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QT n. 13, 27 giugno 1998 Servizi

Sindaci-consiglieri un brutto match

Il partito dei sindaci dell'Alto Adige, L'on. Olivieri; l'alleanza che ha spaventato la sinistra

"E' stato un successo, un grande evento democratico. Certo che..." Questa la formula di rito con cui i diessini, alla fine delle primarie, commentavano l'esperienza. E in questa formula, come in tutti i luoghi comuni, c'è del vero; ma non è tutto.

"Diciamolo chiaramente - ci dice fuori dai denti un dirigente dei Ds, uno fra quelli che più si è battuto per l'esperienza delle primarie - come momento democratico è stato un fallimento. La gente ha votato per amicizia, per campanilismo, per il paesano e per il collega bancario; non ha votato su ipotesi politiche. I dibattiti prevoto sono stati un rituale ininfluente; prima di parlare un candidato mi diceva: 'Questa sera dovrei avere 29 voti' e 29 erano. Un altro: 'A occhio e croce saranno 15 voti', e 15 erano." Un giudizio in cui c'è forse un eccesso di delusione; ma che sostanzialmente è vero. Ma ancora incompleto.

Perché è vero, nel voto di valle si è visto di tutto, compreso l'ubriacone del paese trasportato dal bar al seggio elettorale; e anche nelle città i voti erano assolutamente predeterminati, al punto che a Trento, nella giornata finale, quando si è timidamente tentato di aprire il dibattito, la gente si è alzata e se ne è andata alle urne, o nel corridoio, o al bar.

Nonostante tutto questo, la consultazione c'è stata. "Togliamo dai risultati i voti di campanile - ha detto con grande onestà nel suo intervento conclusivo il candidato Bressanini - cioè togliamo alla Cogo i voti di Tione, a Andreolli quelli di Storo, a me quelli di Borgo. Il risultato non cambia, saremmo nelle stesse identiche posizioni di classifica." Insomma, si è sì votato per il campanile, ma la cosa è stata ininfluente: il risultato finale è dipeso da altro.

"Certo - risponde il dirigente diessino deluso - perché comunque un grande merito le primarie 10 hanno avuto: far emergere uno scontro, che altrimenti sarebbe stato sotterraneo, e si sarebbe incancrenito."

Il confronto, secondo le previsioni, doveva avvenire su due modi diversi di intendere il partito: da una parte l'apertura ad altre culture ed esperienze politiche; dall'altra la rivendicazione orgogliosa della propria storia. E le due visioni dovevano essere incarnate rispettivamente da Giorgio Tonini ed Ottorino Bressanini, due candidati preparati e anche moderati, in grado cioè di mantenere la competizione nei termini del confronto costruttivo. A favore dei due si erano schierati i vari esponenti del partito, e anche del sindacato.

Le cose invece sono andate diversamente. 11 fattore imprevisto è stato il compattarsi del cosiddetto "partito dei sindaci". Era stata salutata dal Pds come una bella novità l'adesione al progetto Cosa2 di una nutrita schiera di sindaci, espressione della nuova leva di amministratori, i quali, grazie alle nuove leggi elettorali, hanno una diretta investitura popolare, e quindi più legittimità, più poteri, più visibilità personale.

Solo che i sindaci - o meglio alcuni di loro - sembrano essersi montata la testa: hanno preso a muoversi come un qualcosa di autonomamente organizzato, trasversale, e soprattutto tremendamente aggressivo. Quindi hanno messo in secondo piano le riforme istituzionali, il decentramento dei poteri ecc, rivendicando invece per sé, in quanto persone nuove, più brave, il potere provinciale; prendendo di mira l'attuale Consiglio provinciale cosa fin troppo giusta ma rifiutandosi di fare al suo interno qualsiasi distinzione, anzi mettendo sullo stesso piano chi aveva tentato di riformare il baraccone, e chi le riforme le aveva fortemente osteggiate. Ma questa è la linea del "mandiamoli tutti a casa" dell'ineffabile direttore dell'AltoAdige Fabio Barbieri (il quale, dopo avere l'anno scorso contrastato, dalle colonne del suo giornale, le riforme, quest'anno se la prende con i riformatori, rei di non avercela fatta).

La vicinanza con Barbieri non è casuale: tra alcuni sindaci e il direttore dell'Alto Adige si forma un asse preferenziale, il sindaco di Nago-Torbole Parolari (il più acceso nel voler mandare a casa i suoi colleghi di partito consiglieri provinciali, vedi Mandarli tutti a casa?) è opinionista pressoché fisso sul quotidiano.

In questo quadro la candidatura di Margherita Cogo sindaco di Tiene come capolista dei Ds, assume anche oltre le intenzioni della persona le caratteristiche dell'assalto del partito dei sindaci: infatti piomba subito la sponsorizzazione di Parolari, e soprattutto quella di Barbieri, che a tamburo battente imposta una sguaiata campagna stampa pro Cogo, non risparmiando volgarità nei confronti di Giorgio Tonini, a torto individuato come l'avversario più temibile.

Poi succede il patatrac. Il Coniglio provinciale, che nelle sue varie componenti, soprattutto di centro, sente sul collo il fiato della concorrenza dei sindaci, vara con inusitata efficienza e rapidità una norma con cui si sbarra la strada alla candidatura dei sindaci per centri sopra i 5.000 abitanti. I consiglieri della sinistra votano anch'essi la norma. E allora sulle pagine dei giornali si scatena l'ira di Barbieri, l'ira di Parolari, l'ira di Dellai. E anche la Cogo perde le staffe.

La vicenda è rivelatrice. Perché la norma non riguarda Cogo (Tiene ha meno di 5000 abitanti), non riguarda Parolari (idem per NagoTorbole), non riguarda nessuno della sinistra. Non riguarda direttamente neanche Dellai (l'incompatibilità del sindaco di Trento era norma già fissata); riguarda invece tutta una serie di sindaci che Dellai voleva candidare nella sua lista (Gilmozzi di Cavalese, Molinari di Riva, Turella di Mori, "L'opinione pubblica ha già capito - scrive super-Dellai - che occorre che nel nuovo Consiglio sia presente una qualificata squadra di sindaci"). Gli fa eco Parolari (che aggiunge sperticati encomi a Dellai, "leader naturale... che ha saputo coniugare con naturalezza le proprie doti naturali d'uomo politico e quelle acquisite d'amministratore pubblico. Una leadership, la sua, che troverà ulteriore arricchimento e forza nella presentazione di una squadra di governo che, conoscendo l'uomo, non potrà che essere all'altezza": adulazione che ha il sapore di una supplichevole autocandidatura a qualche scrannO assessorile). E su linea analoga anche Cogo (titolo dell'intervento: "Io, candidata contro i riciclati"), che perdendo l'autocontrollo se la prende sulla stampa con Wanda Chiodi, e in un dibattito con Giorgio Tonini, correttamente individuato come il candidato più vicino agli attuali consiglieri.

Tutto questo si rivela assolutamente controproducente, perché rivelatore di questo - sempre negato - partito dei sindaci, di cui non si intravede alcun contenuto programmatico all'infuori del "noi siamo i più bravi", e che dipende dal suo leader assoluto, Dellai. Ma allora, se non c'è alcuna distinzione, perché mai l'elettore dovrebbe votare la sinistra invece di Dellai? E perché il militante pidiessino dovrebbe votare per Cogo capolista, se è solo il terminale del segretario dei Popolari?

Contemporaneamente emerge un'altra dinamica. Ed è lo spendersi per Cogo dell'on. Luigi Olivieri. Attivissimo, intelligente, simpatico, efficiente, Olivieri è una perfetta macchina politica. A Roma si è dimostrato veloce ed affidabile nello svolgere le tante piccole e grandi incombenze di un parlamentare; sul tema della giustizia ha contrastato da posizioni più meditate Marco Boato e il suo sedicente "garantismo" (nel senso di garanzia di impunità per i reati dei colletti bianchi); sul tema dell'Autonomia e della Regione ha svincolato il Pds dalle precedenti antiquate posizioni immobiliste. Però è anche ambizioso, troppo pragmatico nelle alleanze, indifferente a contenuti tipo l'ambientalismo e disposto a mescolare affari personali e posizioni politiche (vedi l'acquisto dell'albergo di fronte alle Funivie di Pinzolo).

Insomma, nel Pds Olivieri ha iniziato a far paura: paura di una deriva pragmatica, di una politica senza più principi; quando Giorgio Tonini ha detto: "Attenzione, possiamo fare la fine del partito di Craxi", in tanti si sono sentiti correre un brivido per la schiena.

Ed ecco quindi, la candidatura di Margherita Cogo apparire come il collante di un nuovo temuto asse sindaci Barbieri Olivieri. E i voti hanno iniziato a spostarsi, e a confluire su chi dava più garanzie. Di qui il successo di Remo Andreolli che, meglio di Bressanini, ha saputo interpretare l'orgoglio della sinistra ( "Io non mi pento di essere stato un vetero comunista; anche se questa storia ora è chiusa" è una delle sue frasi chiave). Non sappiamo chi vincerà il ballottaggio Cogo Andreolli, ma a questo punto tutti i pronostici sono per il bancario.

Questa la storia delle primarie, mezzo successo o mezzo fallimento, a seconda del punto di vista. Una cosa ci sembra chiara: il mezzo fallimento è dovuto in gran parte all'assenza di contenuti. Non si può pretendere di coinvolgere la gente in un dibattito politico, senza robuste ipotesi programmatiche su cui confrontarsi.

Da mesi sottolineiamo la leggerezza con cui la sinistra va a queste elezioni, con un vuoto di programmi sempre più imbarazzante. "A giugno ci sarà una convention programmatica " ci dichiarò due mesi fa il segretario dei Ds Albergoni, fissando l'ennesimo appuntamento. Giugno è passato, come altre volte invano.

Tutto questo ha generato confusioni, opportunismi, delusioni.

Eppure ci sono settori della società che ancora pensano che la politica possa essere qualcosa di diverso dai giochetti dei partiti, e gli impegni qualcosa di più serio delle parole stiracchiate per coprire tutto e il suo contrario (qualità e quantità, ambiente e impianti, ecc). Sotto questo profilo ci sembrano interessanti anche per il numero e la qualità dei firmatari documenti programmatici come quello intitolato "Ripensare il Trentino", o l'altro, sorto per iniziativa dell'associazione "Società aperta" (quest'ultimo compare nella rubrica degli interventi), che tentano di rilanciare una politica dei contenuti. Speriamo che non siano guardati con il fastidio del manovratore disturbato.