Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 3, 10 febbraio 2001 Servizi

Il caso don Farina: un sasso nello stagno

Un prete che si apra al dialogo con l’uomo d’oggi e la sua cultura, inevitabilmente si scontra con l’establishment ecclesiastico.

La vicenda di don Marcello Farina, per alcuni risvolti, è paradigmatica di un metodo caro alla Chiesa, come a tutte le istituzioni totalitarie, quello dell’indagare sulle persone per qualche motivo non gradite, in modo subdolo, senza garanzie giuridiche e senza rispetto per la dignità della persona.

Nella Chiesa cattolica questo metodo storicamente ha avuto la sua massima e truce espressione nell’Inquisizione, per i cui delitti recentemente il regnante papa ha chiesto perdono. Ma evidentemente certe pratiche sono nel d.n.a. della Chiesa. Non tutti forse sanno che la santa inquisizione romana non è stata cancellata affatto nell’organigramma ecclesiastico, ha solo cambiato nome più volte. Attualmente si chiama "Sacra Congregazione per la dottrina della fede" e a causa delle procedure vessatorie che adotta, il Vaticano non ha potuto sottoscrivere la Dichiarazione dei diritti umani del Consiglio d’Europa. La Congregazione è una struttura che lavora in grande, se è vero che ha nel mirino un migliaio di teologi di tutto il mondo, sospettati di scarsa ortodossia.

Ce ne dà notizia uno di loro che ne ha sperimentato sulla pelle (sull’anima) i metodi: il teologo cattolico Hans Küng, il quale ne descrive impietosamente i meccanismi medievali di investigazione ("Cristianesimo", BUR Saggi, Milano, 1999): "Il procedimento contro un sospettato o un accusato è segreto; nessuno sa chi siano gli informatori; non ha luogo un interrogatorio in contraddittorio per i testimoni o i periti; non viene permessa la visione degli atti, così che resta impedita una conoscenza degli atti pre-dibattimentali; accusatori e giudici sono identici; l’appello a un tribunale indipendente è escluso o inutile; obiettivo del procedimento non è l’accertamento della verità, ma la sottomissione all’insegnamento romano sempre identificato con la verità (obbedienza nei confronti della Chiesa)."

Certo, l’attuale inquisizione non utilizza più la tortura fisica e ha rinunciato ai bei roghi purificatori, ma "molto spesso porta alla tortura spirituale e alla distruzione psichica delle persone coinvolte in tale procedimento" (H. Küng, op. cit.).

Ritornando al caso Farina, per lui non si è certo scomodato il Vaticano o la sacra congrega, di lui si sono occupati la Curia e il Capitolo della cattedrale di Trento. Più che di tragiche crudeltà è stato vittima di piccole azioni meschine, che involontariamente hanno anche toccato vette di comicità.

Don Farina, il vescovo, la Curia le hanno mai, non diciamo notificato un avviso di garanzia, ma mosso degli addebiti precisi, chiesto delle spiegazioni?

"Tutto fumo. Sono stato sottoposto ad un tipico sistema inquisitorio ecclesiastico; montato tutto sul sentito dire, sul sospetto. Monsignor Armando Costa, decano del Capitolo, dopo la messa della domenica sera in Duomo portava sistematicamente la cassetta, che faceva incidere dal sagrestano, il signor Mariano Gasperi di Comunione e Liberazione, ancora la sera stessa, al vescovo Sartori, perché potesse subito spulciare le eresie contenute nelle mie prediche. Ora, monsignor Costa nega sul giornale di aver fatto questo".

Dopo l’arrivo del vescovo Bressan è cambiato qualcosa?

"Confesso che avevo delle aspettative, speravo che con il nuovo vescovo le cose potessero cambiare. Purtroppo così non è stato. Certo, hanno smesso di registrare le mie prediche, ma il clima di freddezza e sospetto nei miei riguardi è rimasto immutato".

Abbandoniamo per ora questo aspetto romanzesco e cerchiamo di individuare le cause reali del conflitto, poiché non pensiamo che si sia trattato solo di invidia o antipatia per la sua persona. Alla base deve esserci stato il suo modo di concepire il cristianesimo e di spiegarlo dal pulpito. Cosa significa, per lei, essere cristiani oggi?

"Un teologo tedesco, Kaufmann, ha detto: oggi, in questa società, è sempre più difficile diventare cristiani, è difficile continuare a vivere da cristiani e chi ci riesce diventa un problema per chi gli sta intorno. Essere cristiano significa fare del Vangelo la propria guida di vita e in un mondo che esalta la prepotenza, la violenza, la forza, è davvero complicato farvi entrare una concezione di vita ispirata alle beatitudini del Vangelo: beati i poveri, i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace ecc. C’è quindi la difficoltà di far convivere le tendenze della cultura contemporanea con le esigenze più pregnanti del messaggio evangelico. Lo stesso Gesù fu considerato ai suoi tempi, un folle, uno squilibrato e dall’establishment politico-religioso un sobillatore".

Non mancano neppure oggi i motivi per scontrarsi con l’establishment ecclesiastico. Citiamo alla rinfusa: i dogmi, il fasto e il trionfalismo (pensiamo ai titoli di cui si autogratificano: santità, eminenza, eccellenza…), la discriminazione delle donne, l’affarismo, il celibato imposto ai preti, la posizione sulla contraccezione, la supremazia e l’infallibilità del papa ecc. Ci si può dire seguaci di Gesù e obbedire a questa Chiesa?

"Anche la questione della Chiesa, come quella precedente dell’essere cristiani oggi, è tra quelle più impegnative. Parto, anche per confortare me stesso, da un’esigenza profonda e generale: nessuno può vivere da solo, l’isolamento è sempre una perdita, non è mai produttivo. E neanche vivere da soli la fede è positivo. Per una mia profonda esigenza spirituale devo dire che ho bisogno della comunità, del popolo di Dio, credo nella Chiesa. Mi sento di lavorare per la comunità cristiana, per la Chiesa, e nello stesso tempo penso che l’amore per la Chiesa non sia disgiunto dalla possibilità di critica. Troppe cose nella Chiesa urtano contro il Vangelo. Mi vengono in mente due riflessioni molto pertinenti.

La prima è di un grande monaco italiano, Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose. La Chiesa - dice Bianchi - ha perso l’essenzialità dell’annuncio evangelico, perché si lascia condizionare da tre realtà che non le permettono di testimoniare la sua fedeltà al Vangelo:

1. Ha ridotto il cristianesimo a religione. Il cristianesimo non è essenzialmente una religione, intesa come culto, devozione, ritualità ripetitiva.

2. Ha ridotto il cristianesimo a morale. Il cristianesimo non è essenzialmente una morale, non è un’etica, è un annuncio di resurrezione. E qui c’è l’ossessione cattolica, in particolare nei confronti della sessualità. Questa insistenza patetica, da carabiniere dei costumi, per la quale la Chiesa ha assunto una funzione di controllo sociale, che degrada e annulla il messaggio cristiano. A parte il fatto che il cristianesimo non ha una sua originalità etica. Aristotele, gli stoici tre secoli prima di Cristo avevano già espresso valori etici molto elevati, perfino il perdono e l’amore per il nemico.

3. Ha concepito se stessa come organizzazione, come struttura di potere centralizzata, così togliendo ogni visibilità al messaggio evangelico. I vescovi sono attualmente gli ultimi signorotti medievali, il centralismo papale vanifica ogni tensione ecumenica.

Collegati a questo terzo punto vi sono alcuni nodi irrisolti, come il primato papale, la funzione e l’identità del clero che ha perso ogni rappresentatività, la dignità laicale dentro la chiesa, le donne, l’etica sessuale. Nella Chiesa non c’è democrazia, l’opinione pubblica non ha nessuno spazio. Guai a dire qualcosa fuori del coro. E poi l’etnocentrismo ecclesiastico: la Chiesa ha spostato il suo baricentro, come bacino di credenti, in America latina, ma la direzione, l’organizzazione, la cultura e l’ideologia sono solo europee".

La seconda riflessione?

"La seconda, la sentivo da un prete trentino, il decano di Pergine, don Remo Vanzetta. La Chiesa - diceva Vanzetta - non ha ancora accettato di confrontarsi fino in fondo, di dialogare col mondo, su cinque grandi questioni: la verità, la libertà, l’amore (quello concreto delle persone), la donna, la democrazia. Sempre un velo di sospetto, di reticenza, nei confronti di queste cinque realtà, molto importanti per la sensibilità dell’uomo di oggi.

E qui arriviamo al punto, per me, nodale, che avverto anche nella situazione tipicamente locale: la mancanza di un confronto autentico con la cultura dell’uomo d’oggi. Che vuol dire precludersi la possibilità di dialogare con la gente. E peggio ancora, e qui lo dico da cristiano, significa precludersi di credere, alla fine, all’incarnazione. Perché è la "parola" (verbo, logos, intelligenza) che si è fatta carne".

In tanti abbandonano la Chiesa e con essa spesso anche la fede, buttando il bambino insieme con l’acqua sporca. Questa Chiesa, non è che sia diventata un ostacolo sulla strada della fede?

"No, se la Chiesa riscopre le sue radici, il Vangelo. Se ritorna ad essere serva della parola di Dio, non padrona. "Santa e meretrice" la definivano i Padri antichi. "Santa", perché la Chiesa non è solo lei, c’è il Vangelo che fa da fondamento. E se c’è la comunità cristiana è perché quest’ultima fa riferimento al Vangelo. Sono i credenti in Gesù di Nazareth che costituiscono la Chiesa".

Lei afferma che l’unica ortodossia è il Vangelo - lo diceva anche Lutero. Ma se i comportamenti dell’organizzazione ecclesiastica, della gerarchia, contraddicono sistematicamente la parola di Dio, i credenti non hanno buoni motivi per concludere che l’appartenenza alla Chiesa è incompatibile con la fede?

"Sarebbe incompatibile se tutta la Chiesa fosse così, ma la Chiesa non è solo la gerarchia, c’è tanta gente che opera la giustizia e pratica la pace Per questo vale la pena di combattere restandovi dentro. Il mio concetto di Chiesa non è quello del Concilio di Trento, quello dualistico della gerarchia da una parte e dei servi, i sudditi, dall’altra . Il concilio Vaticano II dice che è un popolo che cammina; io appartengo a questo popolo. Certo che se venissi posto davanti all’alternativa secca di prendere o lasciare la Chiesa dei Ruini e dei Biffi, lascerei".

In modo denigratorio la sua predicazione è stata definita "controquaresimale", vale a dire, ricordando il fatto che diede origine a questa parola, un atto di contestazione sopra le righe, velleitario se non violento. Quali argomenti ha incautamente usato per scatenare un tale risentimento?

"È’ una definizione inventata da monsignor Ernesto Menghini, canonico del Capitolo e responsabile della pastorale dei laici per la diocesi di Trento. "Controquaresimale" qui vuol dire che io metto in crisi la loro impostazione, proprio per il mio tentativo, magari non sempre riuscito, di porre continuamente a confronto le istanze della cultura di oggi con il Vangelo. Di qui nascevano le mie critiche, che tanto disturbavano, al modo come questa Chiesa predica e qualche volta anche vive, e al linguaggio che usa, moralistico, clericale, fuori del tempo. Gli faceva rabbia la diversità del mio modo di avvicinarmi alla parola di Dio. E naturalmente le puntate polemiche che a volte, non lo nego, ho usato".

Nel Vangelo (Giov.13,35) Gesù dice ai suoi discepoli: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Le sembra che negli ambienti di Curia o nel capitolo della cattedrale, per non risalire più in alto, aleggi questo clima d’amore?

"E’ l’opposto. E’ difficile capire cosa voglia dire l’invidia clericale, dei preti; è superiore a qualsiasi invidia anche degli ambienti laici più culturalmente ristretti. L’invidia, la gelosia. Se un prete non ha una sensibilità, una spiritualità profonda, ad esempio se non disprezza il carrierismo, è chiaro che cercherà in qualche modo di emergere, magari eliminando i concorrenti".

Si è sentito strumentalizzato o tirato per la giacca da qualcuno in questa vicenda?

"Tentativi sì, inevitabili. Ma più che altro si sono dette falsità. Come quando mi sento dire che, alla fine, la mia messa in Duomo era la messa di un club, di gente snob. Tesi che è stata avvalorata da de Battaglia sull’Alto Adige: questa, credo, sia la falsità più grande che hanno detto. Non è vero niente. Io personalmente conoscevo soltanto una piccola parte delle persone che assistevano alla messa, mediamente in numero di cinque-seicento. Inoltre, non ho mai cercato di stabilire rapporti con queste persone, per far nascere un gruppo organizzato o per cementare un sostegno alla mia persona. Non me ne sono mai occupato. Questo risulta inequivocabilmente anche dalle numerose lettere e dalle attestazioni di stima che ho ricevuto o che ho letto sui giornali, da parte di persone che non conosco affatto".

E’ stata un’operazione di "normalizzazione", che per ora, grazie al sostanziale consenso o al silenzio di molti esponenti ecclesiastici e del mondo laico, sembra perfettamente riuscita.

"C’era un gesuita alla corte di Pio IX, negli anni precedenti la presa di Roma, che si sforzava di convincere il papa ad abbandonare il potere temporale. Gli altri prelati dell’entourage lo misero ben presto in condizione di non nuocere, facendogli attorno terra bruciata. Diceva il gesuita: "Qui solitudinem faciunt pacem appellant", prima ti isolano e poi chiamano pace l’isolamento in cui ti hanno messo".

Com’è andata a finire nella Roma papalina, ognuno sa. Tutti da verificare sono invece gli effetti profondi che - sommandosi a quelli di precedenti episodi, con altri protagonisti - il caso Farina potrà produrre sugli equilibri del mondo cattolico trentino.