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QT n. 9, settembre 2015 Servizi

Remoti ma non isolati

Come coniugare una vita tranquilla in un ambiente suggestivo con la necessità di poter usufruire dei servizi indispensabili

“Ne ho le scatole piene di stare in una stanza con i computer che scaldano e fanno rumore” - mi disse anni e anni fa un compagno di università. “Il mio sogno è di starmene su nelle mie montagne di Asiago, piazzarmi col portatile in mezzo a un prato sotto un albero e lavorare da lì”.

Dopo quel giorno ho sentito diverse volte qualcuno che esprimeva questo strano desiderio, accoppiando l’idea di vivere in un posto lontano dalla città, apparentemente separato dall’interesse per il mondo, al più stretto contatto con la tecnologia e soprattutto mantenendo internet a portata di mano.

Scelta apparentemente romantica e bohémienne? Forse, ma potenzialmente anche molto razionale. La crescita delle zone urbane, frettolosa e spesso mal pianificata, ha portato milioni di persone ad ammassarsi in spazi ristretti, sgomitando per l’accesso agli spazi, alle risorse ed ai servizi mentre ha spopolato intere porzioni di territorio marginali. Una volta questo era indispensabile per avvicinarsi al lavoro, ma ora che l’economia ha spostato l’asse dai lavori fisici e di manifattura ai servizi, con una grande importanza dei servizi immateriali, la necessità diminuisce. È chiaro che vivere in città permette di frequentare un maggior numero di persone, accedere ad opportunità culturali e di svago più ampie, raggiungere più facilmente le reti di trasporto (ferrovie, aeroporti); ma chi conduce una vita di routine, curando una famiglia o semplicemente dedicandosi ai propri interessi, può fare benissimo a meno di questo per la maggior parte del tempo. La condizione indispensabile è di essere connessi, inteso come l’opposto di isolati: deve esserci una buona connessione ad internet per raggiungere istantaneamente le informazioni ed i servizi immateriali di cui si ha bisogno nella maggior parte dei casi. Banca, e-commerce, comunicazioni di lavoro, svaghi.

Cosa questo significhi per il futuro della provincia di Trento penso che sia evidente. Parliamo di un territorio di rara bellezza naturalistica, adorato dai propri abitanti e dai visitatori ma soggetto ad un progressivo abbandono per via della mancanza di opportunità, anche se politiche di investimento intensivo sulle zone di valle hanno evitato lo spopolamento che ha colpito le aree montane del resto d’Italia.

Presto non si potrà più contare sui soldi a pioggia per funivie, opere pubbliche, campagne: cosa può mantenere vivi questi territori? Cosa può convincere le persone ad abitare in paesi di montagna che poco hanno da offrire, a parte la cooperativa, il coro e una vista sulle Dolomiti?

Le scelte sembrano essere due: spingere su uno sviluppo intensivo da dopoguerra, tracciando nuove piste da sci, costruendo alberghi e portando le motoslitte sui ghiacciai; oppure trovare un equilibrio tra le possibilità e le persone. Questo può significare, tra l’altro, attirare nuove persone interessate a qualcosa a cui gli abitanti originari non danno più valore.

In un convegno svolto nel 2014 ad Ollomont, dal titolo “Abitare le Alpi del XXI secolo-Nuovi scenari per il territorio montano” si è parlato della nuova tendenza di ripopolamento delle zone di montagna, esaminando una serie di casi significativi e riconoscendo tra i fattori comuni che hanno influenzato positivamente il fenomeno “l’accessibilità, intesa sia in riferimento alle infrastrutture di trasporto che a quelle tecnologiche che favoriscono il telelavoro e la cyberimpresa”. Detto con le parole più dirette di Bruno Giordano, sindaco di Aosta, “Dobbiamo portare più tecnologia, più innovazione nei paesi di montagna perché, alla faccia dei gufi che vogliono la morte delle località in quota, villaggi e comuni sopra i 1.500 metri si stanno ripopolando”.

Sfortunatamente, non sembra che il Trentino voglia ispirarsi a questo modello. Diversamente dalla val d’Aosta, e diversamente dall’Alto Adige che sta rilanciando i propri progetti di rete in fibra ottica, i piani di sviluppo dell’infrastruttura di comunicazione sono stati fortemente ridimensionati a favore della Valdastico e di altri orizzonti più tradizionali. Ci sembra evidente che si tratta di una scelta miope.

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Un ringraziamento a Maurizio Napolitano per gli spunti alla base di questo articolo.