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QT n. 3, marzo 2023 Servizi

“Perfido”: quello che non convince

I nostri dubbi sulle ultime mosse processuali

La brusca svolta impressa al processo “Perfido” dall’udienza del 9 febbraio impone una disamina rigorosa dei fatti; la conduco da profano, appoggiandomi però all’esperienza e alle spiegazioni dall’avv. Bonifacio Giudiceandrea, consulente legale del CLP.

Anzitutto va chiarito che tale udienza era stata convocata per l’audizione dei periti che si sono occupati della traduzione delle intercettazioni dal calabrese, mentre invece essa si è svolta all’insegna di un esplicito invito ai difensori degli imputati, da parte del presidente della Corte d’Assise, affinché si esprimano sulla scelta del rito abbreviato. Lasciando con ciò intendere che la Procura avrebbe contestato nuovi reati, onde consentire la riapertura dei termini per la scelta dei riti alternativi. Si comprendeva che era avvenuta una “interlocuzione tra avvocati, Procura e Corte” (Corriere del Trentino 10.2), della quale sicuramente era all’oscuro la parte civile rappresentata dai tre operai cinesi da noi supportati. Interlocuzione di cui invece a Reggio Calabria qualcuno era informato dato che il Corriere della Calabria dell’8 febbraio - il giorno precedente l’udienza - dava la notizia della ripresa del processo “Perfido” a Trento scrivendo: “Domani dunque gli imputati potranno presentarsi in aula dove verranno discusse le richieste di rito alternativo che potrebbero essere depositate”. Peccato che per riaprire i termini per la scelta dei riti alternativi sia necessario che la Procura contesti nuovi reati che non erano stati contestati e non sono stati contestati nemmeno nell’udienza del 9 febbraio. Informalmente la Procura ventilò tale ipotesi, oltre che per i reati ‘satellite’ già contemplati nel decreto di giudizio immediato (per i quali si era previsto che si sarebbe proceduto separatamente), anche in riferimento a tre reati-fine (bancarotte) per i quali però erano già avviati altrettanti percorsi giudiziari, due dei quali giunti alla conclusione indagini e per uno era addirittura già fissata l’udienza preliminare.

Dove stava la novità?

Da qui la nostra conferenza stampa del 21 febbraio presso il Cafè da la Paix, durante la quale l’avv. Giudiceandrea ha evidenziato “l’irritualità” di questo modo di procedere. Egli ha precisato come “sia dubbio che le nuove norme introdotte dalla riforma del ministro Cartabia consentano la riapertura dei termini per la scelta di un rito alternativo”, del resto consentita solo in presenza di “nuove contestazioni” e sempre a patto che di queste contestazioni “non vi sia menzione nel decreto che dispone il giudizio”. In tal caso, infatti, non sarebbero affatto “nuove”!

“E allora è il caso di chiedersi per quale motivo la Procura abbia ritenuto di preannunciare l’effettuazione di nuove contestazioni – ha sottolineato Giudiceandrea - visto, a quanto risulta, che esse si riferiscono a reati già indicati nel decreto che disponeva il giudizio e per i quali, come detto, esistono già altrettanti procedimenti autonomi aperti”.

Nella successiva udienza del 22 febbraio però, a sorpresa, la Procura non ha affatto più menzionato tra le “nuove contestazioni” le tre bancarotte di cui sopra, bensì tutti i reati-fine già contenuti (sia pur tra parentesi) nell’ordinanza di rinvio a giudizio.

Perché una così repentina inversione di rotta? Sì, perché a questo punto non si spiega come nell’aprile del 2021 la stessa Procura abbia chiesto il giudizio immediato per 17 dei 18 indagati solo in base agli art. 416 bis (associazione mafiosa) e 600 (riduzione in schiavitù), lasciando appunto tra parentesi (fuori dal procedimento) i cosiddetti reati-fine, benché il materiale probatorio fosse il medesimo. Ora invece si contestano quei reati col risultato di mandare all’aria il dibattimento pubblico, che probabilmente rimarrà in piedi solo per un numero esiguo di imputati, col risultato di un ulteriore spezzettamento del processo e rendendo inutili per gran parte degli imputati che sceglieranno il rito abbreviato le traduzioni delle intercettazioni dal calabrese costate un anno di lavoro. Tenuto conto di tre abbreviati concessi dopo la scadenza dei termini e di due patteggiamenti alquanto “inusuali”, puntualmente annullati dalla Cassazione, unitamente al mancato rinvio a giudizio del soggetto che si interfacciava con alte cariche istituzionali dello Stato, ufficiali dell’Esercito, della GdF e dei CC e della PS, oltre che con politici ed imprenditori, questo modo di procedere non può che sollevare molti dubbi.

Paradossalmente – ha evidenziato l’avv. Giudiceandrea in conferenza stampa – la scelta degli abbreviati potrebbe essere favorevole alla Procura, visto anche l’esito dei precedenti abbreviati”. Tuttavia, vista da un’altra angolazione, essa potrebbe apparire legata alla necessità di evitare un dibattimento dove sarebbero potuti emergere, non dico reati ma perlomeno relazioni sconvenienti tra gli imputati e personaggi che hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche anche in istituzioni statali, politici e imprenditori. Così come è già successo per alcuni giudici con funzioni apicali nel Tribunale di Trento (anche in relazione con la vicenda Feudo Arancio), come appunto il presidente dello stesso, il presidente della sezione penale e il procuratore generale presso la Corte d’Appello. Un tale modo di procedere autorizza infatti le più svariate illazioni che ci si augura trovino smentita nei fatti. Da parte del CLP si ritiene, tuttavia, che la funzione punitiva passi in secondo piano rispetto all’esigenza di formare una robusta coscienza civile in grado di contrastare la penetrazione mafiosa e le sue relazioni mediante il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza.