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QT n. 9, settembre 2022 Servizi

Cembra: elezioni, resistenza passiva e speranze di rinascita

Gran lavorio per evitare il commissariamento per infiltrazione mafiosa.

Facciamo un riepilogo. Il 12 dicembre 2019 vengono per errore recapitati gli avvisi d’indagine dell’Operazione Perfido. Riguardano anche il sindaco di Lona Lases Roberto Dalmonego (per scambio elettorale politico-mafioso) e il suo sponsor politico ed ex assessore Pietro Battaglia, oggi sotto processo per associazione mafiosa. Dalmonego si dimette, e alle successive elezioni del settembre 2020 gli subentra, all’insegna del “voltare pagina”, il giovane presidente Asuc Manuel Ferrari.

Un rinnovamento all’insegna del cambiare tutto perché nulla cambi, avendo Ferrari mosso i primi passi nell’amministrazione sempre all’ombra di Dalmonego e Battaglia. Così, quando due mesi dopo “Perfido” porta all’arresto di vari esponenti della presunta locale ‘ndranghetista tra cui i fratelli Battaglia, anche la credibilità di Ferrari viene travolta, e lo costringe, nel giugno 2021, alle dimissioni.

A questo punto dovrebbe essere doveroso chiarire la reale situazione del Comune, gli intrecci tra amministrazione, lobby del porfido e i personaggi accusati di associazione mafiosa.Lo strumento istituzionale ci sarebbe, una commissione d’accesso incaricata di verificare se esistano i presupposti per un commissariamento del Comune per infiltrazione mafiosa.

In questa direzione si muovono in Parlamento l’on Riccardo Fraccaro e in Provincia il consigliere Alex Marini (entrambi dei 5 Stelle). Ma non se ne fa niente, si persegue invece una linea più soft, affidando l’amministrazione a un commissario - Federico Secchi, già sindaco di Avio - incaricato non di portare alla luce gli eventuali rapporti con la mafia, bensì di gestire gli affari correnti fino alle successive elezioni.

Il municipio di Lona Lases

Si indicono quindi nuove elezioni. Ma per ben due volte (ottobre 2021 e maggio 2022) si deve rinunciare: nessuna lista, nonostante l’impegno di due ex-sindaci, riesce a mettere insieme un sufficiente numero di candidati, in paese prevale la sfiducia verso tentativi che paiono troppo in continuità con le precedenti amministrazioni.

Il terzo tentativo sarà a breve, entro ottobre. Ora si scontrano due impostazioni. Una, di impegnarsi maggiormente per presentare una lista, anzi due (per superare lo scoglio del quorum) coinvolgendo nella spasmodica ricerca di candidati le dirigenze di tutte le associazioni del volontariato locale (ben foraggiate dai contributi elargiti dal commissario nei mesi scorsi). Di fatto da molti anni a gestire tali associazioni sono sempre le stesse figure, che operano in funzione degli interessi del locale comitato d’affari, anche quando si tratta di interessi non propriamente limpidi (ai nostri lettori è probabilmente noto il ruolo assunto dal responsabile della Stella Bianca di Albiano nella vicenda relativa al pestaggio dell’operaio cinese Hu Xupai).

Questa spinta alle elezioni da parte dei maggiorenti, in sé certamente non censurabile, pare dovuta non solo all’idea di riprendere in mano le redini del paese, ma anche a quella di nascondere la spazzatura sotto il tappeto impedendo quello che a loro pare la massima iattura, il commissariamento per infiltrazione mafiosa, che - sostengono - rovinerebbe gli affari, deprezzerebbe immobili e terreni.

A tale linea si contrappone chi invece vede proprio nel commissariamento per infiltrazione lo strumento per chiarire lo stato delle cose in un Comune dove per quasi trent’anni si sono interfacciati esponenti della lobby locale legata alle concessioni delle cave di porfido e a personaggi sotto processo per associazione mafiosa. Chiarire, fare pulizia, e poi ricominciare. Chi sostiene questa linea punta sulla resistenza passiva di una porzione consistente della popolazione, e al conseguente fallimento del terzo tentativo elettorale dei soliti noti.

I record di Lona Lases

Intanto il Comune di Lona-Lases, la cui macchina amministrativa è perfettamente funzionante stando alle dichiarazioni di Secchi (mentre pare che tra il personale regni un certo malumore e qualcuno stia sfiorando pericolosamente l’esaurimento nervoso), si avvia ad accumulare un terzo record negativo. Oltre ad essere il primo Comune del Trentino nel quale si è riscontrato l’insediamento di una presunta “locale di ‘ndrangheta” e oltre a rappresentare un unicum in Trentino causa le due mancate elezioni di seguito per assenza di candidati, è anche l’unico comune della provincia ad essere sprovvisto del Piano di prevenzione della corruzione 2022-24. Un adempimento che doveva trovare esecuzione non oltre il 30 giugno, stando alle ultime direttive dell’Autorità Anticorruzione, ma che ancora non ha visto la luce.

Nelle sue dichiarazioni pubbliche (vedasi l’Adige del 1° maggio) Secchi aveva addotto tra le difficoltà anche la carenza di personale preparato a redigere un Piano che andrebbe opportunamente calato su una realtà comunale che “si contraddistingue per un contesto esterno gravato dall’indagine Perfido e dalle già intervenute condanne per crimini di rilevante impatto sulla collettività non solo locale e gravemente pregiudizievoli dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”.

Vale a dire: sarebbe necessario mettere nero su bianco nomi e fatti al centro dell’indagine condotta dai Ros, che probabilmente potrebbero destare qualche preoccupazione anche a livello di comunità provinciale e costituirebbero motivo per l’attivazione di una commissione d’accesso, rendendo più arduo il protrarsi di pesanti condizionamenti sulla vita democratica non solo di Lona-Lases. Come dimenticare che da decenni vengono sistematicamente messi in atto sistemi di controllo e condizionamento del voto? Quali sono state dunque le conseguenze di tale situazione a livello amministrativo? Ma allora il commissario Secchi dovrebbe concludere che in questa situazione, più che a elezioni condizionabili, si dovrebbe puntare su un commissariamento con pieni poteri per fare le dovute chiarezze. E così pensa una buona parte della comunità: soltanto dopo un’operazione di trasparenza che indichi quali personaggi hanno maneggiato nell’ombra e quali opachi interessi si sono fin qui imposti, sarà possibile un risanamento e una ripresa di una effettiva vita democratica.

Il commissario Federico Secchi

Salvini e la mela marcia

Ancora sulla questione del commissariamento si inseriscono le parole pronunciate – proprio in Trentino - da Matteo Salvini sulle sue intenzioni di bloccare i commissariamenti per mafia dei comuni. Come riportato dal Fatto Quotidiano,depotenziare l’arma dello scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose è uno dei punti del programma elettorale della Lega di Matteo Salvini, depositato al Viminale insieme al simbolo”.

Stando alla narrazione della Lega, “attualmente, quando in un Comune la commissione prefettizia accerta che la collusione con una organizzazione criminale sia di un singolo consigliere e/o funzionario pubblico, quasi sempre viene sciolto il Comune”. Di fatto l’ex ministro dell’Interno sembra ignorare che per sciogliere un Comune difficilmente basta un singolo colluso. Il Testo unico degli enti locali richiede, infatti, la sussistenza di “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori (…) ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”. Per il commissariamento, quindi, non bastano elementi formali come l’esistenza di un’indagine a carico di singoli amministratori o funzionari, ma la sussistenza di un reale pericolo che l’attività dell’amministrazione sia piegata agli interessi dei clan mafiosi. Valutazione che è compito della Commissione di indagine prefettizia fin qui inutilmente richiesta. (E qui apriamo una parentesi: a chiedere tale commissione d’indagine, oltre a Fraccaro e Marini, era stato anche il Comitato Lavoro Porfido che, sorprendentemente, si è sentito rispondere dall’attuale Commissario del governo - ci scusiamo per la sovrapposizione di tutti questi commissari - che tale commissione non avrebbe alcun potere di indagine diverso dall’attuale commissario straordinario, contraddicendo palesemente quanto riportato nel Testo unico di cui sopra).

Tornando alla Lega, che si candida a governare il Paese, questa propone che “la decadenza riguardi solo la singola persona collusa”, riproponendo la consolidata versione, cara anche al consigliere provinciale leghista Alessandro Savoi, della mela marcia in un ambiente sano.

Savoi, i valligiani e i calabresi

Anche la base leghista comincia però a rendersi conto che le affermazioni del massimo rappresentante valligiano della Lega sono stonate. Un ex compagno di lavoro nelle cave, militante leghista della prima ora, mi ha confidato la sua delusione e la sua indignazione per le affermazioni minimizzatrici di Savoi, che ha sistematicamente negato le responsabilità nostrane, addossando tutte le colpe ai calabresi. Purtroppo, egli mi ha fatto notare, tra gli operai c’è scetticismo anche sugli effetti di “Perfido” in quanto oltre a QT, che legge regolarmente da quando ha iniziato l’inchiesta, nemmeno i sindacati (costituitisi parte civile nel processo) hanno condottoattività di informazione o promosso occasioni di confronto.

A illustrare il clima in valle, possono essere utili i giudizi di alcuni cittadini di Lona-Lases che (pur trincerandosi dietro l’anonimato) hanno esternato delle critiche sull’uso propagandistico della recente inaugurazione della nuova sede dei Vigili del fuoco volontari di Lona-Lases. Una “cattedrale nel deserto” che rappresenta l’ennesimo sperpero di denaro pubblico (costo preventivato 700 mila euro, costo finale 1 milione e 100 mila euro) voluto proprio da quel sindaco oggi accusato di voto di scambio politico mafioso. A quella inaugurazione - che sarebbe nel resto del Trentino una normale occasione di festa - hanno dichiarato che occorreva il coraggio di sottrarsi quale “atto di affermazione della propria dignità”, così come hanno fatto gran parte dei cittadini del Comune.

Dall’altra parte è interessante il parere dell’altra campana. E’ stato il giovane di una famiglia calabrese (buona istruzione, nato e cresciuto in Trentino, di cui padroneggia il dialetto), a venire a trovarci per presentare il punto di vista suo e della sua parte.

Per lui l’accusa di associazione mafiosa formulata nel processo sarebbe infondata, e se anche venisse avallata da una sentenza, i soggetti a processo “non rappresentano certo i vertici di detta associazione, ma semmai un segmento intermedio, di livello medio-basso”.

E’ la strategia degli avvocati difensori: non c’è associazione mafiosa, e se c’è, i capi non sono gli imputati di questo processo, ma altri, al di fuori di questa prima tranche processuale, e che quando giungeranno anch’essi davanti ai giudici sosterranno l’esatto contrario; è un artifizio difensivo vecchio come i tribunali.

Non solo: nella sua visione minimizzatrice il nostro giovane sostiene che gli attuali imputati, se proprio si erano rivolti alla ‘ndrangheta, lo avevano fatto per avere “prestiti a causa di difficoltà economiche delle loro aziende” e così erano “finiti dentro meccanismi dei quali vanno considerati più vittime che non responsabili”.

All’obiezione relativa all’affare Camparta, nel quale due di questi soggetti parteciparono con capitali non nelle loro disponibilità ricevendo poi alla loro uscita ben 7 miliardi di lire in pacchetti azionari, quale possibile operazione di riciclaggio, egli ha risposto che “se così fosse, vorrebbe dire che eseguivano tali operazioni con denaro e per conto di altri, in quanto personalmente non si sono certo arricchiti a giudicare dal loro tenore di vita”.

E’ questa la vulgata che gli imputati, autodefinitisi in sede giudiziaria “grandi lavoratori” e nulla più - cercano di fare passare, ed è già stata cassata dal giudice nel primo processo (condanna di Saverio Arfuso); il nostro giovane confonde un tenore di vita non appariscente (lontano dai fasti pacchiani dei Casamonica per intenderci) con la mancanza di proprietà e anche di somme in contanti (invece rintracciate e sequestrate dalla Guardia di Finanza nel momento degli arresti) e non considera come l’obiettivo mafioso può essere non tanto il lusso, quanto il potere e la soggezione delle persone.

Parlando in generale delle attività economiche degli imputati il nostro ha fatto notare che di certo essi “non hanno fatto tutto da soli, le complicità dei locali sono innegabili e magari anch’essi avevano l’esigenza di riciclare denaro derivante da evasione fiscale”.

Inoltre ritiene che “Perfido” sia stata forse possibile in seguito a “sgarri nei confronti di qualcuno” (su cui non fornisce alcun indizio) e che tuttavia “l’inchiesta non ha portato alla luce i reati tipici della ‘ndrangheta moderna” (“un tempo organizzazione che difendeva la povera gente” ha sottolineato).

Insomma il giovane ci ha illustrato non solo la strategia di difesa, ma anche le motivazioni di fondo delle linee guida dell’infiltrazione messa in atto dagli imputati: che, come peraltro spiega la sentenza Arfuso, hanno valutato la strategia violenta controproducente rispetto a quella affaristico-finanziaria degli accordi con la locale imprenditoria borderline. Una strategia che, coltivando contiguità, riducendo al massimo la visibilità dei reati e quindi non destando grandi allarmi sociali, ponesse i sodali al riparo da iniziative della Magistratura. Iniziative che, se ci sono, si cerca di dipingere in maniera da suscitare nella popolazione scetticismo e indifferenza.

Ma in valle non va tutto come questi signori hanno pianificato. E anche lo sconcerto, la resistenza passiva evidenziata dalle prime tornate elettorali deserte, lo sta a dimostrare.