio Oriente di Bush, firmando in bianco attestati di democraticità e di affidabilità ai nuovi regimi islamici moderati affermatisi nel Mediterraneo. In questo nuovo quadro Israele paventa un declassamento ineluttabile della sua posizione nel quadro delle alleanze USA: quanto ancora - ci si chiede - gli americani considereranno Israele il loro principale alleato in Medio Oriente, se ciò dovesse andare a discapito della piena attuazione del progetto di omologazione del mondo arabo-musulmano? Accanto a una lobby ebraica, in America sta prendendo quota una “lobby filo-araba” che ha naturalmente in Obama il suo punto di riferimento e punta alla sua rielezione.

L’Europa, in questa situazione in rapido mutamento, è rimasta ferma: rischiamo di perdere definitivamente il treno a vantaggio degli USA e della Turchia, che non a caso ci snobbano. Obama e Romney manifestano un palese disinteresse per l’Europa; quanto alla Turchia, è noto che di fronte alle esitazioni europee non pensa ormai più a reiterare la domanda di adesione alla UE. Semplicemente essa ha scoperto che può fare da sola e persino meglio. Altra grande occasione mancata: una Turchia nella UE avrebbe significato potere allargare la sfera di influenza europea sino al cuore del Medio Oriente, e ci avrebbe dato la carta decisiva per giocare da protagonisti nell’intera zona. L’Europa è dunque fuori dai giochi? Forse. Ma c’è l’incognita delle elezioni americane e soprattutto di Israele che, se mai attaccasse l’Iran scatenando reazioni imprevedibili, potrebbe mandare all’aria il progetto americano di Grande Medio Oriente e scardinare le basi di ogni previsione sul futuro prossimo delle nostre relazioni con il Mediterraneo arabo-musulmano.