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I ricordi comuni, ma anche le differenze

La lezione del 25 aprile e un libro che apre nuove prospettive.

E' noto che a Bolzano gli storici non di regime praticano da tempo l’esercizio di trovare elementi di una memoria storica comune, che permetta alle persone di lingua diversa di andare avanti avendo punti di riferimento non separati e contrapposti.

Un esempio dell’emozione che la questione ancora suscita, viene dal giorno del 25 aprile, quando durante le commemorazioni, il vicesindaco di Bolzano ha affermato che dalla popolazione di lingua tedesca quel giorno non fu sentito come una liberazione. Su questo, complice il Dolomiten, che ha estratto la sola frase di Pichler Rolle e ne ha fatto un titolone, si è scatenata una polemica. Il vicesindaco tuttavia ha fatto una constatazione: il 25 aprile, per la popolazione di lingua tedesca significò la cacciata dei tedeschi occupanti e il ritorno dello Stato italiano. La storiografia non ha ancora messo sufficientemente in luce, o piuttosto, la politica non ha ancora dato sufficiente rilievo al fatto che la liberazione fu per molti "Dableiber", o optanti per l’Italia e per molti resistenti al nazi-fascismo effettivamente una liberazione.

Eppure le cerimonie del 25 aprile, che a Bolzano si svolgono come un pellegrinaggio da un luogo all’altro della città a deporre corone in ricordo di persone diverse per lingua e provenienza, nonostante la scarsa partecipazione, danno di per sé un’indicazione di come potrebbe essere ricostruita una memoria storica comune. Mentre il sindaco italiano infatti si reca, portando la catena da Borgomastro invece della fascia tricolore, davanti alla targa situata nel portone dove nel 1921 il maestro Innerhofer fu ucciso dai fascisti, il vicesindaco di lingua tedesca ricorda davanti alla stele di via Resia, coloro che furono uccisi nel Lager nazisti. E dopo aver commemorato i martiri della Resistenza Manci e Longon, davanti al Corpo d’Armata dove furono torturati e uccisi, si prosegue con Salvo d’Acquisto la cui statua è situata al parco Rosegger, dove fino a pochi anni fa era nascosto Walther von der Vogelweide, trasportato colà negli anni ‘20 dai fascisti e ora restituito alla sua piazza. E così via.

Se dunque questi martiri fossero presi e portati ad esempio di tutti i giovani, indipendentemente dalla lingua che parlavano, si comincerebbero a creare dei punti di riferimento che valgono per tutti, perché trascendono le appartenenze di gruppo e indicano la strada della libertà e della democrazia.

Questa evoluzione è già in atto: i più preparati storici sudtirolesi seguono questa strada, nonostante debbano svolgere il loro impegno come secondo lavoro, essendo la politica acerrima avversaria del liberarsi del pensiero e della riflessione sul passato, per la difficoltà di incanalarne i risultati nel modello separatista. E i risultati diventano tangibili, nei lavori di Carlo Romeo, Christoph von Hartungen, Martha Verdorfer, Giuseppe Albertoni, Leopold Steurer, Hans Heiss, mettendo in difficoltà la storiografia di regime, che abbonda di soldi ma diviene sempre meno credibile con la sua visione di parte.

Tuttavia sarebbe un errore puntare solo a selezionare ricordi comuni. Come ha detto nel corso di un seminario organizzato dai verdi Martha Verdorfer, c’è bisogno di approfondire anche la differenza. In particolare emerge un filone di ricerca storica che riguarda le donne. Il primo risultato è il bellissimo libro "Storia di cittadine", da usare anche come guida alternativa e non banale alla città di Bolzano, che la stessa Verdorfer ha scritto insieme a Siglinde Clementi e che viene illustrato dalle belle foto della bravissima Eleonora Gelmo.

Partite dalla considerazione che la città capoluogo appare, nei nomi delle sue vie e delle sue piazze, come un dominio esclusivamente maschile, con le eccezioni di Claudia de’ Medici e Marie Curie, le due storiche han ricercato negli archivi e nel patrimonio artistico l’esistenza e il ruolo delle donne nella vita cittadina dal Medioevo ad oggi.

Il risultato è affascinante e sorprendente. Da Claudia de’ Medici, sovrana del Tirolo e dell’Austria, che concesse il privilegio del Magistrato Mercantile alle fiere e ai mercati, ad Annette von Menz, cui fu impedito dalla famiglia di sposare un francese durante l’occupazione napoleonica e finì contessa di Sarentino, dopo un altro matrimonio sempre imposto dalla famiglia, a Lucey Prunner, la strega di Bolzano, bruciata nel 1521, sulla base di accuse assurde, il lavoro presenta una galleria di donne, e ne esamina la condizione giuridica e sociale, rilevando il contributo essenziale allo sviluppo di una società, che rimane saldamente dominata dalla mentalità e dall’interesse maschile fino a pochi anni fa. Matrimoni di interesse per la famiglia, ruoli di insegnante per allevare giovinette in grado di essere utili alla società in sviluppo, solo donne di casa, poi artigiane, e infine operaie nelle industrie: anche la morale del "fuori e dentro" cambia a seconda delle necessità del mondo esterno non dei diritti delle persone-donne. La loro presenza diventa determinante per capire tutti gli aspetti del vivere - politica, affari, religione, istruzione, famiglia, arte e cultur - nei periodi di pace e di guerra, e dà il segnale di una storia nuova, e di un nuovo modo di fare storia, per cui dal passato riemergono, per farci capire meglio il presente, aspetti finora sconosciuti, che mettono in dubbio la completezza della storiografia ufficiale, aprendo prospettive inattese.

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