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Le religioni degli italiani

Paolo Naso, Il mosaico della fede. Le religioni degli italiani. Baldini & Castoldi, Milano, 2000, pp.262, 15,00.

La "questione cattolica" torna a preoccupare. Con esiti difficili da prevedere. Durante l’estate alcuni politici di centro-destra (Ivo Tarolli, Renzo Gubert, Pino Morandini) hanno proposto di rendere obbligatorio in Trentino l’insegnamento della religione cattolica. La cultura locale (le "consolidate tradizioni"), e l’autonomia speciale di cui la Provincia dispone, richiederebbero una deroga al Concordato del 1984, con il quale quell’insegnamento è diventato in Italia facoltativo.

Ma se riteniamo la laicità un valore dei tempi moderni, già un insegnamento confessionale, cioè con programmi e insegnanti scelti dalle gerarchie ecclesiastiche, nella scuola di tutti, e pagato con le tasse di tutti, pone problemi. Le minoranze religiose sono infatti sempre state critiche sullo scambio fra confessionalità e facoltatività, a cui si è arrivati fra Stato italiano e Chiesa cattolica. Che qualcuno pensi, come vent’anni fa, di rendere in Trentino tale insegnamento obbligatorio, è preoccupante.

Una notazione linguistica. Nei giorni estivi in cui la notizia tenne banco, sui quotidiani locali si scrisse, spesso, per sostenerlo o per contrastarlo, di "insegnamento obbligatorio della religione". Si intendeva "religione cattolica", come se, in Trentino, quella fosse ancora l’unica praticata. Il libro di Paolo Naso parla invece, vedremo, di "religioni degli italiani".

In seguito, su proposta della Lega nord, il ministro dell’istruzione Letizia Moratti parlò di rendere obbligatoria l’esposizione del crocefisso a scuola. Su quanto ci sia di bassamente "politico" nella mossa, su quale sia il tasso di credibilità cristiana dei proponenti, hanno già scritto altri.

Quando un ragionamento viene proposto da don Dante Clauser, Vittorio Cristelli, Piero Rattin, Livio Passalacqua, Marcello Farina, Renato o Giancarlo Pellegrini, Ivan Maffeis, Antonio Autiero, Iginio Rogger, o da padre Alex Zanotelli, Antonino Butterini, Fabrizio Forti, in molti, credenti e non credenti, siamo indotti a pensare. Quando è il card. Carlo Martini a sostenere che la scuola cattolica ha diritto ad un qualche finanziamento statale, rifletto con attenzione sulla richiesta.

Se a volere il crocefisso sono Umberto Bossi e Sergio Divina, difesi da Gianni Baget Bozzo, Franco Panizza, e persino, sul Trentino, da Ferdinando Camon, la tentazione è di sghignazzare. O, imprecando, di elencare i ben altri problemi in cui è immersa la scuola, come ha fatto Alessandro Genovese su l’Adige.

Invece dobbiamo scavare più a fondo. Non solo perché quelle idee sono salite, democraticamente, al governo. Ma perché l’argomento usato a sostegno è quello dell’identità, un bisogno serio, che nasce da un’insicurezza diffusa e profonda. Si vuole difendere, con il simbolo del crocefisso, l’identità cristiana, che è poi, si dice, quella italiana, europea, occidentale.

Il libro di Paolo Naso racconta il passaggio dalla "religione degli italiani" all’"Italia delle religioni", la transizione da una fase in cui si poteva, sbrigativamente, parlare del cattolicesimo come unica religione, ad un’altra in cui riconosciamo in Italia, visibile, la presenza di testimoni di Geova, buddisti, islamici, cristiani ortodossi e protestanti, ebrei, mormoni.

Paolo Naso, valdese, è direttore del mensile Confronti e della rubrica televisiva "Protestantesimo". Di ogni religione espone brevemente i principi, la consistenza numerica, le correnti. E poi la storia, di emarginazioni e di persecuzioni subite, di una faticosa tolleranza conquistata. Lo fa dall’interno, attraverso racconti e interviste. I problemi nascono nel rapporto con uno Stato moderno, e laico, nella sua Costituzione, e con una società pluralistica, secolarizzata, in cui la componente cattolica è quella maggioritaria.

Il pluralismo religioso in Italia è dovuto a un radicamento di lunga data: gli ebrei sono circa 60.000, i valdesi e i metodisti 35.000. Poi all’immigrazione degli ultimi anni e alla conversione: i testimoni di Geova sono oltre 200.000, i musulmani oltre 600.000, i buddisti 100.000, altrettanti gli ortodossi, 7.000 i luterani e 5.000 i battisti, 20.000 gli avventisti, 100.000 i pentecostali.

Alcune comunità, soprattutto durante gli anni di governo dell’Ulivo, hanno stabilito un’Intesa con lo Stato italiano, e quindi, ma non tutte, accedono all’8 per mille dell’Irpef, secondo l’indicazione volontaria dei contribuenti. Altre, anche per la loro frammentazione interna, e la difficoltà di rappresentanza, all’Intesa non sono ancora giunte.

In presenza di un’ostilità culturale e politica, diffusa, soprattutto verso l’islam, ci affidiamo alle risorse del dialogo, che arricchisce, con chi è diverso da noi. Paolo Naso non si nasconde le difficoltà, sa che il dialogo non è un idillio. Giulio H. Soravia insegna lingua e letteratura araba all’Università di Bologna. Si è convertito all’islam nell’89, è contento di vivere in un Paese laico. Considera la religione un fatto di coscienza che non deve condizionare le leggi o i modelli politici. Riconosce che non sono ancora molti i musulmani in Italia a pensare come lui, ma vede crescere in loro la consapevolezza della necessità di fare i conti con un’altra cultura, di dialogare con le istituzioni, di non parlare e comportarsi come fosseronei paesi d’origine. "E’ ancora difficile sentirsi pienamente italiani e pienamente musulmani", ma la capacità d’interagire, nei musulmani, cresce con il consolidarsi della propria identità:

Questo è il percorso che hanno fatto gli ebrei, con l’editto di emancipazione civile del 1848, poi bruscamente interrotto dalle leggi razziali fasciste del 1938, e ripreso l’8 settembre 1943, quando il primo ebreo venne accettato nelle formazioni irregolari della Resistenza.

Anche essere "pienamente" cattolici e "pienamente" italiani fu a lungo impossibile, per l’intransigenza della Chiesa, contraria al riconoscimento dello Stato nazionale formatosi con il Risorgimento. Il problema fu "risolto" con il Concordato fascista del 1929, che elevava la cattolica a "sola religione dello Stato". Ci volle la Costituzione del 1948 per impegnarci a riconoscere che "tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge".

La storia, con le sue analogie e le sue varianti, ci aiuta a capire la difficoltà che "noi" e gli "altri" incontriamo di fronte ai nuovi problemi connessi all’immigrazione. Ma ci indica anche la direzione di marcia, e l’orizzonte verso il quale incamminarci.

La convivenza è difficile, la soluzione dei conflitti fra gruppi culturali diversi non si può trovare né nel semplice appello alle convinzioni etiche, né con la dimostrazione scientifica che il razzismo è inattendibile. Talvolta il rifiuto del diverso appare il risultato del degrado sociale. Ma più spesso gli atteggiamenti aggressivi sono la rivelazione di una crisi d’identità: nei tempi moderni si sono dissolti i legami sociali, si è sviluppata una contrapposizione tra privato e pubblico, la fiducia nel progresso è stata turbata. In cerca di un’identità si inventano tradizioni, si riscoprono devozioni.

Sul crocefisso, al ministero dell’istruzione hanno poi fatto retromarcia. Le chiese protestanti, divise su altre questioni, spiega Palo Naso, si ritrovano unite attorno alle parole d’ordine della laicità e del pluralismo. Autorevoli esponenti della cultura cattolica sono intervenuti criticamente: Giancarlo Zizola sul Trentino, Francesco Comina su l’Adige. Ma il dibattito ha rivelato una cultura profonda intrisa ancora di intransingentismo.

Se Ivan Maffeis, direttore di Vita Trentina, il settimanale diocesano, dichiara che il crocefisso non si può imporre per legge, don Umberto Giacometti, direttore dell’Istituto Arcivescovile, invece lo accetta, senza distinguere fra la sua scuola, religiosamente orientata, e la scuola statale, orientata al pluralismo. Anche se a scuola, io penso, nello studio della natura, dell’uomo, della società, persino di Dio e dei fenomeni religiosi, l’approccio più adeguato, anche per un insegnante credente, dovrebbe essere "etsi Deus non daretur", come se Dio non esistesse.

I dirigenti scolastici sono critici verso il ministro. Non però Mario Casna, di Mezzolombardo, che inizia la sua dichiarazione a l’Adige, favorevole al crocefisso,con queste parole: "Pur rispettando la laicità dello Stato…". E’ interessante rilevare il dissenso fra il sindaco Rodolfo Borga, d’accordo con il dirigente, e il parroco, don Olivo Rocchetti, per il quale la spiritualità cristiana si vive in altri modi.

Ad Alessandro, uno studente vicino al diploma, incerto, ho ricordato che, più di cinquant’anni fa, i maestri ci accompagnavano in fila, bambini, alla messa degli scolari, e verso la chiesa, per la confessione pasquale. Quella tradizione è andata in disuso, ben prima che arrivassero in Trentino i musulmani. E’ "bastata" la secolarizzazione a introdurre fra noi una diversità che non conoscevamo, a farci scoprire il valore del rispetto reciproco. Nemmeno Don Giacometti o Pino Morandini auspicano, credo, la restaurazione, per tutti (i trentini) di quei riti passati. Né Letizia Moratti, ormai, vorrà sollecitarli. Se ha rinunciato a inviare casse di crocefissi imballati, accatastati su un camion, per le scuole d’Italia.

La tendenza a difendere la propria identità di gruppo è comprensibile e legittima, ma è labile la soglia che la distingue dal rigetto nei confronti di chi a tale gruppo non appartiene. Non sempre, inoltre, ci è consentito individuare una via d’uscita giuridica definitiva, pienamente soddisfacente, dalle contraddizioni che i conflitti fra culture comportano.

Paolo Naso cita la questione delle trasfusioni di sangue, l’argomento principe di ogni polemica contro i Testimoni di Geova. Sul piano delle posizioni di principio non si sono compiuti passi in avanti significativi, ma nei fatti si possono registrare atteggiamenti più consapevoli del problema da parte dei sanitari e meno rigidi da parte dei Testimoni.

La questione più complessa per arrivare a un’Intesa dello Stato con i musulmani è quella del matrimonio. Noi non riteniamo ammissibile che uno Stato di diritto accetti che un ministro del culto celebri un matrimonio poligamico che per la legge si configura come reato, e potrebbe creare delle discriminazioni nei confronti della donna.

Eppure gli scogli non sono insormontabili. Per il tempo da dedicare alle preghiere, per il digiuno del mese di Ramadan, per le mense scolastiche, si hanno frizioni, ma si sono anche trovate delle soluzioni. Discutendo pazientemente, e diverse da luogo a luogo. A Palermo è bastato un corso d’aggiornamento per gli operatori delle mense sulle diverse tradizioni alimentari. Il chador ha suscitato in Francia una guerra di religione. In Italia le donne musulmane che vogliono apporre sui documenti una foto che le ritragga con il velo islamico, possono farlo a condizione che i tratti del viso siano chiaramente riconoscibili (come per le suore). La conoscenza, l’interrogarsi reciproco, la creatività hanno permesso di trovare soluzioni. Nelle occasioni in cui cristiani e musulmani festeggiano insieme la fine del Ramadan, è non solo la fine del digiuno, ma l’inizio dell’incontro, che fa sentire tutti più solidali e responsabili.

L’islamofobia, quella che brandisce i crocefissi per difendersi e minacciare, non è la soluzione. Né, domani, a me pare, affiancare a scuola a quello cattolico altri insegnamenti confessionali, come fanno le bozze d’Intesa fra la comunità islamica e lo Stato. Più efficace, per garantire la reciproca conoscenza, sarebbe un insegnamento, questo sì obbligatorio, sulle "culture religiose", tenuto da insegnanti statali. Sarebbe, forse, il modo per attenuare i fondamentalismi che allignano in tutte le religioni, anzi in tutte le visioni del mondo. Questa potrebbe essere, nell’età della secolarizzazione, una "riforma scolastica", la risposta culturale e politica della sinistra, alla destra del crocefisso.

In Norvegia, un paese al 90% protestante, la partecipazione settimanale al culto è del 5%, in Germania solo il 15% degli iscritti ad una chiesa segue regolarmente le funzioni liturgiche. In Italia i fedeli della messa domenicale non raggiungono il 30%. E’ la "forza della religione e la debolezza della fede", cioè un’appartenenza al cattolicesimo di carattere più etnico che spirituale.

Gli storici spiegano la politicizzazione delle devozioni (il culto della Madonna Immacolata, del Sacro Cuore di Gesù) nell’opposizione intransigente della Chiesa ai processi di secolarizzazione della società e di laicizzazione degli stati dopo la Rivoluzione francese. Che l’iniziativa sul crocefisso sia stata assunta, in Italia, nel 2002, direttamente dall’autorità politica, ci svela la complessità della transizione in cui siamo coinvolti.

E tuttavia le parole conclusive di Paolo Naso fanno riflettere: "Nel nostro tempo viviamo forti spinte identitarie che, se non sono riconosciute e governate, minano la convivenza; assecondarle significa indebolire la comunità civile; ignorarle equivale a radicalizzarle sino a renderle esplosive".

Non possiamo rinserrarci nel relativismo dell’indifferenza, che giustifica sempre e comunque i comportamenti dei diversi, anche quando appaiono in stridente contrasto con il sistema sociale di riferimento. Né possiamo esigere l’adeguamento al nostro modello che tende a sopprimere le differenze, attraverso la ghettizzazione o l’assimilazione dell’altro. E’ un camminare sul filo del rasoio il riconoscere che sono complementari i processi di unificazione e differenziazione, per evitare sia l’omologazione che l’incomunicabilità fra le culture.

E’ un’esigenza avvertita, mi pare, anche da Aboulkeir Breigheche, l’imam della nostra provincia, quando, in occasione dell’11 settembre, risponde all’intervistatrice del Trentino che "la spiritualità" è l’aspetto della cultura islamica che può arricchire la cultura occidentale, e "la libertà, la democrazia, il significato del lavoro" sono i valori che la cultura occidentale può dare all’Islam.