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“Boom for Real - L’adolescenza di Basquiat”, “Menocchio”, “Almost Nothing - Cern: La scoperta del futuro”

Tre film “di contenuto”

Il prolungamento della speranza di vita della popolazione è una ragione della sopravvivenza delle sale cinematografiche, la cui agonia si prolunga per un tempo inaspettato e superiore a quanto recentemente immaginato. Un’altra ragione pare essere il successo del cinema per bambini. Che i genitori li portino fuori casa a vedere film che si possono facilmente reperire con minor spesa su qualche pay tv, ha motivazioni che mi sfuggono, ma presto le scoprirò.

Nel mezzo ci sono i giovani, intesi fino agli over 40, che al cinema vanno poco. Basta guardare il pubblico dei film di contenuto: un concentrato di pensionati, o quasi, classe media, cultura medio/alta. Tengono duro, resistono. È il loro buon pretesto per uscire di casa e vivere anche momenti di socializzazione. Sociologia spicciola, la mia, certo.

Vorrei sottolineare come alla ricerca di una definizione per certo cinema non semplicemente spettacolare e di intrattenimento non mi è venuto niente di meglio da dire che di contenuto. Dire di qualità non va bene, il cinema d’intrattenimento può avere qualità spettacolari altissime. Dire cinema d’essai mi pare presuntuoso e sorpassato; cinema impegnato ha un’accezione limitata prevalentemente politica. Altro non mi viene, così preferisco di contenuto, sia tematico che di ricerca estetica. Non so se qualcuno già lo usa. Non importa.

Bene, ho come l’impressione che ultimamente i film di contenuto vengano proposti anche in contesti un po’ diversi dalle sale cinematografiche tradizionali. C’è per esempio la programmazione del Nuovo Cineforum di Rovereto presso l’auditorium Melotti, che ultimamente ha avuto un incremento e degli sviluppi. C’è la sala del CSI Bruno, c’è il Sanbàpolis che questo mese presenta il festival Cinema Zero. Altri spazi, altre cose che non sono sale commerciali o tv casalinga.

Ultimamente vanno molto i documentari, ne fanno su qualsiasi fatto e personaggio, meglio se morto, del passato. Basta qualche spezzone di filmato, delle foto e le testimonianze di un po’ di coprotagonisti, ma anche di semplici commentatori, e la pappa è cotta. Molti sono pretestuosi, generici, agiografici.

Qualcuno ha più senso, è fatto meglio, propone uno sguardo attraverso che racconta anche un contesto, un mondo, un’epoca, frammenti della sua estetica e dei suoi valori. È il caso di Boom for Real - L’adolescenza di Jean-Michel Basquiat di Sara Driver, sull’influenza di New York e del panorama artistico e culturale degli anni ‘80 nella formazione artistica di Basquiat.

“Menocchio”

New York in quel periodo era un disastro: violenza, prostituzione, droga, sporcizia. Una città sull’orlo del baratro e del fallimento finanziario. Eppure il luogo più creativo al mondo. Soprattutto di quelle sottoculture artistiche, cinematografiche e musicali che hanno segnato i decenni successivi e che, scusate, a me piacciono tanto. Il Jazz dei loft, le mostre d’arte collettive autorganizzate in spazi decadenti e abbandonati, ridipinti e rivalorizzati. I graffiti sulle carrozze della metropolitana e la musica per strada con i radioloni. Gli stimoli, i confronti, il do it yourself e la competitività per trovare identità, senso nell’esprimersi, nell’arte, nella creatività; diversamente da oggi in cui pare contare solo l’esibizionismo, il narcisismo, la popolarità, il riconoscimento e il successo fine a se stesso. E poi le opere, ovviamente bellissime.

Occasione per qualcosa di interessante l’ha offerta recentemente anche la Trentino Film Commission, che ha programmato alcune serate di proiezione del film Menocchio di Alberto Fasulo. Tratto dal libro “Il formaggio e i vermi” di Carlo Ginzburg, il film narra di Domenico Scandella detto Menocchio, mugnaio che alla fine del ‘500 affrontò il tribunale dell’Inquisizione difendendo le proprie teorie eretiche sulla natura di Dio e sulla Chiesa di Roma. Un film originale nel panorama cinematografico nazionale. Più che un film un’esperienza che fa sprofondare realisticamente, e angosciosamente, nel passato rispetto a tante patetiche fiction mistificanti. Essenziale e rigoroso nella messa in scena, pasoliniano nelle inquadrature dei volti, ma soprattutto straordinariamente efficace nella ricostruzione di realtà passate e della dinamica dei rapporti col potere della Chiesa.

“Almost Nothing - Cern: La scoperta del futuro”

Almost Nothing - Cern: La scoperta del futuro di Anna de Manincor, ZimmerFrei è un altro documentario circolato tra il cinema Astra e il Melotti. Chiarito che il Cern di Ginevra è un palazzo della conoscenza dove non ci sono risposte ma tante domande, lasciate volentieri a quattro puntate di Superquark, e che il cambio di personalità dei neutrini può anche essere un problema fondamentale dell’Universo, ma noi spettatori non abbiamo la minima idea di cosa possa significare, la regista si concentra più sulla piccola città e i suoi diecimila abitanti (c’è gente che ci vive e lavora dal 1956).

Una città ideale, in cui il contributo del singolo non è mai sufficiente né risolutivo, ma è l’apporto dei tanti, senza etichette di religione o nazionalità, a motivare i progressi.

Il documentario racconta perciò anche la sfida democratica imposta dal progetto stesso, la forte competizione che si annida al suo interno. A compendio delle interviste e delle varie storie raccontate c’è la materialità, a volte grandiosa, dei luoghi, delle strutture: gli enormi loculi di cemento, i chilometri di cavi, le placche metalliche, le tubature infinite, dove per altro si cerca o sperimenta l’infinitesimale e pure cosa c’è nel vuoto (roba che un linguista ti prenderebbe a sberle).

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