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QT n. 13, 27 giugno 1998 Servizi

Vino fa rima con Trentino. Ed è un problema.

Vino di alta qualità o vino per i supermercati di tutto il mondo? Due strategie diverse, unite controvoglia da un nome: Trentino. I successi, i tanti soldi, gli ultimi conflitti della vitienologia trentina. Con il vago timore di essere già in declino...

"La nostra campagna da redditi tra i più alti del mondo: 30 milioni lordi ad ettaro; solo nella Champagne e in alcune aree della Svizzera i contadini ricavano di più. E ancora, i prezzi dei terreni agricoli, che poi sono specchio della redditività: nella Piana rotaliana sono 100.000 lire al metro, in altre zone del Trentino 50.000: bene, nelle colline del Chianti classico il terreno costa meno della metà". A parlare è Mauro, quello dei fratelli Lunelli che dirige l'attività propriamente produttiva, le celebri cantine Ferrari. E il suo è un discorso preoccupato: "In Trentino abbiamo un grande patrimonio, ma corriamo il rischio di svenderlo..."

Non è l'azienda che preoccupa Lunelli: l'anno scorso sono state vendute 3.250.000 bottiglie del noto spumante, quest'anno si viaggia verso i 3 milioni e mezzo, in cantina già riposano i 4 milioni di bottiglie che verranno stappate nel 2000. L'azienda va bene, il futuro del Trentino enologico invece...

"Eh sì, si svende la ricchezza del Trentino: il suo territorio, piccolo ma pregiato, le sue tradizioni, la sua immagine - e qui a parlare è il prof. Attilio Scienza, presidente a San Michele quando, non molti anni fa, l'Istituto Agrario era ancora un punto di riferimento a livello internazionale - Si abbandona la qualità per la quantità, scendendo inesorabilmente verso la mediocrità: e per di più questo è un livello dove noi troppo piccoli, con i nostri prezzi troppo alti non potremo competere..."

Come mai due personaggi di spicco, ma così diversi, Lunelli e Scienza, l'industriale di successo e lo studioso internazionale, fanno discorsi così allarmati?

Alcuni mesi orsono avevamo già scritto (Quanto piace il vino trentino?) delle tensioni nel mondo vitivinicolo locale. Tensioni non nuove: i conflitti di interessi tra agricoltori, vinificatori e commercianti, o quelli tra privati e cooperative, o quelli ancora all'interno del mondo cooperativo, hanno ciclicamente scosso la vitienologia trentina. Che ne è stata frenata, ma da cui è spesso uscita in avanti, come quando negli anni '50 allo squilibrio tra produttori e commercianti si è ovviato con la costituzione del Comitato VitiVinicolo, associazione interprofessionale che ha indirizzato il rapporto tra le categorie. Ed è stata proprio questa associazione degli operatori del settore, uno strumento invidiateci in tutta Italia, diventato poi Istituto Trentino del Vino, a promuovere l'immagine complessiva del vino trentino e le leggi a tutela e i disciplinari di produzione; e a fungere da teatro e camera di compensazione dei conflitti.

Ora questo strumento è saltato. La cooperazione (cioè le cantine sociali, in primis MezzaCorona; e la Cavit, il consorzio che commercializza buona parte del vino delle cantine sociali) e alcuni produttori privati hanno istituito una loro associazione, la Trentino Vini. E la Provincia, tradizionalmente sensibile alle istanze delle cooperative, ha dichiarato l'associazione rappresentativa del mondo vinicolo, ha trasferito al nuovo organismo il delicato compito della "tutela", cioè la definizione delle leggi che indirizzano il settore, ne stabiliscono le regole, certificano le produzioni di qualità (per esempio le zonizzazioni del Doc, le gradazioni minime dell'uva, le scritte sulle etichette, ecc.).

La tutela è il cuore della politica vitivinicola. Il fatto che ora essa competa alla nuova associazione non ha reso felici gli esclusi, che sono la grande maggioranza dei produttori privati (anche se con solo il 20% della produzione), gli industriali (come le Cantine Ferrari), i commercianti. Infine, ciliegina sulla torta, la Trentino Vini non ha dipendenti: ha chiesto ed ottenuto di poter usufruire del personale dell'Itv; solo la testa, la direzione è cambiata; e guarda caso è in via Segantini, nel palazzo della Federazione delle Cooperative. A questo punto la vicenda è vissuta dagli esclusi come un esproprio: "Hanno ricevuto la benedizione dell'Ente pubblico a rappresentare tutti - commenta con una certa amarezza Mauro Lunelli - Una cosa non riesco a capire: perché il mondo cooperativo si sia voluto creare una nuova struttura, in cui ha la predominanza assoluta, quando aveva già la maggioranza in quella esistente, in cui però tutti erano rappresentati.

Insomma, perché la Trentino Vini? Giriamo la domanda ad uno degli artefici dell'operazione, Fabio Rizzoli, il superdirettore delle cantine di MezzaCorona, l'efficiente e duro manager che ha fatto della sua cantina una potenza, con una politica imprenditoriale discussa (come vedremo), ma di indubbio successo, che ha inondato di soldi i contadini della Piana Rotàliana (e oltre: Mezzacorona si è estesa in altre aree di tutta la provincia).

"Non è questione di cooperazione o di privati - risponde Rizzoli - Trentino Vini nasce per seguire gli orientamenti europei; i quali tendono a preferire come interlocutori, per le sovvenzioni, come per la tutela, le associazioni di produttori. Quindi se Lunelli vuole entrare nell'associazione, le porte sono aperte; ma ci entra come produttore, e conta per gli ettari di campagna che ha, non come industriale."

La risposta non ci convince: perché tenere fuori dalla porta Lunelli in quanto Cantine Ferrari, e con lui tutti gli industriali, tutti i commercianti (che poi commercializzano gran parte della produzione degli stessi cooperatori)? Perché rinunciare a uno strumento come l'Itv, che, unico in Italia, ha proprio il pregio di essere interprofessionale, di riunire cioè tutte le realtà della vitienologia?

"Parliamoci chiaro - risponde Fausto Peratoner, direttore della Cantina sociale La Vis e vicepresidente della nuova associazione - negli ultimi anni l'Istituto del Vino non riusciva più ad essere funzionale. Per una serie di motivi, rapporti interpersonali ed altro, ma la realtà è che il nostro mondo andava avanti, l'Itv no. Bloccando la politica vitienologica del Trentino. Un dato: il Trentino imbottiglia solo il 50% del vino che produce, il resto va fuori provincia, è un valore aggiunto che perdiamo. Bene, fin dagli anni '70 l'Itv si è proposto l'obiettivo di arrivare a una quota del 7080% di imbottigliamento trentino; ma pur con la crescita delle cantine sociali e delle aziende private, non se ne è fatto niente; è l'istituto che è in panne."

Ma come mai l'Istituto è in panne? Proprio perché è la casa di tutti, sembra di capire, "per il coesistere di mentalità, di potenzialità, di strategie diverse" ci risponde Peratoner. Eccoci al cuore del problema: l'estrema differenziazione del mondo vitienologico trentino, al cui interno sono presenti strategie divaricanti, che di fatto sono divenute conflittuali.

E' il solito dilemma qualità quantità, che troviamo anche in altri campi. Da una parte i colossi della cooperazione, Cavit e MezzaCorona, che si sono buttati, e con notevole successo, sul mercato mondiale, arrivando sugli scaffali dei supermercati dei cinque continenti. Dall'altra alcune aziende private (Ferrari e Pojer anzitutto) che invece hanno puntato sul vino di pregio, sulla qualità, sul prestigio (Ferrari è lo spumante del Quirinale).

Sembrerebbe una situazione ideale, una serie di successi su diversi fronti, che hanno portato al benessere l'agricoltura trentina. Invece sono stati proprio i successi a creare i problemi.

Perché le due strategie, i due diversi tipi di prodotti, devono convivere all'interno di un'immagine unica: il Trentino, inteso come zona produttiva di vino Doc (denominazione di origine controllata). Per cui le due strategie sono legate indissolubilmente: nel bene (la produzione di prestigio traina quella più commerciale; e d'altronde quest'ultima fornisce il grosso del reddito) e nel male (una produzione commerciale mediocre inciderebbe sull'immagine di quella di qualità; e d'altra parte i grandi produttori mostrano insofferenza verso i disciplinari, le regole che si vorrebbero uguali per tutti).

Il Trentino quindi, per gli operatori, non è solo un'indicazione geografica, o una piccola patria. E' una realtà commerciale, che ha il suo valore: "Il Trentino lo sbandieriamo, ne meniamo vanto - si infervora Lunelli - II Trentino ha un 'immagine prestigiosa (le Dolomiti, la nostra serietà, la vivibilità dei nostri posti) che è un capitale da mantenere e da difendere." "Però attenzione, è un capitale che si può perdere, si può svendere - afferma Paolo Endrici, titolare delle Cantine Endrizzi, azienda di produzione e di commercializzazione - Dieci, quindici anni fa avevamo i vini bianchi migliori in assoluto; oggi questa supremazia è meno reale; c'è ancora l'immagine, ma dura quello che dura..." "Direi che abbiamo già perso immagine, prestigio, rispetto a 10 anni fa - completa il prof. Scienza - Anche perché il gusto, la richiesta, sono passati dai bianchi fruttati, come i nostri Pinot Grigio, Chardonnay, ai vini di grande sapore, che riempiono la bocca, come il Barolo, o il Brunello di Montalcino. E per fare questi vini ci vorrebbero condizioni che noi non abbiamo: più sole, viti non più a pergola, basse rese per ettaro...

Insomma, siamo in cima alla parabola, sul punto di iniziare il ricorso discendente? Con un sistema che non riesce a strutturarsi; e d'altra parte con le realtà più grosse, che forti della logica dei miliardi e degli appoggi politici, spingono a tutto vapore in una direzione la quantità, il mercato globale denso di incognite?

"E'effettivamente una situazione fragile - risponde ancora il prof. Scienza - La logica della globalizzazione implica grandi volumi, l'importatore di New York non tratta le diecimila bottiglie. Ed ecco allora, per chi segue questa strada, l'obbligo del gigantismo. Con la Cavit cui non basta più il vino trentino, e commercializza anche il vino veneto, su bottiglie denominate "vino delle Venezie". Dicono che così possono pagare di più gli agricoltori trentini: ma quanto può durare,quando nella stessa bottiglia c'è vino veneto, pagato un tanto, e vino trentino pagato di più? Discorso analogo per MezzaCorona, che imbottiglia solo vino trentino, ma è spinta dalla dinamica del gigantismo a quantità sempre maggiori; e allora spinge per aumentare le rese per ettaro, mal sopporta i vincoli dell'Itv; ma nel mercato globale, sul piano della quantità, con Cile, Sudafrica, Nuova Zelanda, quanto a lungo potremo competere? Non stiamo scegliendo il terreno di confronto sbagliato, proprio quello meno congeniale al Trentino?"

E Scienza contrappone alla strategia della quantità, il modello dell'Alto Adige, che dopo lo scandalo del metanolo ha cambiato registro: cantine cooperative ma piccole, qualità, riconoscimenti ai concorsi, prezzi alti.

Queste valutazioni non garbano punto a Fabio Rizzoli, direttore di MezzaCorona: "Anzitutto l'Alto Adige: non vorrei mai confrontarmi con una realtà che negli anni '60 esportava più di tutti e che poi è solo regredita: negli ultimi otto anni ha perso 1200 ettari di vigneto, la perdita più rilevante in tutta la nazione. Poi, la globalizzazione: a Trento troviamo vini cileni, australiani, californiani; è impossibile poter fare il percorso inverso? Certo, bisogna intendersi: stare su un mercato globale vuoi dire valorizzare il nostro prodotto, utilizzando al massimo la nostra tradizione. Oggi l'Italian style, la cucina italiana, sono sulla cresta dell'onda: posizionando correttamente il nostro prodotto, riusciamo nell'impresa. Dobbiamo capire cosa questo significhi: ogni giorno, in questo stesso momento, in diversi fusi orari, abbiamo alcune centinaia di persone che fanno assaggiare i nostri vini, trasmettendo un messaggio che è il Trentino, la nostra terra, la nostra cultura. Non credo sia cosa da poco. Certo, come in tutte le imprese vere ci sono rischi; ma anche a star fermi ce ne sarebbero, anzi forse di più."

Ecco quindi le due anime della vitienologia trentina: possono convivere? "Intendiamoci, Mezzacorona è un'azienda che va bene, anzi benissimo risponde Endrici - II fatto è che la sua non può essere la filosofia di base per l'insieme del Trentino. Il Trentino per le sue dimensioni, per i costi dei terreni, ecc. non può posizionarsi sulla qualità media; o si colloca in alto o non esiste."

La filosofia per il Trentino: vuoi dire legislazioni e regole della tutela, che come abbiamo visto sono state appaltate alla Trentino Vini. Cioè, in pratica, a Mezzacorona e Cavit, ossia la scelta della globalizzazione.

"Non è così -obietta Peratoner. Il quale, ricordiamolo, è direttore della cantina sociale La Vis, impegnata nell'obiettivo di coniugare le dimensioni ragguardevoli (attualmente 2 milioni e mezzo di bottiglie) con l'alta qualità. Obiettivo, ci dicono i critici, in parte sfuggito di mano nell'attuale fase di ampliamento, in cui il ciclo produttivo non è forse rimasto pienamente sotto controllo: ma la cantina ha il capitale umano, la volontà e le strutture per perseguirlo - La nuova associazione non sposa una strategia. Dovrà invece stabilire i livelli di qualità cinque della produzione trentina; e allora ogni azienda deciderà in piena autonomia dove collocarsi, quale livello perseguire, dando corpo alla propria vocazione, alla propria strategia; senza però danneggiare l'insieme del sistema."

"Speriamo - ci dice Lunelli - L'importante non è questa o quella struttura. Importante è che le cose si facciano, le decisioni si prendano: e con saggezza, attraverso la collaborazione."