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Coop: il cambiamento può attendere

Per il dopo Schelfi vince Fracalossi, il candidato della nomenklatura. Ma questa volta una visione alternativa finalmente c’è.

Giorgio Fracalossi

Molti chiedono di cambiare, una discontinuità della classe dirigente; se pensate questo, io non sono la persona adatta come vostro presidente”. Con queste parole, franche, dirette, solo lievemente diplomatizzate dalla frase successiva (“Se invece per cambiamento si intende cambiare idee, metodi, però mantenendo continuità con il passato, allora io ci sono”) Giorgio Fracalossi, presidente della Cassa Rurale di Trento e soprattutto della Cassa Centrale, nonché vicepresidente uscente della Federazione Cooperative, presentava la propria candidatura al vertice del movimento trentino. Di fronte alle tante critiche, alle difficoltà, ai troppi casi dolenti aperti, Fracalossi orgogliosamente rivendicava i risultati raggiunti (“Noi nella crisi abbiamo resistito. Nel nostro sistema fatturato e patrimonio sono cresciuti e l’occupazione ha tenuto”) e soprattutto assicurava la continuità del ceto dirigente.

Quest’ultimo era il punto, la nomenklatura cooperativa: un gruppo di persone chiuso in se stesso, incapace di rinnovare non solo il movimento, ma neanche se stesso, che tre anni prima, per non cambiare nulla, aveva affidato un inusitato quarto mandato all’immobile Diego Schelfi, e che in questa occasione aveva candidato il presidente dell’annaspante Sait, Renato Dalpalù, travolto però dal crack della Btd di cui era a capo; a riprova dell’ incapacità del ceto dirigente, o più probabilmente la sua serena indifferenza verso le qualità delle persone e i loro risultati.

Geremia Gios

Ed ora il ceto degli inamovibili, alle corde per la topica su Dalpalù, si era stretto attorno a Fracalossi. E attorno al presidente del credito si era ricompattato, e poteva con una certa serenità affrontare lo sfidante Geremia Gios, docente universitario e direttore del Dipartimento di Economia.

Nella sala di via Segantini il dibattito era vivace, anche se pur sempre diplomatizzato. E così ci toccava assistere a tutta una serie di stucchevoli ringraziamenti “a Diego” (Schelfi): “Grazie Diego per tutto quello che hai fatto”. “Grazie per la tua disponibilità”. “Se la credibilità delle cooperative in questi anni è aumentata, è grazie a te”... Al di là di ogni logica, misura, vergogna.

In realtà il quarto mandato di Schelfi è risultato una burletta: già la pantomina della modifica statutaria che l’aveva preceduto (“ma non sarò certo io ad utilizzarla!” - figuriamoci!) aveva precipitato il presidente e di conseguenza il movimento nel ridicolo; ma poi l’incapacità, e in definitiva la non volontà di affrontare una serie di nodi sempre più stringenti, hanno impedito qualsiasi aggiornamento a un movimento vasto, articolato, e quindi bisognoso di adeguarsi ai cambiamenti sociali ed economici del ventunesimo secolo.

Ne citiamo alcuni, per sommi titoli: le polarità soci\manager; coop di primo grado\consorzi; cooperative\spa partecipate e controllate; tra le cooperative, essere concorrenti oppure far parte di un sistema; per la produzione soprattutto agricola, qualità o quantità. Tutti temi di grande momento, mai sfiorati.

In compenso il Diego nei rapporti con gli altri poteri e con la politica toccava il fondo: nel servizio sulla LaVis spieghiamo la devastante subalternità ad una campagna subdolamente diffamatoria, attiva a livello politico e mediatico, che ha dipinto i massimi vertici cooperativi come un gruppo di malfattori che, attraverso revisioni ostili e strangolamenti creditizi, affossavano un’azienda in temporanea (!) difficoltà - LaVis, appunto - per farla assorbire dalle concorrenti, Cavit e Mezzacorona. Plasticamente, al tavolo dell’assemblea di via Segantini sedevano tre degli artefici di questa congiura: Schelfi, Fracalossi e il presidente di Mezzacorona Rigotti, mentre il quarto, il revisore Cozzio, era in sala.

Insomma, l’immobilismo di Schelfi (e nel caso LaVis, la sua subalternità alle convenienze della finanziaria Isa) sono state deleterie, hanno portato al movimento un discredito diffuso e in questo caso assolutamente immeritato. “Grazie Diego”.

Diego Schelfi

Ma al di là delle ipocrite diplomazie cooperative (nei corridoi si chiosava: “Grazie Diego, perché finalmente te ne vai”), la consapevolezza della necessità della fine di un periodo era palpabile. In fondo anche le caratteristiche del candidato della nomenklatura, Fracalossi, sono per certi versi antitetiche rispetto a Schelfi. Diretto, chiaro fino alla brutalità, non facilmente impressionabile. Sulla crisi della LaVis aveva tenuto la barra dritta, anche troppo: ai contadini e dipendenti della coop, che sobillati da Zanoni e supportati dalla stampa andavano a pretendere altri soldi alla Rurale di Trento e alla Federazione, aveva risposto a muso duro: “Io parlo con il cda, non con i soci”. Risposta impeccabile nel merito, ma un metodo più da Marchionne che da dirigente cooperativo.

In effetti il confronto con Gios era illuminante. Su tutta una serie di temi basilari, i due candidati sono su posizioni opposte. Tutti e due sostengono la sussidiarietà, ma in termini diametralmente opposti. Per Gios la cooperazione può e deve essere centrale nella società, in quanto scuola di socialità e gestione del bene comune: per cui “tutto quello che è possibile va gestito dal primo grado” e tolto ai consorzi; per Fracalossi, invece, per ragioni di efficienza di impresa, “tutto quello che è possibile va gestito dal livello superiore”.

Per Gios questo è “il momento dell’alternativa”, per Fracalossi quello “della stabilità”.

Un’opposizione finalmnte rappresentativa

Su queste discriminanti si giunge al voto. E ancora, come sempre, vince il candidato dell’establishment. Ma, per la prima volta, l’opposizione non è una mera testimonianza, etichettabile come “dissidenti” o peggio “malpancisti”, ma raggiunge il 40% dei voti. Che se vigesse il principio “una testa un voto”, assurdamente assente nella cooperazione trentina che privilegia - a differenza per esempio di Confindustria - le realtà più grandi, sarebbe un 44%; e che diventrebbe addirittura la maggioranza se votassero solo le cooperative di primo grado e non anche i consorzi e le società di sistema.

Insomma, Gios e i suoi “impegnati”, a cominciare da Marina Mattarei e Sandro Pancher, risultano come una forza vera, rappresentativa, non liquidabile con un sorrisetto e una scrollata di spalle.

Gios chiede poi che nell’assegnazione delle vicepresidenze e dei posti nel Comitato esecutivo si tenga conto dei risultati elettorali, in particolare dei voti raccolti dagli “impegnati” Cesare Cattani e Bruno Lutterotti, primi rispettivamente nel settore credito e nel consumo. La nomenklatura tira diritto: tutti i posti vanno rigorosamente agli ortodossi.

Era previsto - commenta Gios (Fracalossi non siamo riusciti a intervistarlo, e non è un bel segnale) - Il nuovo presidente ha fatto questa scelta e procede con la sua coerenza. D’altronde, di fronte a un bivio, operare cambiamenti nel profondo o rimanere sulla continuità, l’assemblea, pur con tutti i limiti del metodo di votazione, ha fatto la sua scelta. Che questo sia il modo migliore per rispondere a un mondo che cambia, è un’altra cosa, ma di questo riparleremo. Noi non smobilitiamo”.