Reati ambientali: cosa chiede l’Europa e cosa fa il governo Meloni
L’8 agosto 2025 il Governo ha emanato il decreto-legge n. 116 con l’obiettivo dichiarato di rafforzare il contrasto alle attività illecite nella gestione dei rifiuti, intervenire sulla drammatica situazione della Terra dei fuochi e dare esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel gennaio di quest'anno ha condannato l’Italia per l’insufficiente tutela delle popolazioni esposte ai roghi tossici.
Il provvedimento non introduce un nuovo corpo normativo, ma modifica in profondità il Testo Unico Ambientale (d.lgs. 152/2006) e alcune disposizioni del codice penale. La logica è chiara: inasprire il trattamento sanzionatorio e trasformare numerose contravvenzioni in delitti. Una scelta che, pur rispondendo all’urgenza di potenziare la tutela ambientale, tra i giuristi e gli addetti ai lavori sta suscitando non poche perplessità interpretative e applicative.
L’abbandono dei rifiuti, la gestione non autorizzata e le discariche abusive non sono più semplici contravvenzioni, ma delitti puniti con pene che arrivano fino a sei anni di reclusione. Sono introdotte nuove fattispecie, come l’art. 255-bis, che trasforma in delitto l’abbandono di rifiuti non pericolosi quando comporti pericolo concreto per la vita, la salute o l’ambiente, oppure quando avvenga in siti contaminati; e l’art. 255-ter, che estende la stessa logica ai rifiuti pericolosi con pene fino a sei anni e mezzo di reclusione. L’art. 256, sulla gestione non autorizzata e la realizzazione di discariche, è riscritto in senso più severo e prevede da sei mesi a cinque anni di reclusione.

Il d.l. 116/2025 interviene inoltre sul delitto di combustione illecita (art. 256-bis), introduce la spedizione illegale di rifiuti al posto del traffico illecito (art. 259), e prevede due nuovi articoli (art. 259-bis e art. 259-ter) che estendono la responsabilità, dolosa e colposa, ai titolari d’impresa che abbiano omesso la dovuta vigilanza, rafforzando la disciplina del d.lgs. 231/2001 (sanzioni interdittive) anche alle persone fisiche. Questo elemento di innovazione solleva dubbi di compatibilità con i principi generali del diritto penale e rischia di generare difficoltà nella sua applicazione, in mancanza di criteri chiari su durata e contenuti delle misure.
La riforma italiana guarda non solo alle emergenze nazionali, come la Terra dei fuochi, ma anche all’Europa: la direttiva (UE) 2024/1203, entrata in vigore nell’aprile 2024, impone agli Stati membri di recepire entro il 21 maggio 2026 un quadro unitario di tutela penale dell’ambiente. E qui i punti di contatto sono numerosi: sia il legislatore europeo sia quello italiano insistono sul passaggio dalle contravvenzioni ai delitti, sull’inasprimento delle pene, sulla responsabilità d’impresa e sulle aggravanti per i casi di danno diffuso o pericolo concreto per la salute e l’ambiente. In questo senso, il decreto-legge italiano anticipa in parte l’orientamento comunitario, tuttavia non mancano le differenze e soprattutto le omissioni.
La direttiva amplia in modo significativo l’elenco dei reati obbligatori: rifiuti e inquinamenti classici, ma anche condotte come il riciclo illecito di navi, l’estrazione eccessiva di risorse idriche, le violazioni gravi delle normative su sostanze chimiche e mercurio, il commercio di specie invasive e il disboscamento illegale su larga scala. Il d.l. 116/2025 non affronta questi temi e si concentra quasi esclusivamente sulla filiera dei rifiuti.
Un secondo punto critico riguarda le autorizzazioni. Bruxelles ha introdotto il principio del manifest breach: un permesso amministrativo non può funzionare come scudo penale, se è stato rilasciato in palese violazione delle regole. È una novità che impedisce di coprire attività dannose dietro autorizzazioni formalmente valide ma sostanzialmente viziate. Il testo dell'8 agosto 2025 non include questa clausola e lascia un margine di incertezza.
Altrettanto rilevante è il tema della protezione dei segnalanti. La direttiva impone agli Stati membri di garantire canali sicuri e protezione effettiva per chi denuncia un reato ambientale, in raccordo con la disciplina europea sul whistleblowing. L’Italia non prevede nulla di simile e questo è un vuoto che rischia di vanificare lo sforzo repressivo contenuto nella riforma. Benché il d.l. 116/2025 estenda le sanzioni interdittive anche ai titolari e rafforza la disciplina del d.lgs. 231/2001, la direttiva europea chiede di più: multe parametrate al fatturato, in certi casi fino al 5% del giro d’affari, per garantire una reale deterrenza. Inoltre l'Europa obbliga gli Stati membri a dotarsi di strategie nazionali, formazione specialistica, strumenti di cooperazione e sistemi di raccolta dati. Salvo interventi mirati sulla Terra dei fuochi, il testo italiano non prevede un piano strutturalo che trasformi l’inasprimento formale in un effettivo strumento di tutela.
In attesa della conversione parlamentare, il decreto-legge n. 116 appare dunque come un intervento fortemente repressivo ma poco organico e che accoglie solo in parte le richieste di Bruxelles, richieste che – piaccia o meno – dovranno essere recepite entro il 21 maggio 2026.