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Quarant’anni col Checco

Facciamo ammenda per aver sottovalutato il ciclista, ma ribadiamo il nostro giudizio sul politico.

Francesco Moser

Nel 1980 Francesco Moser era da tempo al vertice del ciclismo italiano e non solo: fra le numerose vittorie conseguite in 7 anni di professionismo c’erano anche un Giro d’Italia e un Campionato del mondo.

Così, quando nel giugno di quell’anno uscì il numero zero di Questotrentino, ci sentimmo in dovere di parlare del campione trentino, riconoscendogli fra l’altro il merito di aver favorito, con i suoi successi, il diffondersi della pratica sportiva. Quanto all’aspetto agonistico, analizzando le vicende del Giro d’Italia appena concluso, avanzavamo una previsione: “Il Giro ha anticipato due grosse verità: la consacrazione precoce di un mito (Bernard Hinault, n.d.r.) e le prime avvisaglie di declino di un grande campione. Moser, con il suo ritiro, ha dato l’impressione di aver iniziato la china del tramonto. Alla soglia dei trent’anni e con il consumo di energie psicofisiche di una figura di primo piano, è facile prevedere che si tratti proprio di questo”.

In realtà, Moser era solo a metà della sua carriera e negli anni che seguirono ottenne decine di importanti vittorie: numerose tappe del Giro d’Italia, la Milano-Torino, la Milano-Sanremo, la Tirreno-Adriatico, la Route d’Occitanie, i giri del Trentino, Campania, Toscana, Friuli, Umbria, il Giro di Norvegia, il Campionato italiano su strada... E, su pista, quattro volte il campionato italiano d’inseguimento, per non parlare dei ripetuti record mondiali sull’ora, poi ribattezzati “migliori prestazioni” perché ottenuti con le famose “ruote lenticolari”. Risultato: quando nel 1987 abbandonò le corse, Moser, con un totale di 273 vittorie, risultò il più vincente nella storia del ciclismo italiano.

La clamorosa smentita a quella nostra temeraria previsione ci fece capire che lo sport agonistico non doveva rientrare fra i temi di cui dovevamo occuparci. Magari, quando Moser scese dalla bicicletta, avremmo dovuto recitare un doveroso mea culpa, ma si sa come sono i giornalisti, ancorché alle prime armi...

Quando però nel 1993 il Checco si diede alla politica e fu eletto consigliere provinciale nelle liste del PATT, dovemmo tornare ad occuparci di lui, soprattutto dopo che, divenuto assessore al Turismo, rivelò le sue intenzioni: “Venti nuove piste da sci, undici impianti di risalita, contributi per una trentina di miliardi alle società funiviarie: con questo pacchetto di proposte il neo assessore al Turismo Francesco Moser, passato dalla passione per la bici a quella per il cemento, si è presentato quest’estate in Giunta provinciale”.

Ma al di là dei progetti, imparavamo anche a conoscere il carattere dell’uomo: “Moser non è il politico tradizionale che tenta di mascherare il proprio pensiero e i propri intendimenti con eufemismi, sintassi contorte e spargimento di fumi; ma non incarna nemmeno il politico nuovo diffusosi in questi ultimi anni, incapace di andare oltre l’enunciazione ufficiale della linea del partito (esposta, per di più, in modi accidentati). Moser no: ha idee molto precise, molto sue, al pari dei veri politici, ma le esprime in modi - diremo così - irrituali. Con rozzezza e arroganza - dicono i detrattori; con insolita franchezza secondo gli estimatori”.

Col tempo, intanto, le sue proposte in tema di turismo si precisano, ed è il disastro: “In Trentino, Francesco Moser era come Garibaldi: vietato parlarne male. Questo fino al ‘93, quando, chiuso col ciclismo, ebbe la nefasta idea di darsi alla politica, avviando un inarrestabile processo di distruzione della propria immagine che in questi giorni è arrivato al capolinea. La vicenda ha inizio con la prima pagina dell’Alto Adige del 28 gennaio (‘Il cemento sul Brenta’), che riporta l’ultima trovata funiviaria dell’assessore. L’accoglienza è pessima e ha inizio sui giornali una sorta di rubrica fissa dedicata alle reazioni sdegnate di personaggi pubblici e semplici cittadini. Già, perché non c’è quasi dibattito: a sostenere la proposta di Moser, oltre a Moser, ci sono solo gli impiantisti e qualche amministratore locale”.

E lui come si difende? “Riconferma la sua cieca fiducia ottocentesca nei confronti del progresso: ‘Bisogna seguire la nuova tecnologia che è sempre più forte... Se in tempi passati, con enormi difficoltà, sono stati fatti grandi impianti, non vedo perché oggi non se ne possono fare altri. Non si può tornare indietro. Gli ambientalisti prima di tutto dovrebbero vendere la macchina, non guardare la TV, non andare a sciare, andare a piedi; allora potrebbero dare il buon esempio’“.

Di fronte alla scarsa fortuna raccolta nella terra natale, Moser punta al Parlamento europeo, presentandosi alle elezioni del 1999 nelle liste del CCD (per gli smemorati, un partitino di ex democristiani). Ma gli va male, perché la lista non supera la soglia di sbarramento. E lui si arrabbia con i suoi mentori politici: “‘Quando mi avevano chiesto di candidarmi, mi avevano assicurato che il quorum c’era. E invece niente!’. Insomma, l’hanno imbrogliato: prima quelli del Ccd: “Che cacciapalle! Mi hanno raccontato un sacco di storie. Sono dovuto andare anche a Roma, tutto tempo perso. Era tutto un rassicurare che loro valevano almeno il 6%, che non ci sarebbero stati grandi problemi... Quando ti vengono a raccontare delle cose che poi si rivelano del tutto false, c’è poco da stare allegri’. E anche con gli elettori, che con lui si sono comportati proprio male: ‘Mi ero proposto come autonomista in Europa, evidentemente i trentini non vogliono più l’autonomia!’

Ma, sbollita la rabbia, qualche tempo dopo subentrerà il sollievo per aver abbandonato un ambiente che proprio non gli si confaceva: “M’era venuta l’allergia. Appena ho smesso di fare il politico m’è passata. Chissà come mai. Mi toccava star lì ad ascoltare quattro imbecilli tutto il giorno a dir monate. Mi veniva di tutto”.

Nel 2004, partendo da una lunga intervista di Pierangelo Giovanetti, completavamo il suo ritratto: “Moser è un liberista assoluto, un individualista beatamente privo di pudori e di sensi di colpa. Se l’Italia è in crisi, ‘la colpa è del sindacato. Finché ci sono loro che comandano, l’economia non va avanti’. La ricetta per migliorare le cose, però, va molto al di là di quanto qualunque esponente della Casa delle Libertà possa permettersi di proporre: ‘Io darei un taglio a tante spese inutili. A cominciare dai Comuni, le spese per gli anziani, le pensioni. Finché si spende lì, l’economia non potrà andare bene’. Una volta praticati questi doverosi risparmi, il futuro del Paese, e in particolare del Trentino, è nel cemento: ‘Noi sfruttiamo il 5% delle nostre montagne, che sono tantissime. Ce ne resta il 95%. C’è spazio quindi per fare ancora un bel po’ di impianti’. Con la stessa individualistica concretezza Moser sbriga anche i propri rapporti con la dimensione religiosa: ‘Secondo lei, c’è un aldilà?’ - gli chiede Giovanetti. E lui: ‘Io non ho mai visto nessuno tornare in qua’. E poi, insomma, ‘alla fine è un business anche la religione. Tutti dicono che la loro religione è quella giusta. Ma quale sarà quella giusta?’. E al pari della religione, anche la cultura, con le sue evanescenze, lo mette in sospetto: il Mart? ‘È solo un debito che la comunità deve pagare e che non serve a nulla’“.

Abbiamo parlato di lui per l’ultima volta due anni fa, quando suo figlio Ignazio partecipò al “Grande Fratello” dove amoreggiò con Cecilia Rodriguez, sorella della più famosa Belen, e il povero Checco si ritrovò coinvolto in una faccenda lontana le mille miglia dal suo mondo: “Per un uomo così solido e concreto, tutto bicicletta e campagna, ritroso ed alieno da esibizionismi, vedere un figlio partecipare al Grande Fratello dev’essere stato piuttosto sgradevole; un figlio, Ignazio, che già l’aveva probabilmente deluso quando, quattro anni fa, aveva rinunciato ad una promettente carriera ciclistica perché richiedeva troppi sacrifici. ‘Sa come la pensiamo io e sua madre - commentava imbarazzato -, e cioè che dovrebbe stare nei termini normali, anche se di normale c’è poco... Lui ha avuto diverse ragazze, qualcuna l’ho vista e gli ho detto: ‘Non è che puoi cambiare sempre, altrimenti non portarle a casa tutte le volte’“. E anche a proposito dell’eventuale futura nuora Moser non è entusiasta: ‘Intanto non è italiana e quello vuol dire che ha un’altra mentalità. Non ho capito che lavoro faccia. La modella? Beh, quello lo immagino, se è lì vuol dire che non è proprio una novellina, ma quello è un lavoro che oggi c’è e domani non si sa’“.

Per fortuna, a tutt’oggi sembra che Ignazio e Cecilia proseguano felicemente a loro relazione. Ma non garantiamo: come lo sport agonistico, anche la cronaca rosa non rientra fra le nostre competenze.

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Le citazioni sono tratte da articoli di Bruno Trentin, Carlo Dogheria, Ettore Paris.