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QT n. 2, febbraio 2016 L’intervento

Unioni civili: discutiamone!

Maurizio Agostini

Sabato 23 gennaio ero anch’io in piazza alla manifestazione per le “unioni civili”. L’ho fatto in maniera convinta, per esprimere la mia certezza che si debba finalmente riconoscere un allargamento di diritti fondamentali a chi è impegnato a costruire relazioni d’amore e di convivenza, con la volontà che possano essere visibili e portatrici di un valore non soltanto privato ma sociale.

L’ho fatto perché infastidito dal modo sbrigativo con il quale quasi tutta l’informazione ha presentato i cattolici tout court come contrari alla proposta in discussione.

L’ho fatto anche per poter pensare ed esprimere i miei dubbi e le mie perplessità senza sentirmi o venire appiattito su posizioni illiberari e reazionarie.

Si tratta di dubbi che vanno al di là della legge in discussione, ma che riguardano argomenti usati per dire da un lato che la legge Cirinnà è poca cosa, il “minimo sindacale”, che ci vorrebbe ben altro; dall’altra, per bocciarla come la possibile “porta d’ingresso” per successive presunte nefandezze, dall’utero in affitto all’eutanasia.

I miei dubbi, dicevo. Mi sento a disagio, perplesso di fronte ad una sorta di “ipertrofia dell’io”, tipica del mondo occidentale (e, se posso dire, capitalistica), grazie alla quale l’individuo diventa titolare sempre più egoistico e assoluto di diritti. Ogni cosa che al mondo è possibile fare, io devo poterla fare! Di più: è necessario che la collettività e le istituzioni che essa esprime si impegnino per farmela fare! In questo contesto sento di essere d’accordo quando sento dire che un figlio o l’essere genitore non è un diritto assoluto.

Non sono per questo contrario all’adozione nelle coppie omosessuali, specialmente se si tratta dei loro figli o di bambini che hanno già una relazione di conoscenza o di affetto con loro. Ma se penso ad un neonato solo, perché abbandonato o già orfano, sento che preferirei, se possibile e non ad ogni costo, dargli una mamma e un papà.

Sabato in piazza, tra gli interventi, ho sentito quello dei due padri rientrati dal Canada ed ho solidarizzato con loro al pensiero che in Italia i loro figli sono di uno solo dei due. Ma quando hanno affermato con forza che “genitori sono quelli che amano e crescono i figli” e che loro due “lo sono fin dalla sala parto”, ho avvertito un profondo disagio per l’assenza di un sia pur piccolo ricordo rivolto alla donna che deve pur aver partorito quei bimbi. E non capivo gli applausi entusiastici di tante donne che, secondo me, non possono accettare di pensare ad una gravidanza solo come ad una incubazione. Ne ho accennato ad un’amica e ad un amico che erano in piazza vicino a me e mi sembravano condividere la perplessità...

Si dovrebbe riuscire a discutere di queste cose al di fuori di furori ideologici che semplificano troppo o negano la complessità dei problemi.