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QT n. 9, settembre 2015 Servizi

Biciclette in montagna

Escursionisti e ciclisti: due modi di affrontare la montagna che stanno entrando in conflitto

Le biciclette, siano esse da passeggio o mountain bike, rappresentano una nicchia sempre più solida del turismo estivo, anche in montagna. E specialmente nelle Dolomiti, grazie al giro del Sella, alle imprese dei grandi campioni del ciclismo sui passi dolomitici, grazie alle piste ciclabili sempre più complete presenti nelle due provincie di Trento e Bolzano. Anche nella conca del Garda non si scherza: lungo il lago, sulla Ponale o verso l’Altissimo ed il Baldo le biciclette le troviamo ormai ovunque. Centinaia di ciclisti giornalmente frequentano i sentieri attorno alle Tre Cime di Lavaredo in pieno parco naturale dove la Provincia di Bolzano ed il comune di Sesto le hanno favorite costruendovi un percorso fortemente impattante. Sotto il Sassolungo, ancora in area protetta (zona SIC), altre centinaia di ciclisti salgono fino ai ghiaioni portando la bicicletta in spalla per poi scendere all’impazzata, filmandosi a vicenda e bestemmiando contro i pedoni escursionisti che proprio non si vogliono spostare. Anche perché appena a lato del sentiero, il più delle volte, c’è il vuoto, o comunque un pericolo.

Li troviamo sulle ciclabili, affrontate a piena velocità, incuranti dei pedoni, delle famiglie che passeggiano, delle madri con le carrozzine. I bikers non possono perdere ritmo, velocità: devono tenere sotto controllo i battiti cardiaci, il cronometro, le velocità di punta e le medie, perché, non appena a casa, trasporteranno tutto su computer e studieranno nei particolari le loro performance. Perché il giorno dopo porteranno i ufficio dati e filmati, senza però chiarire che in una normale competizione di massa nemmeno arriverebbero nei primi mille classificati. L’importante, sui sentieri di montagna, nei ghiaioni, nei boschi e in velocità, è stupire, e specialmente apparire.

Nel versante opposto rimangono i camminatori, gli escursionisti dei boschi e dei sentieri CAI, quanti con serenità affrontano salite e discese senza affanno ponendosi obiettivi minimi: due ore di tranquillità, il respirare aria pulita, raggiungere delle cime per riempire il loro cuore di paesaggio, di intimità, per fare il pieno di silenzi o per condividere in questo modo, assieme a degli amici, un pranzo o una cena in un rifugio. Questi, durante molti fine settimana estivi, si organizzano anche con le sezioni del CAI o della SAT e periodicamente, armati di piccone, badile e rastrello, percorrono i loro amati sentieri o vie attrezzate sistemando quanto gli inverni e i temporali rovinano: si drenano le acque, si marca la segnaletica, si cerca sempre, anche visivamente, di risultare meno invadenti possibile.

Questi due modi di affrontare la montagna oggi sono entrati in conflitto. Chi lavora nel bene pubblico, nel creare offerta turistica di qualità, non accetta che in pochi minuti il suo impegno venga vanificato. Che il suo lavoro venga poi utilizzato da chi spreca emozioni in pochi minuti con discese vertiginose, lasciando sentieri corrosi, incisi, permettendo poi ai temprali di accentuare queste erosioni. Non accettano di venire offesi da chi pretende strada solo perché più veloce, non accettano la maleducazione sempre più diffusa, imposta da chi guida il mezzo meccanico. Questi ciclisti hanno ormai invaso ogni spazio dentro i paesi, si gettano sui marciapiedi, fanno slalom fra i pedoni, anche perché le nostre città non sono ancora munite di ciclabili serie, che permettano convivenza, sicurezza e rispetto delle regole fra pedoni e bici. E perché in Italia, sia nei boschi come in città, sono pochi gli agenti che cercano di far rispettare le regole.

Certo è che il ciclismo, di qualunque tipo sia, oggi vanta un grande mercato, in continua espansione. E vanta una presenza turistica non più trascurabile, non solo lungo il lago di Garda, ma in tutte le località appena attrezzate. Non è un caso che alcune valli si siano dotate di trasporto pubblico anche per le biciclette, che i treni della val Venosta e della Pusteria debbano aumentare gli spazi destinati ai bikers, che gli alberghi si stiano dotando di un loro trasporto privato per ciclisti e mountain bike e assumano istruttori idonei a questa attività.

L’assessore Michele Dallapiccola

La Provincia di Trento, con l’assessore al turismo Michele Dallapiccola (su Facebook sempre più spesso definito “assessore problematico”), si è schierata dalla parte dei bikers. Con un colpo di spugna ha cancellato la legge che poneva dei limiti alla frequentazione delle biciclette sui sentieri (pendenze e larghezza) e ha liberalizzato il transito su tutti i sentieri che al loro inizio non presentino uno specifico divieto. Si tratta di una rete che fra sentieri SAT e forestali supera di gran lunga i 6.000 chilometri, probabilmente ci si avvicina ai 10.000. Le aziende di soggiorno con urgenza decideranno i percorsi idonei alle biciclette, senza minimamente coinvolgere a livello locale né SAT né ambientalisti, anzi, nelle valli strategiche hanno già deciso, coinvolgendo solamente gli operatori turistici, i soliti, albergatori e impiantisti. Perfino gare storiche, che per oltre un ventennio hanno usufruito della imponente rete di strade forestali, hanno imposto modifiche di tracciati portando i bikers nel cuore dei boschi, in aree frequentate da galli cedroni e altra fauna selvatica pregiata (Fassa Bike). Il conflitto lo si è visto esplodere sulla stampa grazie alla sensibilità della SAT di Arco, una sezione che ha avuto il coraggio di difendere l’escursionista tradizionale e il lavoro dei suoi soci, una SAT locale comunque lasciata alquanto sola e pesantemente offesa non solo dall’assessore, ma anche dai dirigenti della federazione ciclistica. Ma i conflitti sono orami diffusi, sugli altopiani di Folgaria come nelle valli di Fiemme e Fassa. La decisione della Provincia alimenterà anche altri scontri, anche nei tribunali, quelli che nasceranno dalle responsabilità sulla manutenzione dei percorsi. In caso di incidente (e ogni anno sono molti, anche gravi) chi si assume la responsabilità sulla sicurezza?

Se le varie sezioni SAT rifiuteranno, come sarà ovvio, la manutenzione quasi giornaliera dei percorsi, chi interverrà? Non certo i comuni, ormai disattenti anche verso la manutenzione della viabilità forestale e privati di personale. Non certo le guide alpine nei sentieri ad alta quota né tantomeno gli albergatori, più attenti a salvaguardare i loro incassi che a partecipare ad un dovere rivolto alla gestione del bene pubblico (senza per questo generalizzare, specie verso molti rifugisti che si fanno carico anche di lacune degli enti pubblici). E chi interverrà, in località aspre, impegnative, in caso di emergenze?

Sono domande alle quali l’assessore Dallapiccola si è ben guardato dal rispondere. Invece di trovare una mediazione sulla proposta di aprire solo alcuni tracciati all’uso delle biciclette, quelli più sicuri, quelli accessibili, quelli che non invadono territori fragili e delicati dal punto di vista faunistico, si è voluta una quasi indiscriminata liberalizzazione. Anche su un tema così marginale il nuovo corso della Provincia di Trento dimostra coerenza: deve vincere sempre e comunque il mercato. La voce rispetto, come altri termini, divieto o riguardo, fanno parte del “vecchiume ideologico” degli anni Ottanta. Così si perde, in modo sempre più evidente, il senso e la cultura del limite. Con la scusa, ormai sposata da tutte le parti politiche, che si deve trovare consenso, che ci si deve basare sull’autoregolamentazione.

Questa sì è pura ideologia: in questo modo vince sempre il più forte, in questo caso il più veloce e attrezzato: il ciclista.