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Don Farina a la lezione del card. Martini

Giorgio Grigolli

Se Questotrentino incoraggia a tornare (" un sasso nello stagno", ecc.) su don Farina, io ci torno. Vorrei concorrere a due operazioni. Una prima, a dissociarmi dal circuito dei laudatori interessati che lo intendono - scrive Carlo De Carli- " vittima di un metodo caro alla Chiesa, come a tutte le istituzioni totalitarie". Una seconda, a sostenere che una testimonianza contrastata non comporta per ciò stesso emarginazioni presso il popolo di Dio.

Più in là, potrebbe farsi interessante un dialogo che vada ad attingere a panoramiche larghe e impegnative, superando una ribadita evocazione di miserevoli registrazioni di omelie in cattedrale, sigillo di epoca ormai tramontata. In parallelo, neanche lo " stress" da predicazione incompresa dovrebbe incoraggiare don Marcello a persistere in sentenze a taglio ultimo: "Se venissi posto davanti all’alternativa secca di prendere o lasciare la Chiesa dei Ruini e dei Biffi, lascerei". Questo delude, almeno me, non so il suo "popolo" . Avrei preferito, un "nonostante… resterei". La lezione di taluni profeti, su questo, da don Mazzolari a don Milani, è stata rassicurante, anche nella sofferenza.

Tra l’altro, ove potesse confortare, don Marcello dovrebbe dirsi in buona compagnia. Certe calcolate e pavide sordità le ha sperimentate anche il card. Martini. Occorrerebbe riandare al sinodo di ottobre dei vescovi europei, quando il cardinale professò un suo "sogno", a dire in breve "un nuovo Concilio". Sarà coincidenza o comune ispirazione, fu ad auspicare confronto tra dottrina e attualità, come intende don Marcello. Più esattamente: "Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, …penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale".

Quel testo, letto nell’aula sinodale, non fu trasmesso ai giornalisti, per quanto depositato in ufficio stampa. Fu grazie al "tradimento" di uno dei padri sinodali che il testo uscì e sollevò la stroncatura di un collega eminentissimo, il cardinale di Genova, essendo già risaputa la posizione del card. Ratzinger: "Un nuovo Concilio? Non durante la mia vita!". Tuttavia, tra i padri e nell’opinione esterna, furono attenzioni e convergenze diffuse, ora rimotivate con puntuale fermezza dal card. Martini in una intervista al Corriere del 17 gennaio. Questa, rimasta senza traccia sull’agenzia della conferenza episcopale italiana, Sir.

Don Marcello dovrebbe quindi proseguire, paolinamente "opportune et importune". Certo, sensibilità del tipo, questa e altre, esistenti e forti nella Chiesa che è in Trento, andrebbero confortate e introdotte in un disegno di promozioni, anche di confronti di cultura. "Popolo che cammina", appunto. Se questo debba comportare l’annuncio di un "progetto" che si stenta a vedere, sarebbe da precisare. Forse il vescovo Luigi ritiene più producente un rassicurare sommesso, fatto anche di occasionali incitamenti, volto a maturazioni anche autonome di comunità. Volevano da lui una precisazione sulla preghierina nell’asilo di Rovereto e sulla "autenticità" della Madonna di Flavon. Mi è parso interessante che a Rovereto i parroci abbiano assunto da soli una posizione concertata, saggia e penetrante, anche rispetto a genitori disposti a riconoscersi soltanto sui temi delle forniture di prosciutto da destinare ai bambini.

Non so se, a questo punto, per contraccolpo, andrebbe invocato un sinodo della Chiesa che è in Trento, essendo datato al 1986 il precedente. Essendo nel frattempo cambiato il mondo un paio di volte. In ogni caso, resta importante muovere una certa capacità di ricerca propria, non orgogliosamente dislocata nelle diversità o nell’isolamento vittimale, promuovendo quindi identità con voce forte e aperta al confronto, esperienze a campo aperto, senza tanto attendersi rassicuranti o sistematici "imprimatur".

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