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Coppie di fatto: il caso Rovereto

Giovanna Camertoni

Per rinfrescare la memoria a quanti, a distanza di un anno e mezzo circa dal voto in Consiglio Comunale a Rovereto che ha dato il via all’istituzione del primo registro delle coppie di fatto della Provincia di Trento, trovano scomodo, in vista della competizione elettorale di primavera, aver condiviso e appoggiato una battaglia di civiltà, in cui si afferma esplicitamente di voler trasformare i privilegi, i lussi, concessi finora in esclusiva alle coppie che in Italia possono sposarsi legalmente, in diritti a cui tutti possono accedere, indipendentemente dal sesso della persona che amano, suggerisco di rileggere il testo della delibera approvata, anche con il loro voto, il 2 luglio 2003, in cui il Consiglio Comunale, con estrema chiarezza, non si limita all’istituzione di un elenco in cui le coppie di fatto che lo desiderano possono vedere scritto il loro nome, ma impegna la Giunta "ad adottare tutte le iniziative per stimolare il recepimento nella legislazione statale e provinciale delle unioni civili al fine di garantire i principi di libertà individuale ed assicurare in ogni circostanza la parità di condizione dei cittadini senza discriminazione di orientamento sessuale".

In questo passaggio non vi è nulla di simbolico, ma vi è finalmente l’assunzione da parte di una organo istituzionale locale della responsabilità di attivarsi per garantire (in linea con il dettato costituzionale, la Costituzione europea, risoluzioni e raccomandazioni europee dal 1981 in poi, direttive, e infine il decreto legislativo 216 che per la prima volta, seppure con ampie limitazioni, introduce nell’ordinamento italiano il divieto di discriminazione per orientamento sessuale nei luoghi di lavoro, ecc…), l’uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini e di tutte le cittadine, anche omosessuali, uguaglianza, di cui già godono gli/le altri/e cittadini/e europee.

Sarebbe ora che queste parole si trasformassero in fatti e che la Giunta Comunale di Rovereto desse seguito a quanto affermato dalla delibera, mandando un segnale forte sia al Parlamento, ora soprattutto che la discussione sulle proposte di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto è stata calendarizzata, sia al Governo, in occasione delle esternazioni omofobe dei propri esponenti politici, ed anche al Consiglio Provinciale, affinché in questa legislatura si condannino con forza gli insulti dei politici locali e le istigazioni all’odio nei riguardi di lesbiche e gay come avvenuto nel corso del 2003, si prendano misure volte a superare le discriminazioni esistenti nella legislazione provinciale che colpiscono le coppie di fatto e i consiglieri provinciali prendano con forza le distanze da tutte le proposte di legge volte a limitare benefici e servizi unicamente alle famiglie fondate sul matrimonio.

Se le dichiarazioni presenti nel testo della delibera, per alcuni consiglieri, abituati a non dover "sudare" quotidianamente per essere se stessi, per manifestare il loro orientamento sessuale, per rivendicare la loro dignità di esseri umani, che preferiscono fare spallucce di fronte alle rivendicazioni di milioni di cittadine e cittadini che si alzano ogni mattina e sperimentano, in cambio della propria visibilità, insulti, ricatti, emarginazione, reprimende o addirittura risoluzioni di contratti di lavoro, se per questi consiglieri, persone privilegiate, il testo contenuto nella delibera può considerarsi un fatto irrilevante, che "non ha alcun effetto operativo e pratico", consigliamo loro di documentarsi circa le pesanti conseguenze che l’assenza di questi diritti elementari provoca nelle vite di milioni di persone in Italia e i danni prodotti, soprattutto tra i/le giovani dall’ostilità sociale che accompagna gli stili di vita di lesbiche e gay.

L’iniziativa di ArciLesbica e ArciGay di formulare la bozza del regolamento di tale registro non dovrebbe inoltre stupire i consiglieri comunali che la sera del 2 luglio 2003, in presenza dei rappresentanti delle due associazioni e in seguito al loro intervento, hanno deliberato di "demandare alla Commissione politiche sociali, con l’apporto permanente dei rappresentanti delle associazioni interessate, il compito di proporre (entro sei mesi) il Regolamento comunale delle unioni civili al Consiglio Comunale".

Concludo rassicurando il consigliere Luscia, il quale, se vuole, può continuare a dormire sonni tranquilli. Ad "attentare" ai valori della famiglia tradizionale, non sarà infatti né l’istituzione di un registro delle coppie di fatto a Rovereto, a cui potranno iscriversi anche le coppie formate da persone dello stesso sesso, né una legge nazionale sul modello francese quale il PACS (Patto Civile di Solidarietà), né l’unione registrata o addirittura il matrimonio omosessuale, non sarà neppure l’adozione di minori riconosciuta alle coppie lesbiche e gay, come già avviene in molti paesi europei, o addirittura l’istituzione di una legge che consenta alle single o alle coppie lesbiche di accedere alle tecniche di procreazione assistita.

A minare i valori della famiglia tradizionale ci pensano già gli uomini normali, i bravi ragazzi, i padri di famiglia dalla faccia onesta, i fidanzati impeccabili, i mariti insospettabili che, come confermato dai dati presentati nelle conferenze stampa di oggi 25 novembre 2004, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, (Conferenza stampa della Commissione Provinciale Pari Opportunità per il lancio della campagna contro la violenza maschile sulle donne e conferenza stampa dell’Assessorato alle Politiche sociali sui dati 2003 raccolti dal Centro AntiViolenza di Trento) e dalle cronache che leggiamo quotidianamente, trasformano le pareti domestiche nei luoghi più pericolosi per la vita delle donne, che nel loro ruolo di moglie e di madre subiscono, nell’indifferenza generale o peggio nella legittimazione sociale e culturale della violenza maschile le più atroci violenze, i crimini più subdoli, i reati più gravi.

Giovanna Camertoni
Presidente di ArciLesbica Trentino-Alto Adige

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