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La tortura oggi

Da Varieventuali, quindicinale di Ivrea.

Di Napoli Anteo

Secondo l’ultimo Rapporto Annuale di Amnesty International, in 125 paesi sono stati denunciati atti di tortura e maltrattamento da parte delle forze di sicurezza, dalla polizia o di altre autorità statali. In 51 paesi le torture, i maltrattamenti, la mancanza di cure mediche e le condizioni di detenzioni crudeli, inumane e degradanti, hanno causato, o si sospetta abbiano causato, la morte di persone in stato di arresto.

Ma che cos’è oggi la tortura? Vorrei riferire alcune delle esperienze cliniche mie e di altri colleghi (fondatori del coordinamento Medici di Amnesty International) e dell’Associazione "Medici contro la tortura" , che da diversi anni lavora per l’accoglienza e la cura delle vittime.

La tortura non ha più le caratteristiche che la definivano fino a qualche tempo fa. Oggi questa pratica criminale non ha come fine prevalente quello di estorcere la confessione dell’interrogato, ma si propone l’annientamento della vittima, così da renderla monito vivente per gli oppositori politici del regime, una volta rimessa in libertà. A tal fine è indispensabile che il prigioniero sopravviva alla tortura, perché possa tornare nel suo ambiente. Questo ha due effetti: dimostra che alla tortura non si può resistere ed insinua il sospetto che se il prigioniero è sopravvissuto lo si deve al fatto che ha parlato, in fondo ha tradito, facendo terra bruciata intorno a lui. In tal caso non è più necessario colpire esclusivamente esponenti di notevole rilievo, ma anche persone comuni, a volte non direttamente coinvolte in attività politica.

Queste prime riflessioni ci inducono a credere che i metodi di tortura presuppongano una notevole raffinatezza tecnica da parte del torturatore e, purtroppo, la probabile presenza di un medico durante la seduta di tortura, onde stabilire il limite oltre il quale non ci si deve inoltrare per evitare la morte del prigioniero. Questo viola ogni principio di etica medica, ciò che nel 1975 l’Associazione Medica Mondiale ha sancito nella Dichiarazione di Tokyo, nella quale tra l’altro si afferma che "il medico non autorizzerà, tollererà o parteciperà alla pratica della tortura nè ad altre forme di trattamento crudele, inumano o degradante, qualunque sia la trasgressione che la vittima di tali trattamenti è sospettata, accusata o colpevole. Il massimo rispetto per la vita umana deve essere mantenuto anche sotto minacce, né alcun uso deve esser fatto delle conoscenze mediche che sia contrario alle leggi dell’umanità".

Nel 1977 la Dichiarazione delle Hawaii dell’Associazione Psichiatrica Mondiale ha stabilito, tra l’altro, che "non si seguirà alcuna procedura, né si intraprenderà un trattamento contro, o indipendentemente dalla volontà del paziente. Lo psichiatra non deve mai usare le proprie capacità professionali per violare la dignità e i diritti umani di qualsiasi individuo o gruppo".

E'molto probabile che esistano delle scuole di addestramento internazionali, visto che spesso abbiamo constatato analogie nelle tecniche utilizzate in paesi del mondo lontani fra loro: penso alla tecnica del "sottomarino" diffusa in America Latina, alla falaca turca, al "pollo arrosto" riferito da magrebini e sudamericani. In Iran e Iraq (a danno dei curdi) spesso sono riferiti la privazione del sonno, l’obbligo alla stazione eretta, l’estrazione di tutti i denti (ovviamente senza anestesia), il costringere a bere litri d’acqua e poi stringere il pene per impedire alla vittima di mingere.

Le forme di tortura "psicologica" hanno l’ulteriore caratteristica di devastare la personalità dell’individuo senza che residuino lesioni valutabili attraverso una visita medica e/o esami strumentali, il che rende estremamente difficile provare che un paese pratichi la tortura.

A questo proposito vorrei raccontare il caso, osservato recentemente, di una vittima giovanissima, legata ad un tubo, sul cui capo per 4 giorni (!) è stata fatta gocciolare dell’acqua (il che non ha lasciato tracce visibili all’esame obiettivo). Le torture hanno il solo scopo di distruggere la persona come "essere pensante" facendole vivere esperienze come l’isolamento per anni, privandola del senso del tempo, in ambienti privi di luce o, al contrario, esponendola permanentemente ad una luce accecante. Aggiungerei che in alcune circostanze il torturato si trova a vivere esperienze di tipo allucinatorio, così da insinuare in lui l’idea di essere impazzito; per esempio, ho raccolto in prima persona la testimonianza di un giovane (montenegrino e musulmano prigioniero dei serbi) cui venivano, di nascosto, proiettate delle immagini sulla parete della sua cella. A volte addirittura si giunge a mettere la vittima in una situazione così paradossale, che se venisse poi raccontata renderebbe incredibile tutto il resto della storia riferita (celebre il caso del prigioniero fissato a delle sbarre passanti sotto le sue ascelle e dietro le ginocchia nella cui cella è entrata una donna nuda che ha fatto sesso orale con lui...).

A proposito della tortura sessuale vorrei riportare l’esperienza che alcune donne iraniane hanno vissuto: esse erano costrette (alcune erano in gravidanza) ad assistere allo stupro subito dalle ragazze condannate a morte ad opera dei pasdaran, le guardie rivoluzionarie del regime: secondo la legge islamica, infatti, non si può giustiziare una vergine. Sicuramente nella maggioranza dei casi la sofferenza viene somatizzata sotto forma di insonnia, incubi, allucinazioni, perdita di memoria.

La tortura non è confrontabile con alcuna esperienza traumatica: è una condizione che il subconscio ben difficilmente può elaborare razionalmente, così da consentire molto difficilmente il superamento del trauma subito; è una forma di violenza che è tanto più devastante quanto più è "incomunicabile". E’ piuttosto raro che nel rivolgersi a noi, in qualità di medici, il torturato riferisca in prima battuta la sua particolare condizione psicologica; il disagio viene riferito con una serie di connotazioni su base organica, che solo in parte può essere ricondotta alle sequele fisiche delle violenze di cui si è stati vittime. In ogni caso il rapporto con il "paziente" vittima di tortura è assolutamente diverso in termini di approccio alle notizie anamnestiche, alla valutazione obiettiva, all’iter diagnostico ed all’eventuale strategia terapeutica. Non credo sia difficile, infatti, immaginare quali e quante difficoltà possa comportare indagare il tipo di lesione subita; basti pensare al solo fatto di chiedere al paziente l’accesso al suo corpo per poterlo visitare; oppure quanto possa essere pesante sottoporre a visita una donna che ha subito violenza sessuale. Spesso le fobie si manifestano nell’eventualità di dover effettuare degli esami medici strumentali, che possono richiamare le caratteristiche della tortura; ho assistito ad una reazione violentissima di un paziente, in passato torturato con elettroshock, al tentativo di un neurologo di praticargli un elettroencefalogramma di controllo.

Scrive giustamente Daniele Scaglione (presidente della Sezione Italiana di Amnesty International) nella voce "tortura" dell’Enciclopedia del corpo Treccani, di prossima uscita: "I sistemi mentali con cui un individuo fa normalmente fronte allo stress vengono intaccati, e quando questi rientra nell’ambiente normale può non disporre più di un sistema adeguato per affrontare i problemi quotidiani".

A parer mio questa è la vera definizione di "vittima di tortura". Oltre lo schermo di una grandissima dignità che li caratterizza, spesso hai l’impressione di trovarti di fronte ad un fuscello per il quale una pioggerellina è un fiume in piena, per il quale può apparire un dramma ogni piccolo problema quotidiano e la cui soluzione ti fa apparire ai loro occhi come un nume tutelare o un nuovo persecutore. Ed è una nuova tortura quella che queste persone vivono qui da noi: la commissione che nega loro lo status di rifugiato (nei mesi scorsi anche due camerunensi il cui caso è citato nel Rapporto Annuale di Amnesty International), o la difficoltà di trovar loro un alloggio o un lavoro.

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